Ode alla dignità della donna
Disdemona_Cattiva stella manifesto scenico contro la violenza sulle donne, tra femminicidio e sfruttamento sul lavoro
11 ottobre 2025 • 4 minuti di lettura
Parma, Lenz Teatro – Festival Verdi
Disdemona_Δυσδαιμονία Cattiva stella
07/10/2025 - 10/10/2025Se è vero che questo nuovo allestimento segna la ripresa della ricerca di Lenz Fondazione dedicata alle opere verdiane in collaborazione con il Festival Verdi – indagine già coltivata tra il 2014 e il 2019 con i progetti Verdi Re Lear, Autodafé dal Don Carlos, Paradiso. Un pezzo sacro e Verdi Macbeth – e inserita quest’anno nel programma “Ramificazioni”, è altrettanto vero che Disdemona_Δυσδαιμονία Cattiva stella parte certo dall’Otello di Verdi-Boito ma per far ritorno a Shakespeare e poi arrivare dagli scritti sulla condizione operaia (La condition ouvrière, raccolta pubblicata postuma dalle Éditions Gallimard nel 1951) di Simone Weil, ampliando così la prospettiva drammaturgica fino a moltiplicare la protagonista in un plurale femminile che rivendica dignità, giustizia, libertà.
Una sorta di manifesto scenico-teatrale che ha trovato la propria significativa dimensione nello spazio ex industriale della Sala Majakovskij presso la sede di Lenz Teatro a Parma, grazie alla drammaturgia e imagoturgia di Francesco Pititto, la composizione e installazione di Maria Federica Maestri e le elaborazioni sonore di Andrea Azzali realizzate con la consulenza musicale di Adriano Engelbrecht.
In questa dimensione, la vicenda che fonde la gelosia di Otello e la sete di vendetta e di potere di Jago diviene pretesto e viatico per una simbolica incarnazione scenica e vocale di una società patriarcale, dove l’universo maschile – generato e nutrito dalla sintesi tra l’ottusa e violenta autoreferenzialità del Moro di Venezia da un lato e l’egotica assenza di scrupoli del suo antagonista-complice dall’altro – viene fronteggiato da una falange di donne in cerca di emancipazione e riscatto.
Come evidenziano le note dello stesso Pititto, «DIsdemona è un unicum, una nuova eroina, ancora da svelare per alcuni aspetti che ne amplificano la caratura drammatica, che dalla vicenda personale la proiettano in una dimensione di riscatto collettivo. Desdemona decide fin dall’inizio il proprio destino così come decide di lasciare che il corso del destino avverso prosegua fino alla morte […] DIsdemona decide di rappresentarsi non in una ma in molte protagoniste del proprio futuro, di farsi simbolo di resistenza e rivolta femminile alla struttura produttiva, e ripetitiva, di forme di violenza patriarcali e di dominio. […] DIsdemona, così nominata per la sua derivazione dal greco antico nel significato di “disgraziata dal cattivo destino”, implode tutto quanto è esploso nelle azioni, nelle battaglie, nelle tragedie delle grandi eroine che ne hanno delineato la forma, o semplicemente delle donne, figure di femmine mai riconciliate».
Così, una schiera di macchine da cucire con il loro incedere meccanico segnano il tempo di un lavoro senza consapevolezza o prospettiva, essenzialmente funzionale alla produzione seriale che cuce un tessuto anonimo come chi lo lavora, simbolo e pretesto materico-funzionale che rispecchia amplificandolo quel famoso “fazzoletto” che scatena il dramma rimbalzando quale prova pretestuosa nel triangolo Otello-Desdemona-Jago. Un triangolo che diviene una morsa nella quale la stessa Desdemona si trova intrappolata e dalla quale cerca di liberarsi con la forza della dignità rappresentata dall’Ave Maria, quella preghiera prima sussurrata e poi gridata collettivamente in faccia all’uomo-maschio-prevaricatore. Una narrazione scenica che prende forma nel corso delle sei sequenze che compongono un percorso rappresentativo che intreccia emblematici frammenti vocali e musicali – "Che ascondi nel tuo core? Che ascondo in cor, signore?", "Credo in un dio crudel che m’ha creato simile a sé e che nell’ira io nomo", "Uccidimi domani, domani / Lasciami vivere questa notte, ancora questa notte", "Pria d’ucciderti... sposa... ti baciai / Or morendo... nell’ombra... in cui mi giacio… / Un bacio... un bacio ancora... un altro bacio…" – con il testo che descrive la condizione delle operaie: "Reggere con la mano e spingere con un dito sull’incastro; non prendere MAI il pezzo con la mano”, “Tenere il piede sempre appoggiato sul pedale”, “Non dimenticare che il SONNO è la cosa più necessaria al lavoro", "La grande industria è quel che è. Il meno che si possa dire è che essa impone dure condizioni di esistenza".
Un’azione scenica intensa – in cui alla meschina vigliaccheria dell’uomo prevaricatore si contrappone il disarmante coraggio della donna capace di mangiarsi il cuore – ben restituita dall’impegno dall’attrice Valentina Barbarini, dalle voci di Giulia Costantini (soprano, già allieva di Accademia Verdiana) e di Lorenzo Marchi (tenore) e dalla presenza scenica delle dodici donne che hanno disegnato i movimenti nello spazio teatrale della Sala Majakovskij: Tiziana Cappella, Giuseppina Cattani, Silvia Cleonice, Fabrizia Dalcò, Nicole Dayanna Gonzalez, Olha Lopatynska, Ivana Manferdelli, Giada Michelle Mbock, Valeria Moscardino, Elena Nunziata, Agata Pelosi e Carlotta Spaggiari. La seconda recita alla quale abbiamo assistito è stata alla fine salutata da un convinto successo da parte dell’attento pubblico presente.