I 20 migliori dischi JAZZ del 2019

La classifica dei 20 migliori album jazz del 2019, dalla Norvegia agli Stati Uniti passando (ovviamente) per l'Italia

Fire Orchestra! (foto di Micke Keysendal) - il meglio del jazz 2019 top 20 album
Fire Orchestra! (foto di Micke Keysendal)
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2019 anno ricco per il jazz internazionale, con qualche ristampa imperdibile (il solito Coltrane...), grandi orchestre, ritorni e un po' di Italia – giovane, originale, nuova: abbiamo raccolto qui i 20 migliori dischi jazz del 2019, per (ri)scoprirli o (ri)ascoltare quello che vi siete persi.

 

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1. Fire Orchestra!, Arrival, Rune Grammofon

Ripensata e ridisegnata attorno a un nucleo di musicisti più ridotto, con un deciso slittamento timbrico verso tonalità più crepuscolari (oboe, clarinetti bassi a non finire, violoncello e tre violini), la Fire! Orchestra del sassofonista svedese Mats Gustafsson taglia il traguardo della quarta fatica dando alle stampe il disco dell'anno. Non solo per la consueta capacità di trovare un miracoloso equilibrio tra le più scabrose e inconfessabili pulsioni terroristiche e l'insopprimibile schiettezza ”rock” dello schema a due voci (le confermatissime Sofja Jernberg e Mariam Wallentin, alle quali va gran parte del merito per il dieci in pagella), ma anche per la felicissima scelta di includere nell'ora abbondante di Arrival due perle luccicanti come la struggente “At Last I'm Free”, arrivata in repertorio dagli Chic via Robert Wyatt, e l'ammaliante “Blue Crystal Fire”, ripescata dal catalogo del falconiere Robbie Basho. Capolavoro.

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Il meglio del jazz 2019 Top 20 album - Fire Orchestra

2. Matana Roberts, Coin Coin Chapter Four: Memphis, Constellation

Quarto capitolo della serie Coin Coin, ambizioso progetto della compositrice e sassofonista africano-americana Matana Roberts, percorso stilisticamente eclettico che qui va a costruire una narrazione polifonica attorno alle vicende di una figura della storia familiare della musicista, la piccola Liddie, cresciuta nelle difficoltà della Memphis razzista. La voce (sia nel canto che nella declamazione) e gli strumenti sono qui elementi di un teatro sonoro stratificato e complesso, una sorta di racconto/rito di avanguardia folk, che attraversa temperature differenti, arrivando a toccare in molti momenti un’intensità spirituale che trascende anche la mera comprensione della storia e dei materiali. Sinfonia dolente e a tratti rabbiosa, pervasa da una sorta di polvere blues continuamente sollevata per lasciare che ricada in nuove forme, questa nuova puntata del progetto di Matana Roberts è forte e convincente.

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Il meglio del jazz 2019 Top 20 album -Matana Roberts

3. Alexander Hawkins, Iron Into Wind, Intakt

Nome ormai affermato nell’ambito del jazz e dell’improvvisazione europea (si muove con agilità tra Mulatu Astatke e Evan Parker), Alexander Hawkins si cimenta qui con il piano solo su materiali elaborati originariamente in residenza a Civitella Ranieri, in Umbria. Con due punti di riferimento come Leoš Janáček e Mal Waldron (del primo rileva il lavoro di rielaborazione iterativa di materiale folkorico, del secondo la proverbiale essenzialità del gesto pianistico), troviamo nel disco cellule motiviche dense che costruiscono insolite architetture, astrazioni tridimensionali sul cui sfondo aleggia lo spirito del blues, un’attenzione particolare alle risonanze e alla pregnanza timbrica, a comporre un programma di dodici pezzi non troppo lunghi, sorprendenti e intrisi di bellezza. Eccellente.

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Il meglio del jazz 2019 Top 20 album -Alexander Hawkins

4. Moor Mother, Analog Fluids of Sonic Black Holes, Don Giovanni

Dagli incroci pericolosi con Roscoe Mitchell e l'Art Ensemble of Chicago, alla benedetta militanza negli Irreversible Entanglements del bassista Luke Stewart, la poetessa, performer, musicista e attivista Moor Mother (Camae Ayewa), originaria di Philadelphia, è una delle figure più singolari e politicamente significative della nuova scena avant-black d'oltre Oceano. Una temeraria signora dello spazio profondo che in Analog Fluids of Sonic Black Holes, in compagnia dei cloni cibernetici di Matana Roberts, Elaine Brown, Amiri Baraka e Sun Ra, ci guida al di là dell'orizzonte musicale degli eventi sotto una pioggia infuocata di asteroidi hip hop, industrial e noise. Un viaggio inquietante, tra vedute aliene e paesaggi desolati, nel quale il disagio e il dolore prendono la forma instabile di una protesta rabbiosa e sanguinante contro un'America sbagliata e cattiva. Un disco necessario.

