Simon Rattle dirige un Parsifal intimo e ricco di sfumature, ma il suo approccio consciamente antitradizionalista frustra gli appassionati wagneriani.

"Morte a Venezia" in chiave di neoclassicismo novecentesco: il bello spettacolo di Pier Luigi Pizzi per l'ultima opera di Benjamin Britten (1973) rinnova al Comunale di Firenze il successo ottenuto due anni fa a Genova, appoggiandosi alla concertazione di Bruno Bartoletti ed al nutritissimo cast capeggiato da Jerry Hadley nel ruolo di Gustav von Aschenbach

Libretto velleitario e confuso e musica poco teatrale: anche questa volta Consuelo non passa l'esame. Sarebbe invece interessante riporporre la musica strumentale di Rendano

Insuccesso per il Rigoletto andato in scena al Malibran, complici tutte le componenti dello spettacolo: regia scenografia, cast, direzione orchestrale.

The Rake's Progress ritorna dopo quarant'anni sul palcoscenico dell'English National Opera, in una produzione fin troppo contemporanea che su uno sfondo di dissolutezza sessuale rischia di snaturare il carattere di favola morale del lavoro profondamente classico di Stravinsky

GENOVA. In una Gaza distrutta dalla guerra, fra rottami di auto, marmitte e portiere, si consuma, al carlo Felice nello spettacolo inaugurale della stagione, la storia di Sansone e Dalila. L'opera di Saint-Saens, presentata in edizione originale con i sovratitoli in italiano, è stata diretta con buona verve da Michel Plasson, Discutibili le scelte registiche di Hugo de Ana che ha puntato su una visione postmoderna dello spettacolo. Il pubblico si è diviso, anche se hanno probabilmente prevalso gli applausi. Ottima il cast vocale dominato da Clifton Forbis, Sansone, e Dolora Zajick, Dalila.

L'Amour de loin de Kaija Saariaho et Amin Maalouf, mis en scène par Peter Sellars, créé à Salzburg en août 2000, en coproduction avec le Théâtre du Châtelet. Nouvelle production dans ce même théâtre en novembre 2001.

Spettacolo senza dubbio 'originale' sostenuto dalla presenza scenica di Milva e dalle capacità attoriali di Riondino. Meno convincente l'impianto musicale di Tutino a cui pare mancare una vera direzione ed un'impronta a caratterizzare musicalmente la vicenda.

Gatti sul podio e regia di Pizzi per il nuovo allestimento verdiano: tra i mattoni delle perfierie inglesi tardottocentesche vince il tono della melanconia del grande vecchio in una lettura "sombre" che trova un eccellente Pertusi al debutto del ruolo protagonista.

Jérome Savary rilegge Carmen: ma il suo talento teatrale, irriverente e colorato, questa volta si perde in un colossale pastiche, dove l'unica idea (Carmen androgina che ama una lesbica Micaela) avremmo voluta vederla in una vera regia di una vera Carmen

