Trionfale chiusura della stagione dell'Opernhaus di Zurigo con l'ottima direzione di Franz Welser-Möst

È probabilmente una delle partiture operistiche più ardue del Settecento. Il virtuosismo richiesto all'orchestra de "Les Boréades" è notevole, e l'innegabile influsso musicale italiano esige che anche i cantanti - cosa eccezionale per una tragédie lyrique - dispongano di una padronanza del canto di bravura paragonabile a quella di un virtuoso händeliano. Non è da escludere che proprio le difficoltà esecutive siano state la causa della mancata esecuzione dell'opera nel 1763 (al di là dell'ipotesi di un intrigo). Fatto sta che l'esecuzione da parte dell'orchestra "La scintilla" dell'opera di Zurigo non ha certo brillato per esattezza. Se da una parte è vero che i corni naturali sono sempre un terno al lotto per le orchestre barocche (ed infatti l'ouverture dell'opera è stata piuttosto compromessa da cornisti in difficoltà), d'altra parte, a giudicare dalla spesso imbarazzante 'performance' di flauti, ottavino e oboi, si aveva quasi l'impressione che il numero di prove non fosse stato sufficiente.
Peccato, perché l'infuocata direzione di Marc Minkowski, favorendo i contrasti dinamici e il movimento anche nei momenti più estatici dell'opera, necessitava di uno strumentario ineccepibile. Più fortunato è stato in questo senso sul fronte vocale. Richard Croft ha padroneggato l'ardua tessitura acuta del ruolo di Abaris con bravura e raffinatezza interpretativa (da notare soprattutto i suoi pianissimo), mentre Annick Massis, all'inizio un po' incerta, ha dato vita ad una Alphise di struggente lirismo. Bravi anche gli interpreti degli ardui ruoli di contorno, con una menzione particolare per il Calisis di Tom Allen e per la breve, ma stupefacente apparizione del giovane basso François Lis nel ruolo di Borée.
La regia di Laurent Pelly ha cercato di evitare una simbologia troppo carica ed ha ambientato il tutto in una dimensione astratta, strutturando con fantasia lo spazio scenico grazie ad una serie di pareti poste su pedane girevoli concentriche che si muovevano in diverse direzioni. Efficaci le coreografie di Lionel Hoche e davvero bravi i giovanissimi ballerini dello Junior Ballett.

Splendida messinscena del Parsifal al Grand Théeâtre di Ginevra. Roland Aeschlimann rivisita la tradizione figurativa di Wieland Wagner secondo una concezione quasi oratoriale. Eccellente la direzione e il cast.

Non una serata memorabile all'Opernhaus di Zurigo. La messinscena di Claus Guth, che interpreta 'Radamisto' come un intrigo borghese di oggi, convince poco, nonostante la splendida scenografia di Christian Schmidt. Non in gran forma i cantanti, tra i quali spicca la brava Malin Hartelius e la protagonista (indisposta) Marijana Mijanovic. Bella direzione di William Christie.

Quando il direttore arriva in tenuta militare a dirigere gli orchestrali, ugualmente in uniforme, mentre nei titoli scorrevoli si prega il pubblico in dialetto svizzero di lasciare accesi i cellulari, programmando preferibilmente una suoneria con musica di Beethoven o Schubert "per far piacere a Nikolaus", si capisce che nella messinscena zurighese della "Grande Duchesse de Gérolstein" tira aria da carnevale. L'attualizzazione dei dialoghi da parte del regista Jürgen Flimm estremizza la carica satirica del libretto di Meilhac e Halévy, accentuando l'elemento 'nonsense' nella recitazione degli attori e nelle situazioni, ma soprattutto creando una babele linguistica che sembra rappresentare una specie di Unione Europea in guerra contro un nemico comune, apparentemente gli Stati Uniti. Così Fritz porta il kilt scozzese, il generale Boum è rappresentato come tedesco (sui pattini!), Puck è un italiano del tipo Pasqualino Settebellezze, mentre il principe Paul è un olandese perseguitato dalla cronaca rosa. Nonostante l''infedeltà' al testo, la messinscena resta tutto sommato fedele allo spirito dell'operetta di Offenbach, mantendendone almeno il parte la forza satirica nel descrivere un mondo fatuo che si diverte a far guerra solo per distrarsi. Peccato che dopo un travolgente primo atto il gioco mostri la corda, e il mordente dell'azione scenica si affievolisca del tutto nel terzo.
Il vero regista della serata è comunque Hanoncourt, che dirige l'orchestra dell'Opernhaus con trascinante verve, divertendosi visibilmente un mondo a dipanare la matassa melodrammatica offenbachiana in continui fuochi d'artificio. Quasi perfetto il cast, con in testa una Marie-Ange Todorovitch di grande statura vocale e in bilico tra sensualità ed ironia. Impeccabili Christoph Strehl e Martina Janková, e affiatatissimo il trio Chausson-van der Walt-Winkler.
Lunghi applausi agli interpreti, al direttore e al regista (assente), che hanno risposto, nello spirito della serata, ballando un cancan.

Messa al bando nella Germania degli anni '30 a causa dell'atteggiamento antinazista del compositore, l'opera "Die Voegel'" (Gli uccelli) di Walter Braunfels, tratta dalla commedia omonima di Aristofane ed eseguita con successo per la prima volta a Monaco di Baviera nel 1920, non è riuscita più a reinserirsi nel repertorio corrente.

Nigel Lowery mette in scena l'opera monteverdiana sintetizzando i miti della cultura pop americana. Bella prova dei cantanti e dell'orchestra.

Il soggetto di "Katia Kabanova", tratto dalla pièce ottocentesca del drammaturgo russo Alexandre Ostrovski, possiede, grazie al suo forte realismo psicologico, ancora oggi una certa attualità: la storia di una donna infelicemente sposata ad un uomo succube di una madre castratrice appartiene in fondo anche alla narrativa (e al quotidiano) nel Novecento.

L'Opernhaus di Zurigo ripresenta dopo settant'anni "Der Kreidekreis" di Zemlinsky in una geniale messinscena di David Pountney