Il meglio del jazz 2019 Top 20 album -Moor Mother

5. Ghost Horse, Trojan, Auand Records

L'atteso debutto della versione raddoppiata del trio Hobby Horse, che da un pezzo ormai ruota meravigliosamente attorno a Dan Kinzelman (sax tenore e clarinetti), Joe Rehmer (basso elettrico e contrabbasso) e Stefano Tamborrino (batteria), è ancora meglio di quanto le già strabilianti premesse live facessero sperare. L'innesto della chitarra baritono di Gabrio Baldacci, del trombone di Filippo Vignato e della tuba di Glauco Benedetti, oltre a garantire una tavolozza decisamente più dettagliata e ampia di soluzioni, aumenta la forza d'urto, l'efficacia e la profondità della resa musicale. Il tutto senza ledere e men che meno depotenziare la proverbiale propensione all'immaginifico, al narrativo della musica di Kinzelman e compagni (ascoltare, per credere, “Il bisonte”, forse il punto più alto dell'intesa scaletta). Centro pieno. Anche stavolta.

Il meglio del jazz 2019 Top 20 album - Ghost Horse

6. John Coltrane, Blue World, Impulse!

Il rischio è quello di abituarsi bene: ogni anno un disco nuovo di John Coltrane. Dodici mesi fa, più o meno di questi tempi, era tutto un celebrare (doverosamente) l'epifanica apparizione di Both Directions at Once, messo su nastro nel marzo del 1963 e rimasto negli scatoloni per oltre mezzo secolo. Stavolta l'occasione è l'uscita della colonna sonora che il quartetto classico (Coltrane-Tyner-Garrison-Jones) registrò nel giugno del 1964 per Le chat dans le sac, pellicola d'esordio del regista canadese Gilles Groulx. Nel cuore di un anno che si sarebbe chiuso con le session di A Love Supreme, Coltrane entrò in studio e mise in fila una serie di brani già masticati in precedenza senza nemmeno vedere il film: da “Naima” (presente in doppia, stratosferica take) a “Like Sonny”, da “Village Blues” (in tripla versione) a “Traneing In”. Coltrane. Inedito. Serve altro?

Il meglio del jazz 2019 Top 20 album -Blue World

7. Eve Risser, Après un rêve, Clean Feed

Eve Risser, una delle più luminose stelle del pianoforte dei nostri anni, è qui alle prese con uno strumento verticale, del quale vuole esplorare le peculiari possibilità timbriche e meccaniche. In un lungo flusso compositivo e improvvisativo, con la cordiera preparata a evocare metallici bordoni e tintinnanti risonanze e gli accordi che si posano placidi come isole da cui si dipanano arpeggi e iterazioni di grande impatto lirico. Tutto molto semplice come concetto, ma incredibilmente articolato e raffinato nella concezione ritmica che, con l’accumularsi della tensione espressiva, diventa onirico stato d’animo dal quale si vorrebbe non svegliarsi più. Spettacolare.

Il meglio del jazz 2019 Top 20 album - Eve Risser

8. Anna Webber, Clockwise, Pi Recordings

Non poteva che arrivare dal catalogo della Pi Recordings, l'etichetta di Steve Coleman, Henry Threadgill e Steve Lehman, questa convincente opera prima del settetto della sassofonista newyorchese Anna Webber. Costruito partendo da cellule ritmiche estrapolate da composizioni di John Cage, Morton Feldman, Iannis Xenakis, Edgar Varése e altri giganti della musica del Novecento, Clockwise è un intricato labirinto di specchi nei quali la scrittura scientifica e implacabile della Webber, affidata alle preziose cure di una band nella quale spiccano due fuoriclasse assoluti come il pianista Matt Mitchell e il batterista Ches Smith, si riflette e si rifrange all'infinito, gettando fasci di luce sinistri su pulsazioni ipnotiche, trame fittissime, incastri precisi al millimetro e contrappunti vertiginosi. È nata una stella.

