La farsa fa la sentimentale

Prima rappresentazione moderna al ROF, nella sezione Il Mondo delle Farse, dell'Adelina di Pietro Generali: un'operina di scarsa personalità, però utile a conoscere meglio l'ambiente in cui il giovanissimo Rossini mosse i primi passi.

Recensione
classica
Rossini Opera Festival Pesaro
Pietro Generali, revisione sull'autografo di Federico Agostinelli
09 Agosto 2003
Facili ed economiche (in un atto, senza cambi di scena, con un'orchestra ridotta, senza coro, con pochi personaggi, senza comparse) le farse ebbero un ruolo importante nella diffusione dell'opera a tutti livelli, favorendo l'apertura di numerosi teatri in città grandi e piccole. Non erano farsesche nel senso che noi diamo oggi a questo termine, anzi erano per lo più tratte da commedie francesi che portavano in scena caratteri e costumi della società contemporanea, con un'ironia non sofisticatissima ma nient'affatto volgare. Esistevano farse addirittura tragiche o anche sentimentali, come l'Adelina di Pietro Generali, che il Rossini Opera Festival ha presentato ora in prima esecuzione moderna nell'edizione curata sulle fonti da Federico Agostinelli. Generali apparteneva alla generazione precedente a quella di Rossini ed aveva già dato buona prova di sé con lavori più impegnativi, quando compose questa farsa per il Teatro San Moisé, nel 1810, due mesi prima che proprio su quella scena facesse il suo debutto assoluto il diciottenne Gioachino, con un'altra farsa, La cambiale di matrimonio. Per un certo periodo le due operine furono anche rappresentate insieme in un'unica serata, ma delle due fu quella di Generali che ebbe vita più lunga, continuando a girare l'Italia e il mondo, da Londra a San Pietroburgo, per una ventina d'anni. Dunque non era certo fuori tema la sua presentazione al festival rossiniano, nella sezione intitolata appunto Il Mondo delle farse. Alla prova dei fatti si è avuta la confema che un professionista della musica preparato e maturo come Generali – che però in questo caso scriveva probabilmente con la mano sinistra, avendo a che fare con un genere minore e con un teatro secondario – non ce la può fare a reggere il confronto con un giovane di genio, vulcanico e pieno d'idee come Rossini. Nell'Adelina, dopo un'Ouvertura (sic) ben orchestrata ma insipida (eseguita con qualche affanno dall'Orchestra del Festival, che è al livello d'un orchestra di conservatorio), si susseguono otto "numeri", brevi se misurati con l'orologio ma un un po' lunghetti all'ascolto, perché sono scarsamente differenziati (sarà anche perché il direttore Julian Reynolds secglie tempi e dinamiche tutte uguali) e non riescono a cogliere caratteri e situazioni. Va un po'meglio verso la fine, quando i nodi della vicenda vengono al pettine, toccando toni drammatici per poi approdare al lieto fine. In realtà l'elemento più interessante è il testo di Gaetano Rossi (librettista di tante opere rossiniane), che affronta con coraggio un tabù del tempo: la protagonista è infatti una ragazza-madre, cacciata di casa per la sua "colpa", finché il suo ex-maestro di scuola riesce a convincere l'anziano e borghesissimo genitore a mettere da parte assurde questioni d'onore e a perdonarla; per di più si rifa vivo il padre del bambino e tutto finisce nel migliore dei modi. Adelina era Cinzia Forte, attrice spigliata e cantante musicalissima, sebbene alcuni ruoli drammatici affrontati recentemente abbiano inquinato la sua voce un tempo limpidissima con un vibrato poco adatto a questi ruoli brillanti. Varner, l'anziano padre, era Andrea Concetti, la cui esubranza vocale e scenica non aveva molto modo di manifestarsi pienamente in questo personaggio un po' grigio. Don Simone, il maestro del villaggio, risulterebbe anche lui un po' grigio e noiosetto, se non fosse ravvivato da un'aria con doppi sensi piuttosto audaci, cantata senza calcare la mano ma in modo molto divertente da Simone Alberghini. Erneville, il padre redivivo, e Carlotta e Firminio, due personaggi di contorno, erano affidati rispettivamente a Riccardo Botta, Annarosa Agostini e Lorenzo Muzzi. Un'operina così non ha bisogno di molto sul piano teatrale, ma la regia di Serena Sinigaglia ha fatto bene quel poco che aveva da fare. Molto simpatiche le scene minimaliste di Maria Spazzi, fatte con pochissimi e poveri elementi che gli stessi protagonisti portavano e montavano sul palcoscenico. Non tutti indovinati i costumi di Giovanna Avanzi.

Interpreti: Concetti, Forte, Alberghini, Botta, Schmidt, Muzzi

Regia: Serena Sinigaglia

Scene: Serena Sinigaglia

Costumi: non indicato

Orchestra: Orchestra del Festival

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