Teatro nel teatro, metateatro, teatro di maschere come pretesto di una decisa virata antinaturalista in ancor piena anzi pienissima stagione "verista", in un profluvio di citazioni, autocitazioni e omaggi che arieggia già al Neoclassico e a tante altre cose importanti del Novecento... di fronte a "Le maschere" di Pietro Mascagni, di cui il Cel (Comitato Estate Livornese) - Teatro di Livorno per il cartellone di Città Lirica (la stagione d'opera Lucca-Pisa-Livorno) ha realizzato alla Gran Guardia una pregevole ed azzeccata 'edizione del centenario', è difficile esimersi dal tirare in ballo una gloriosa lista di titoli, dall'"Arianna a Nasso" a "Pulcinella" all'"Amore delle tre melarance" (con segno diverso alla stessa "Turandot"), e, quanto al teatro parlato, con tutt'altra intenzione e temperie, persino al denudamento pirandelliano della maschera. L'origine dell'idea sarà magari altra e più modesta, un goldonismo bonario e manierato di marca ottocentesca, le pubblicazioni degli antichi scenari della Commedia dell'Arte nell'ambito della cultura positivista... ma è un fatto che ancora una volta, com'era successo poco prima con "Iris", Mascagni, alla ricerca di qualcosa di diverso dal modulo verista di "Cavalleria" che gli aveva dato il successo, volge all'intorno con prontezza le antenne del suo genio vivace e scriteriato. Confeziona così un'opera in cui i Personaggi non sono Sei ma nove, Pantalone, Rosaura, Florindo, Graziano, Colombina, Arlecchino, Capitan Spavento, Brighella e Tartaglia, più l'impresario Giocadio della cornice metateatrale iniziale. Anche se certe soluzioni drammaturgiche e musicali sono affini (dalla presenza di ruoli parlati, qui l'impresario della Parabasi iniziale, alla drastica riduzione settecentista dell'orchestra), nessuno vorrà certo sostenere che i risultati siano paragonabili ai titoli che si sono fatti sopra; e tuttavia, a riascoltarla, l'opera, dominata da poche ma azzeccate invenzioni musicali, ha una sua stramba seduzione di cui forse è persino difficile dar conto. Il tipico melos naturalista è contenuto in una fraseologia breve e quadrata (diciamo pure neoclassica o almeno ciò che Mascagni sembra intendere per tale) adattabile agli amabili strambottini di cui è costituito il libretto dell'espertissimo Luigi Illica (lo stesso che con "Iris" aveva precocemente intuito e suggerito a Mascagni un teatro, più che di esotismo, di idee e simboli), in una petizione di leggerezza che sembra quanto di più distante dal temperamento di Mascagni; ma il tutto si sostanzia di un affetto vero per il mondo delle maschere, per le vecchissime trame padri burberi-figli innamorati che risalgono nientemeno che alla Commedia Nuova ateniese, per il Settecento italiano di Paisiello e Cimarosa (intuibili in palinsensto nel brio dei violini, nel trattamento comico degli strumentini). Un affetto, un sogno tinto dei colori della commedia ma che spesso diventa curiosamente malinconico, fino al coro finale in lode delle maschere italiane, inappropriatamente ma anche seducentemente struggente. È stata, quella di Livorno, una buona edizione. La concertazione non proprio rifinita ma scorrevole e funzionale di Bruno Aprea si appoggiava su un'orchestra e coro di più che accettabile efficienza e su un copioso cast omogeneo e molto ben preparato, con il veterano Graziano Polidori come Pantalone e in cui spiccavano per simpatia e musicalità il Tartaglia di Giorgio Caoduro, per momenti di canto aggraziato il Florindo di Maurizio Comencini e la Rosaura di Raffaella Angeletti, per fisicità l'Arlecchino di Alessandro Cosentino. Ma ciò che contava era l'effetto Lindsay Kemp: l'artista inglese firmava scene, costumi e regia, una regia di lazzi stilizzatissimi contrapposti a immobilità da belle statuine e generalmente ritmata sulla musica (cosa che dopo decenni di ponnellismo potrebbe anche dare uggia ma che per queste "Maschere" ci è sembrato che andasse benissimo), una scena che è un omaggio all'estetica teatrale illusionista dei praticabili e dei fondali dipinti, ma straordinariamente nobilitata dalle splendide pitture sceniche di Mark Baldwin (un corteggio di maschere-animali un po' alla Chagall, una Venezia in verde e rosa volutamente di maniera, una scena pulcinellesca che invece arieggia a Goya e Daumier). Effetto Lindsay Kemp, ossia ci si ritrovava ad applaudire come bambini cose come il tableau fermÈ, con i Pulcinella rossi ballerini in primo piano in un'orgia di colori netti illuminati a giorno, alla fine della Furlana del secondo atto, e queste "Maschere" si rivelavano capaci di sollevare nella roccaforte mascagnana della Gran Guardia un'ondata di piacere teatrale su cui forse, all'inizio della serata, non tutti avrebbero scommesso.

