Un’inattesa liaison tra Alessandro Scarlatti e la Polonia
Per il tricentenario del compositore siciliano è stato eseguito a Roma l’oratorio San Casimiro, re di Polonia
30 settembre 2025 • 4 minuti di lettura
Roma, Basilica dei Santi Apostoli
San Casimiro, re di Polonia
28/09/2025 - 28/09/2025Ora che l’anno del trecentesimo anniversario della sua morte sta volgendo al termine, si assiste a un crescendo delle celebrazioni di Alessandro Scarlatti. Non passa settimana senza che una qualche sua composizione o dimenticata da secoli o rara venga riportata alla luce in qualche città italiana, soprattutto a Palermo, dove nacque, e a Roma e Napoli, dove svolse gran parte della sua attività. Ora il suo oratorio “San Casimiro, re di Polonia” è stato eseguito a ventiquattr’ore di distanza a Palermo e a Roma. Il fatto che ce ne siano giunte varie copie manoscritte, tra cui corrono alcune differenze, è indizio che all’epoca ebbe varie esecuzioni, ma la prima fu proprio a Roma, probabilmente il 12 settembre 1704 a Palazzo Zuccari, residenza della regina Casimira, vedova del re polacco Giovanni Sobieski, che si era stabilita a Roma, ricalcando le orme della regina Cristina di Svezia e diventando come lei una grande mecenate delle arti. L’Istituto Polacco di Roma le ha dedicato il Sobieska International Music Festival, giunto ora alla seconda edizione.
Barocco nel significato deteriore del termine è il libretto di quest’oratorio, il cui autore è restato anonimo. I personaggi sono cinque. Uno - San Casimiro - è un personaggio storico, ridotto dal testo a stucchevole esempio di virtù cristiana. Gli altri quattro sono personaggi allegorici: Amor Profano, Regio Fasto, Castità e Umiltà. Ma sorvoliamo su quei versi zoppicanti e privi di interesse per gli ascoltatori di oggi e - credo - anche di trecentoventi anni fa. Passando alla musica, il panorama cambia totalmente e ci troviamo di fronte a un capolavoro del barocco musicale, in questo caso usando tale termine non nell’accezione negativa che gli si dava in un tempo non troppo lontano, ma per denotare un periodo artistico di straordinaria ricchezza.
Barocco è, per esempio, il fatto che non sia possibile prevedere come Scarlatti tratterà quel testo banale e che forma darà a ogni singolo “numero” della partitura. La sinfonia iniziale - che è diversa nei vari manoscritti - è una sorta di sonata a solo, che mette insieme virtuosismo ed eleganza, armonia audace e libertà formale, creando qualcosa di nuovo e inatteso, come invitando l’ascoltatore a prepararsi a un viaggio ricco di sorprese. Poi entra in scena l’Amor Profano, che, come se non si accorgesse delle banalità del libretto, intona un’aria splendida, inanellando una serie di ardimentosi vocalizzi, cantati con precisione e allo stesso tempo con morbidezza dal soprano Anastasia Terranova. All’aria segue un recitativo accompagnato dal basso continuo, ma cento volte più plastico, intenso e vario del recitativo secco che si sarebbe imposto pochi anni dopo. Sorprendentemente dopo il recitativo viene ripresa la parte iniziale dell’aria precedente, che diventa così un da capo fuori da ogni schema. Ma non c’è la regolare successione di recitativi secchi ed arie col da capo snocciolata dai compositori successivi. Ed è fuori da ogni regola anche che l’Amor Profano canti tre arie una dopo l’altra.
Intervengono poi uno alla volta gli altri quattro personaggi, che il libretto si limita a mettere l’uno accanto all’altro, senza alcun reale rapporto tra loro, tranne che in pochi e brevi momenti, magnificamente sfruttati da Scarlatti, che riesce a ravvivare con la musica una drammaturgia banale, piatta e priva d’interesse. Quando Castità e Umiltà hanno un recitativo in comune, lo trasforma in un ibrido tra recitativo e duetto, con le voci che si allacciano e si intrecciano contrappuntisticamente. Nei due duetti veri e propri, coniuga elegante bellezza della melodia e raffinato contrappunto, per non parlare dell’armonia, sempre mobilissima, che contribuisce molto a rendere viva e palpitante questa musica. E spesso ha degli scatti molto originali, come un’aria che anticipa le arie di furore e sembra presagire la mozartiana Regina della Notte - ma è meno pirotecnica - e un’altra aria in cui fa capolino un ritmo di polacca, sicuramente in omaggio alla patria di San Casimiro.
Buono il livello l’esecuzione. Precisi e attenti i sette strumentisti dell’Arianna Art Ensemble, diretto da Fabio Ciulla. Quattro dei cinque personaggi erano affidati a voci femminili e gli elogi fatti ad Anastasia Terranova vanno ripetuti per gli altri due soprano Valeria La Grotta (Fasto Regio) e Debora Troia (Castità) e per il contralto Aurora Bruno (Umiltà): voci giovani e fresche, tecnica precisa e fluida, consapevolezza stilistica. San Casimiro era interpretato dal tenore Luca Dordolo, che appartiene alla generazione di barocchisti precedente a quella delle quattro voci femminili, rispetto alle quali ha più esperienza e piglio più autorevole ma minore naturalezza e facilità nelle agilità.
Altra protagonista era la basilica dei Santi Apostoli, che ha l’onore di costudire le spoglie di Girolamo Frescobaldi ma è inadatta alla musica, a causa di un’acustica infelice. Nei suoi vasti spazi le voci si sperdevano e impallidivano e allo stesso tempo il forte riverbero le avvolgeva in una sorta di nebbiolina sonora. Ma l’orecchio presto si adattava e riusciva in qualche modo a correggere i difetti dell’acustica. E giustamente il numeroso pubblico ha applaudito con grande calore Alessandro Scarlatti e i suoi interpreti.