I 10 migliori CONCERTI di CLASSICA e OPERE LIRICHE del 2025

Il meglio degli spettacoli dal vivo di classica nell’anno che si sta per chiudere

SN

11 dicembre 2025 • 6 minuti di lettura

Il nome della rosa - Teatro alla Scala Milano (foto Brescia & Amisano)
Il nome della rosa - Teatro alla Scala Milano (foto Brescia & Amisano)

Nel 2025, tra i palcoscenici classici italiani — troppo spesso attaccati alla conservazione più che al rischio e alla sorpresa — si sono accese un po’ di scintille di rinnovamento. Dalle maratone verdiane reinventate come serie teatrali alle prime assolute della Scala, fino alle incursioni elettroniche della Biennale Musica targata Barbieri, si intravede un sistema che prova a respirare aria nuova. Festival e teatri hanno osato linguaggi ibridi, regie anticonvenzionali, recuperi intelligenti del barocco e sguardi finalmente non timidi sul contemporaneo. Grandi nomi internazionali hanno trovano in Italia un terreno più ricettivo del solito. Dieci capitoli che provano a tracciare una mappa di come la tradizione si muova— e a volte persino corra — verso il futuro. Durerà?

1. Maratona Verdi

Piacenza, Teatro Municipale – Giuseppe Verdi, Rigoletto / Il trovatore / La traviata

Piacenza fa bingo con una “Trilogia popolare” verdiana che si vive come un’unica, sontuosa serie teatrale in tre puntate consecutive. In un’unica cornice scenica, Catalano intreccia Rigoletto Trovatore e Traviata come fossero variazioni di uno stesso destino, un universo estetico coerente dove le passioni cambiano volto ma non sostanza. Lanzillotta alla guida dell’orchestra tesse il filo musicale che unisce i mondi di Verdi in un continuum emotivo di rara potenza. L’esperimento, più che una somma di capolavori, diventa un unico, vertiginoso viaggio nell’anima verdiana. E alla fine, più che stanchi, ci si sente elettrizzati: binge-watching operistico allo stato puro.

Rigoletto – Teatro Municipale Piacenza (foto Luca Attili)
Rigoletto – Teatro Municipale Piacenza (foto Luca Attili)

2. Un Lord per ricordare Henze

Firenze, Teatro del Maggio – Hans-Werner Henze, Der junge Lord

Al Maggio di Firenze torna, con scintillante ironia, Der junge Lord di Henze: un evento raro che ricorda quanto colpevolmente il compositore tedesco abiti poco le nostre scene. La regia di Menghini trasforma la satira sociale in un festoso carnevale dell’assurdo, mentre Stenz ne esalta la raffinatezza orchestrale senza smussarne le spine. Più che un semplice omaggio, è un atto di giustizia poetica: Henze torna a parlarci con la sua musica elegante e corrosiva, e il pubblico, finalmente, lo ascolta davvero.

3. L’Italia di Kirill

Roma, Auditorium Parco della Musica – Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia

Torino, Auditorium Rai “Arturo Toscanini” – Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

In giugno, sul podio della Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Kirill Petrenko chiude la stagione dell’orchestra romana con una magnifica trilogia da Schumann a Mozart a Brahms, mostrando una padronanza interpretativa tanto rara quanto intensa. In autunno, a Torino con la Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, torna con un programma audace e ritmico: dalle Danze Lachiane di Janáček alla Sinfonia n.2 di Beethoven. Petrenko non esce spesso dalla sua “casa” dei Berliner Philharmoniker ma quando lo fa, l’Italia diventa palcoscenico privilegiato della sua arte.

Kirill Petrenko - OSN-Rai (foto Piu-Luce)
Kirill Petrenko - OSN-Rai (foto Piu-Luce)

4. La Scala smuove

Milano, Teatro alla Scala – Francesco Filidei, Il nome della rosa

Milano, Teatro alla Scala – Silvia Colasanti, Anna A.

Ben due prime assolute in stagione: Il nome della rosa di Francesco Filidei e Anna A. di Silvia Colasanti. Il tempio della conservazione melodrammatica cambia passo e si muove verso la contemporaneità. Due storie molto diverse ma un unico segnale forte: la Scala investe nel nuovo, non solo come evento isolato, ma come possibilità di futuro. La speranza è chiara: che queste scelte non restino eccezioni, ma aprano le prossime stagioni alla voglia di rischiare e di rinascere. Qualcosa si muove?

5. L’altro Verdi di Parma

Parma, Festival Verdi – Ramificazioni – Ouverture

Parma, Festival Verdi – Ramificazioni – Disdemona_Δυσδαιμονία Cattiva stella

Parma, Festival Verdi – Ramificazioni - 89 Seconds to Midnight

Nel ciclo “Ramificazioni” del Festival Verdi, tre spettacoli spingono il repertorio fuori asse. Ouverture trasforma il palco in una palestra-teatro: cinque cantanti-atleti corrono, cantano e posano in smoking, trasformando l’allenamento in performance e la fatica in ironico commento sulla nostra ossessione per la prestazione. Con Disdemona_Δυσδαιμονία Cattiva stella, la tragedia di Otello diventa un coro di donne-operaie: macchine da cucire, gesti ripetitivi e un fazzoletto simbolo di sfruttamento. La figura di Desdemona si moltiplica e diventa rivendicazione collettiva di dignità. Infine, 89 Seconds to Midnight mette in scena un’apocalisse secca e rituale: una madre, un figlio, tre streghe e un mondo destinato all’estinzione. Un allarme scenico che fonde canto, danza e teatro in una visione oscura e urgente. Tre segnali d’allerta: Verdi provoca ancora.