Andato in scena Rigoletto al teatro politeama di Prato. Tutti in evidenza gli strumenti nella lettura di Pizauti. Cantanti: ottima Gilda, Rigoletto e Duca di potenza, senza troppe sfumature.

inserite qui il testo in breve

Dopo centododici anni di comprensibile oblio ripresentato a Cosenza e ora a Roma il saggio scolastico di Francesco Cilea: a quando i compiti d'armonia di Mascagni?

Eseguita con vivo successo al Teatro Massimo di Palermo l'opera "comica" di Alessandro Scarlatti Il Trionfo dell'onore (1718) con l'Europa Galante diretta da Fabio Biondi e la regia di Maurizio Scaparro. I cantanti hanno reso ottimamente le tante meraviglie della partitura scarlattiana ingiustamente dimenticata e prodotta all'interno del III Festival Scarlatti.

Un nuovo allestimento del "Matrimonio segreto" ha aperto la programmazione lirica triennale prevista tra Teramo e Atri (sempre in provincia di Teramo); nel piccolo ma splendido Teatro di Atri, il dramma giocoso di Cimarosa ha ottenuto un franco successo, avendo potuto contare su una compagnia equilibrata e ben preparata, soprattutto nei numeri con orchestra e nella resa chiara e articolata, all'interno di essi, della parola

Ripreso da Pier Luigi Pizzi lo spettacolo da lui realizzato insieme a De Lullo nel 1968, che segnò una svolta storica nella messa in scena operistica

Prosegue la sperimentale stagione del Piccolo Regio Laboratorio con uno spettacolino di Roberto Masotti e dell'Impressive Ensemble, quasi un quaderno di appunti sulla poesia (e i tarocchi) di Alejandro Jodorowsky

Il grande equilibrio tra qualità della messinscena e della partitura ha assicurato il successo di uno spettacolo molto ben concepito. Buona la prova sia dell'orchestra che deli interpreti vocali grazie alla direzione e concertazione di Giancarlo Andretta al clavicembalo nei recitativi secchi.

Dopo quasi trent'anni una nuova produzione all'English National Opera del "kolossal" di Prokofiev supera brillantemente le intrinseche difficoltà della messa in scena e si dimostra un'ottimo sforzo collettivo

"Attila" fra le sculture di Marino Marini: una rilettura in chiave mitico-moderna dell'opera giovanile di Giuseppe Verdi, nobilitata dalla bella concertazione di Roberto Abbado e da un cast in cui spiccavano il possente Attila di Ferruccio Furlanetto e la rivelazione di questo "Attila", Dimitra Theodossiou nel ruolo di Odabella.

Il "Tancredi" di Rossini oscilla vistosamente tra linguaggio settecentesco e ottocentesco. Alla scansione aria-recitativo si accompagnano momenti di novità che richiamano la sensibilità romantica. Da una scrittura così concepita hanno tratto vantaggio le voci che hanno travato la condizione ideale per mostrarsi in tutta la loro bellezza.

Una Bohème di ordinaria amministrazione, riscattata dalla naturalezza e dalla spontaneità dei giovani bohèmiens

Alla Scala la ripresa di Macbeth nell'edizione 1997: scene e regia sempre deludenti, ma con la gradita sorpresa della strepitosa Lady di Paoletta Marrocu

È il Wozzeck di Fabio Vacchi: soluzione unica, cinque "sequenze" regolarmente scandite al loro interno, che hanno riportato successo caldo con qualche defezione

Nel suo "Lear", il compositore Aribert Reimann ha messo una forza tragica immensa, barbarica, che la regia di Luca Ronconi ha trasformato in una "passione" di intensità grandiosa, perfetta

L'anima del filosofo, l'opera scritta da Haydn per Londra ma mai rappresentata, raggiunge finalmente i palcoscenici londinesi per rivelarsi un lavoro incompleto e di scarsa coesione drammatica.

Qualche perplessità sulle soluzioni registiche dell'allestimento in forma semiscenica, buona la compagnia di canto e nel complesso la resa musicale