Musikàmera chiude la stagione nel segno di Scarlatti

A Venezia l’ensemble barocco I Bassifondi diretto dal liutista Simone Vallerotonda presenta in prima moderna la serenata “Clori, Lidia e Filli” per i 300 anni della morte del compositore

SN

06 novembre 2025 • 3 minuti di lettura

I Bassifondi (Foto Vitale Fano)
I Bassifondi (Foto Vitale Fano)

Sale Apollinee del Teatro la Fenice

Clori, Lidia e Filli

04/11/2025 - 05/11/2025

Nel segno della memoria e della riscoperta, Musikàmera ha concluso la sua stagione alle Sale Apollinee del Teatro La Fenice con un raffinato omaggio ad Alessandro Scarlatti, di cui ricorre quest’anno il trecentesimo anniversario della morte. Un tributo che idealmente si è posto in continuità con la stagione lirica maggiore del teatro veneziano, dove lo scorso marzo, al Teatro Malibran, si era vista Il trionfo dell’onore https://www.giornaledellamusica.it/recensioni/le-geometrie-erotiche-dello-scarlatti-comico, opera buffa che ha restituito il volto brillante e teatrale del compositore. Con la serenata a tre voci Clori, Lidia e Filli, presentata in prima esecuzione moderna, si è voluto invece esplorare l’altra dimensione di Scarlatti: quella più intima e pastorale, in cui la voce si fa specchio degli affetti e l’orchestra diventa paesaggio interiore. 

La serenata Clori, Lidia e Filli, su testo anonimo napoletano o romano, è una piccola gemma del barocco italiano. Le tre ninfe protagoniste incarnano tre volti dell’amore: Clori, malinconica e gelosa, vive la contraddizione tra speranza e dolore; Lidia, più razionale ma ugualmente ferita, crede ancora nella possibilità di una fedeltà sincera; Filli, disincantata e fiera, esalta invece la libertà come unica difesa contro i capricci dell’amore. Attraverso recitativi e arie che si intrecciano in un dialogo continuo, Scarlatti costruisce una raffinata allegoria femminile in cui si specchiano passione, gelosia e desiderio di indipendenza. Nel finale, le tre voci rimangono sospese in un equilibrio di contrasti: mentre Lidia riafferma la necessità di amare anche a costo della sofferenza, Clori e Filli celebrano la dolce libertà della rinuncia all’amore (“Libertà, libertà” recita l’ultimo verso del testo poetico di anonimo). Una piccola meditazione barocca in musica sull’animo umano, in cui la grazia pastorale si unisce all’introspezione psicologica. 

Eseguita a Napoli probabilmente nel giugno 1701 in occasione della festa del Corpus Domini, questa serenata giaceva dimenticata in un manoscritto conservato alla Biblioteca del Conservatoire Royal di Bruxelles. La ricostruzione moderna, curata da Elia Pivetta e riportata in vita da Simone Vallerotonda con l’ensemble I Bassifondi, restituisce a questo lavoro la sua originaria freschezza di ispirazione nella sostanziale fedeltà al manoscritto scarlattiano. Unica trasgressione: l’inserimento della Sonata n. 3 dal Concerto Grosso in fa maggiore come Sinfonia che introduce la seconda parte della composizione. La scrittura a tre voci femminili, sorretta da due violini, viola, liuto e basso continuo, costituisce un unicum nella produzione scarlattiana per la presenza di una viola e per il rilievo assegnato al liuto, che in un’aria centrale diventa interlocutore “obbligato” di Filli (e a loro risponde il concerto grosso dei violini e cembalo). 

Nella doppia veste di direttore e liutista, Simone Vallerotonda ha condotto l’ensemble con gusto filologico e precisione, lasciando emergere ogni dettaglio timbrico e libertà inventiva secondo la prassi barocca mantenendo l’equilibrio dell’insieme strumentale. Sul piano vocale, le tre interpreti hanno caratterizzato efficacemente i diversi caratteri delle ninfe: Gaia Petrone (Clori), con un timbro vocale profondo e vellutato, rendeva bene il temperamento malinconico; il canto limpido di Francesca Boncompagni (Lidia) trasmetteva credibilmente l’incrollabile fede nel potere dell’amore, mentre Valeria La Grotta (Filli) comunicava incisivamente il forte temperamento del personaggio con slancio e acuti luminosi. Di gusto teatrale molto curato i frequenti intrecci vocali trasformano questa serenata dall’intreccio pressoché inesistente in un piccolo dramma di introspezione psicologica, amplificato nella forza comunicativa dall’esecuzione nello spazio teatrale ridotto delle Sale Apollinee, più coerente con la natura cameristica della composizione. 

Il pubblico veneziano, accorso numeroso nelle due date in programma, ha seguito con attenzione partecipe e tributato lunghi applausi a tutti gli interpreti.