Ouverture – Festival Verdi Ramificazioni (foto Roberto Ricci)
Ouverture – Festival Verdi Ramificazioni (foto Roberto Ricci)

6. Wagner, fortissimamente Wagner

Bologna, Auditorium Manzoni – Richard Wagner, Siegfried

Bologna, Auditorium Manzoni – Richard Wagner, Götterdäammerung

Roma, Auditorium Parco della Musica – Richard Wagner, Die Walküre

Roma, Teatro dell’Opera – Richard Wagner, Lohengrin

Pioggia di Wagner nell’autunno musicale della Penisola: da Bologna a Roma la tradizione wagneriana — assente a lungo dai teatri italici — trova forse nuova vita. A Bologna si chiude l’Anello con Siegfried e Götterdämmerung, mentre a Roma, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia inaugura la stagione con Die Walküre in un’inedita versione scenica e annuncia un Ring completo entro il 2028. E il Teatro dell'Opera di Roma apre la stagione con un Lohengrin, assente ingiustificato per 50 anni. Il segnale è chiaro: non è nostalgia, ma consapevolezza — l’Italia (ri)scopre Wagner come testimonianza di ambizione culturale. E forse, magari, con la certezza che quel mostro sacro invecchia benissimo.

7. Caterina smuove le acque

Venezia, Biennale Musica 2025 – 1

Venezia, Biennale Musica 2025 – 2

La Biennale Musica 2025, la prima diretta da Caterina Barbieri, è stata una scossa vibrante per il festival veneziano: apre sull’acqua ma guarda verso il cielo, alla musica cosmica, elettronica, drone, afrofuturismo e un’inedita commistione di antico e contemporaneo, ha incrinato i tradizionali meccanismi accademici. Il pubblico — anche più giovane e curioso — ha risposto con entusiasmo. Una curatela oscillante fra coraggio e vaghezza: la libertà di esplorare generi e sensibilità estreme ha aperto orizzonti, ma ha anche esposto limiti di definizione e coesione nel programma. In ogni caso, questo 2025 suona come una promessa: l’idea di musicale si amplia, si pluralizza e lascia intravedere un futuro meno tradizionale — pur ancora tutto da costruire.

8. Damiano va alle Terme

Roma, Terme di Caracalla - Leonard Bernstein, West Side Story

Roma, Terme di Caracalla – Giuseppe Verdi, La traviata

Roma, Terme di Caracalla – Wolfgang Amadeus Mozart, Don Giovanni

Con Damiano Michieletto, l’estate del Teatro dell’Opera alle Terme di Caracalla smette finalmente di essere un divertissement da cartolina e diventa un vero festival, con ambizioni artistiche e una linea curatoriale riconoscibile. West Side Story esplode tra i ruderi con un’energia teatrale moderna e precisa, mentre la Traviata affidata alla sorprendente Slava Daubnerová porta un’intimità psicoanalitica inedita in uno spazio monumentale. Poi arriva il Don Giovanni anticonvenzionale di Barkhatov, a confermare che qui non si gioca più sul sicuro. Il merito più grande? Si torna a discutere, a dividere, a prendere posizione. Caracalla, finalmente, non distrae: provoca.

9. Mezza dozzina di vecchi Scarlatti

Firenze, Teatro Goldoni – Alessandro Scarlatti, Il Ciro

Venezia, Teatro Malibran – Alessandro Scarlatti, Il trionfo dell’onore

Venezia, Teatro La Fenice – Alessandro Scarlatti, Clori, Lidia e Filli, Ensemble I Bassifondi

Firenze, Teatro alla Pergola - Alessandro Scarlatti, Erminia e altre composizioni, Cappella Neapolitana

Roma, Basilica dei Santi Apostoli - Alessandro Scarlatti, San Casimiro re di Polonia

Palermo, Teatro Massimo – Alessandro Scarlatti, La Gloria di Primavera

Nel tricentenario della morte di Alessandro Scarlatti ci si sarebbe aspettati un tripudio di iniziative, e invece l’Italia ha celebrato il suo grande barocco con una timidezza quasi imbarazzata. Il paradosso è evidente: siamo la culla di un patrimonio immenso, ma continuiamo a faticare nel riconoscerne centralità e modernità teatrale. Per fortuna non sono mancate luminose eccezioni, come il Ciro a Firenze e Il trionfo dell’onore a Venezia, che hanno mostrato quanto Scarlatti sappia ancora sorprendere. A Venezia, I Bassifondi hanno riportato alla luce la serenata Clori, Lidia e Filli, mentre a Roma è tornato a risuonare l’oratorio San Casimiro, re di Polonia nella sua Palermo La Gloria di Primavera. E intanto Antonio Florio, con la sua Cappella Neapolitana, continua instancabile a ricostruire e rilanciare i fasti del barocco napoletano. Insomma, celebrazioni sporadiche ma preziose: piccole scintille che ricordano a un Paese distratto quanto grande sia la sua eredità musicale.

10. Elegiaco Reimann

Francoforte sul Meno, Oper Frankfurt – Albert Reimann, L’invisible

Francoforte sul Meno, Oper Frankfurt – Albert Reimann, Melusine

L’Oper Frankfurt rende omaggio ad Aribert Reimann, fra i più grandi operisti europei degli ultimi cinquant’anni ma ancora scandalosamente ignoto o quasi ai palcoscenici italiani. La ripresa di Melusine al Bockenheimer Depot mostra un Reimann già giovane maestro di inquietudine e trasparenze sonore. Con L’invisible, la sua ultima opera, il teatro ne celebra invece la maturità estrema: un linguaggio rarefatto, lucidissimo, che fruga negli interstizi del non detto. È un doppio omaggio che rivela la coerenza e la profondità di un percorso creativo unico. E ricorda all’Italia una verità scomoda: l’Europa dell’opera contemporanea non aspetta chi resta indietro.