Kirill Petrenko, il gesto e la danza
Ritorno del direttore con l’OSN Rai: in programma Janáček, Bartók e Beethoven
16 ottobre 2025 • 3 minuti di lettura
Auditorium Rai Torino
Kirill Petrenko e l'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
15/10/2025 - 17/10/2025Quello di Kirill Petrenko con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai di Torino è un rapporto privilegiato che dura da più di vent’anni. È un privilegio di cui Torino sembra quasi non accorgersi. Se fosse una città appena un po’ più musicofila, a ogni ritorno all’Auditorium «Arturo Toscanini» di una delle poche autentiche figure di riferimento mondiali della musica classica, com’è il Direttore principale e Direttore artistico dei Berliner Philharmoniker, ci sarebbero transenne all’ingresso presidiate da forze dell’ordine atte a contenere una folla pigiante per accaparrarsi un posto lasciato vuoto all’ultimo momento da un’autorità cittadina.
Invece, il tono ‘dimesso’ dei suoi concerti torinesi, senza transenne, folla e autorità cittadine, con addirittura alcuni posti vuoti in sala (quando ovunque i suoi concerti fanno il tutto esaurito e a Berlino il prezzo medio si aggira sulle tre cifre) dà ai partecipanti la sensazione lussuosa dell’intimità. Niente retorica del “grande evento”, solo musica. Perciò è bene, gentile lettore, che tu non lo dica troppo in giro.
Al concerto del 15 ottobre (replica il 16 a Torino, il 17 a Bologna), come già altre volte, Petrenko ha presentato in anteprima dei titoli che ha in programma nella stagione dei Berliner. In questo caso, si tratta delle Danze Lachiane (1888-1890, rev. 1927) di Leoš Janáček, della Suite da concerto del Mandarino meraviglioso (1927) di Béla Bartók e della Seconda sinfonia (1802) di Ludwig van Beethoven.
La freschezza delle Danze di Janáček, sortite da un’immersione nella musica popolare morava, guizza in strappi e salti che popolano di vita un paesaggio naturale reso da Petrenko sfolgorante. Impressionante lo scontro di forze tra le masse di fiati e di archi, sempre tutti perfettamente in rilievo nella densità armonica e contrappuntistica di una scrittura simile. Con Bartók, il virtuosismo dell’orchestra nell’articolazione delle frasi, solistiche o d’insieme, scandite prodigiosamente fino all’esasperazione del dettaglio, arriva a una brutalità fisica che sembra prediligere il puro gesto violento: nel fugato finale, ad esempio, l’ingresso dei violini era coperto dalle pulsazioni concitate della parte grave dell’orchestra. Forse troppo? Sarà, ma funzionava. Quanto a Beethoven, i momenti più incisivi dell’interpretazione di Petrenko ci sono sembrati quelli dalla spiccata gestualità militare e soprattutto l’intero ultimo movimento, realizzato con una ruvidezza e una precisione mirabile nei tempi, con quel suo tema sghembo che prende alle spalle quando meno te lo aspetti. L’eccezione era la soavità celestiale del Larghetto, pure diretto con lo spirito della danza: non la danza popolare della Moravia, non la danza feroce del balletto espressionista, ma la Grande Danza Cosmica immaginata da C. S. Lewis in Perelandra, dove ogni piccola particella di musica, ogni minima variazione dinamica, è al centro dell’universo tanto quanto la grande. Siccome davanti a tanta bellezza la parola è insufficiente, la recensione finisce qui. Ma con il dato che il pubblico ha festeggiato l’Orchestra e Petrenko con raffiche a squarciagola di “Bravo!”. Alla prossima, Maestro.