Grande Scarlatti senior ! Anche se in versione mini

Con molti tagli, ma con una buona esecuzione, è approdato al Goldoni di Firenze il Ciro prodotto dall’Academia Montis Regalis

ET

11 ottobre 2025 • 5 minuti di lettura

Ciro
Ciro

Teatro Goldoni, Firenze

Ciro

10/10/2025 - 11/10/2025

Le rare volte che ci è capitato di ascoltare dal vivo la musica di Alessandro Scarlatti, ad esempio qualche anno fa (2015), al Verdi di Pisa, l’opera Il trionfo dell’onore, poi nel contesto di un programma strumentale imperniato sul Settecento italiano al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze (2019), in queste e altre rare occasioni, ci siamo chiesti perché mai un musicista di questo calibro per studiati e profondi intrecci compositivi, ricchezza  d’invenzione, capacità di svolgere i concetti e gli affetti del testo, non meriti una ricollocazione nell’Olimpo dei grandi autori del Settecento, non solo nella reputazione presso gli studiosi – lì la cosa, ci sembra,  è già ampiamente appurata – ma anche nelle programmazioni delle stagioni e festival. L’occasione del terzo centenario della morte ha riaperto il capitolo Alessandro Scarlatti anche da questo punto di vista, e una  celebrazione dello Scarlatti senior, oltre a quelle di cui il GdM ha dato notizia (Bologna, Roma, festival Femart), è arrivata a Firenze, dove il Teatro del Maggio ha accolto questo Ciro, prodotto da una storica istituzione della musica antica italiana come l’Academia Montis Regalis, nella dimensione del piccolo e bel Teatro Goldoni in Oltrarno, la dimensione giusta per apprezzare una rarità barocca in prima esecuzione moderna.

   Si tratta infatti di un’opera a lungo studiata e poi riedita nel 2017 da Nicola Badolato, che solo ora è arrivata alla pubblica esecuzione, e in una città, Firenze, che con Scarlatti senior ha molto a che vedere, giacché egli ebbe a lungo committenze dal famoso principe musicofilo Ferdinando dei Medici, per  il teatro della villa medicea di Pratolino e per i teatri pubblici toscani, al punto da sperare invano in una stabile collocazione fiorentina che poi non si realizzò. E non fu questo l’unico degli scacchi della carriera di Alessandro Scarlatti, spesso criticato e osteggiato proprio per la complessità della sua scrittura, che, soprattutto in luoghi di teatro impresariale come Venezia, e anche a Napoli, lo faceva posporre a compositori di più facile vena melodica, ritenuti più adatti al grande pubblico. Comunque sia, l’idea di un uditorio scelto e intenditore piaceva ad un altro cospicuo  mecenate, il cardinale Pietro Ottoboni, che nel prendere possesso del Palazzo della Cancelleria Apostolica ne fece una delle sedi più prestigiose della  vita musicale e artistica romana, annettendovi un teatro in cui, in una data non ben stabilita fra la fine del 1711 e l’inizio del 1712, questo Ciro andò in scena, con un cast di prima sfera, fra cui ricordiamo almeno il celeberrimo contralto senese Francesco Bernardi detto “Il Senesino”, ben noto ai cultori di Haendel.  

   Forse le orecchie degli ascoltatori del XXI secolo hanno meno problemi con la complessità a suo tempo rimproverata a Scarlatti… chissà, ma il fatto è che venerdì al Goldoni l’attenzione era  profonda, e il consenso finale è stato cordialissimo, e molto prolungato, dopo le esecuzioni di una sfilza di arie una più bella dell’altra per qualità dell’invenzione, della costruzione, della strumentazione. Vi rifulgeva un talento scarlattiano particolare per affetti foschi di rancore, vendetta, rivalsa, odio, aggressività, tormento, sviluppati non solo nelle arie ma anche in alcuni splendidi recitativi accompagnati. La palma, fra le arie, la daremmo ad  un’aria tenebrosissima di odio come quella del malvagio re usurpatore Astiage (“Tormentoso augello eterno”) e all’aria d’ombra di Arpago (“Io non voglio, o spirto amato”) preceduta da un intenso recitativo.

     I tagli hanno ridotto a circa due ore e mezzo di musica e due atti una partitura più lunga, e qui in particolare sono stati sacrificati, sembrerebbe, i recitativi. A parte la questione di principio, il fatto è ché appunto i recitativi servono a informare su fatti e antefatti da cui scaturiscono i moti e sentimenti che poi si cristallizzano nell’aria. Pertanto confessiamo che della trama in sé, e del come e perché agiscono i personaggi, abbiamo capito poco, e abbiamo l’impressione che ne abbiano sofferto in particolare personaggi come Arsace e Arpago, personaggi complessi e divisi fra affetti diversi, il cui, per dir così, cambio di campo rende possibile il lieto fine. Quello che abbiamo capito è che c’era il solito principino neonato (Ciro) già condannato a morte da  un padre crudele ma poi allevato come pastorello col nome di Elcino, che alla fine, recuperata la propria identità, da re di Persia legittimo e non da pastore, ha la meglio sull’usurpatore Astiage; che c’è un altro giovane ammazzato, il figlio di Arpago (ma non abbiamo capito perché); e che il riconoscimento avviene per la solita faccenda di panni del bebè  (ma non abbiamo capito come). Insomma un mix di archetipi teatrali millenari dall’Edipo Re alle Nozze di Figaro passando per il Pastor Fido, il tutto reimpastato nel libretto dell’Ottoboni, intriso di una certa mutria arcadica, che ricalca senza originalità le tipiche comparazioni con saette, tempeste, cacciatori in agguato e via discorrendo.  

   Con tutto ciò, siamo contentissimi al pari del pubblico che questo Ciro sia approdato a Firenze. Infatti la componente musicale era buona, con la guida  accorta e in molti momenti ben vibrante di Chiara Cattani sul podio della giovane orchestra barocca dell’Academia Montis Regalis, e la piccola dimensione del teatro e del complesso strumentale ha favorito indubbiamente l’esecuzione, e in particolare il gruppo dei continuisti, all’erta di  necessità in qualsivoglia scrittura barocca armonicamente variegata. Complessivamente molto buono il cast in cui spiccavano  a gusto di chi scrive il protervo Astiage qui al femminile di Margherita Maria Sala e l’Arpago intenso e tormentato di Giuseppe Valentino Buzza, ma bene anche gli altri, Christian Senn come Mitridate, Anita Giovanna Rosati come Erenia, Dennis Orellana come Ciro, in realtà più negli svettanti trionfi vocali dell’agnizione-trionfo che nel tratteggio iniziale dell’inquieto pastorello, Rémy Brès Feuillet, Arsace, Mathilde Legrand, Sandane. Di fronte ad una così spiccata riduzione all’osso degli elementi di trama, la regìa di Maria Paola Viano non poteva che ripiegare su una lettura un po’ generica all’insegna delle inquiete aspirazioni del mondo giovanile di ragazzi e ragazze, Ciro, Arsace, Erenia, Sandane, e l’ha fatto con una certa scioltezza e spigliatezza, in un’aura di atemporalità assecondata dai costumi di Giovanna Fiorentini e dalle scene di Darko Petrovic, semplici ma sullo sfondo degli splendidi fondali originali del grande Filippo Juvarra.