Il meglio del jazz 2019 Top 20 album - Clockwise

9. James Brandon Lewis, An UnRuly Manifesto, Relative Pitch

Ampliando il proprio trio a quintetto, con l’aggiunta della tromba dell’irrequieta Jaimie Branch (anche lei sugli scudi quest’anno con il suo Fly Or Die II) e della chitarra elettrica di Anthony Pirog – dal vivo talvolta sostituito dall’ancor più abrasiva Ava Mendoza – il sassofonista James Brandon Lewis segna uno dei punti più felici della propria, già scintillante, carriera. Semplici riff si surriscaldano rapidamente per slabbrarsi in una sorta di caos blues controllato e saturo di funkyness, un vero e proprio rituale in cui l’afflato melodico di matrice Haden/Coleman si stende su una incandescente carbonella free-noise. Politico, black, energico, vitale, questo James Brandon Lewis spariglia le comfort zones definitorie prendendo dall’hip-hop urbano, dall’avant più caldo e dalle scarnificazioni elettriche del post-punk quel che gli serve per arrivare dritto al cuore.

Il meglio del jazz 2019 Top 20 album - James Brandon Lewis

10. Horace Tapscott with the Pan Afrikan Peoples Arkestra and the Great Voice of UGMAA, Why Don't You Listen? - Live at LACMA, 1998, Dark Tree Records

La pubblicazione di questo concerto della Pan Afrikan Peoples Arkestra di Horace Tapscott al Los Angeles County Museum of Art nel luglio del 1998, insieme al coro The Great Voice of UGMAA aggiunge una pagina intensa alla lista dei dischi e progetti jazz che vedono l’utilizzo di un coro. Il lavoro documenta la ricchezza del mondo sonoro del pianista, nonché la sua importanza per tutta la comunità losangelina. In due intensi set, nonostante Tapscott fosse già malato, troviamo cinque lunghi brani: “Aiee! The Phantom”, un’energica resa della ellingtoniana “Caravan” con Dwight Trible (che anche dirige il coro) alla voce, un omaggio a Fela Kuti, la veemente title-track e la toccante “Little Africa”. È musica che fa sintesi di tensioni espressive e culturali, restituendole alla loro spettacolare tensione tra celeste e terreno (non a caso nell’ensemble ci sono ben tre contrabbassi!), che ancora oggi emoziona.

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Il meglio del jazz 2019 Top 20 album -Horace Tapscott

11. Tomeka Reid Quartet, Old New, Cuneiform Records

Seconda prova sulla lunga distanza per il quartetto di Tomeka Reid – dopo Thirsty Ear del 2015 – ed ennesima conferma della piena maturità raggiunta dalla violoncellista di Chicago. Pochi fronzoli e tanta sostanza in Old New; nove composizioni originali che vanno dritte al dunque, in una riuscita e trascinante sintesi tra ambizioni compositive e propensione all'imediatezza (soprattutto ritmica). Notevole – e come potrebbe essere altrimenti? – il contributo della mai meno che sublime Mary Halvorson (chitarra), di Jason Roebke (contrabbasso) e di Tomas Fujiwara (batteria). Vecchio-nuovo; passato-futuro. Jazz di oggi.

Il meglio del jazz 2019 Top 20 album - Tomeka Reid

12. Simone Graziano Frontal, Sexuality, Auand

Per la nuova “pelle” del suo quintetto Frontal, il pianista Simone Graziano ha immaginato arabeschi plastici a incastro. Ora insieme a Graziano e all’elasticità ritmica della coppia Evangelista/Tamborrino, il quintetto ha in pianta stabile il sax di Dan Kinzelman e la chitarra dell’olandese Reinier Baas. Strutture pensate nel minimo dettaglio, attivate a volte da carillon di elettrico minimalismo, le composizioni di Sexuality sembrano parlare una lingua semplice e complessa al tempo stesso, che sembra rimandare a un circolarità di lucentezza fusion (nella migliore accezione del termine). La freschezza melodica e l’inventiva timbrica, dichiaratamente cromata e priva dei turgori che fanno tanto “jazz”, fanno di questo nuovo progetto uno degli esiti più comunicativi della scena italiana di questi anni, senza perdere di profondità né tantomeno di senso. Bravi.

top 20 jazz dischi 2019

13. Heroes Are Gang Leaders, The Amiri Baraka Sessions, Flat Langston's Arkeyes

Un collettivo, più che una band. Guidato, tra New York e Washington, dal carismatico Thomas Sayers Ellis (poeta, docente, attivista e fotografo) e dal sassofonista James Brandon Lewis. Della partita, oltre agli inossidabili Luke Stewart (basso) e Warren G. Crudup (batteria), e al trombettista Heru Shabaka-Ra, un agguerrito manipolo di cantanti, performer e rapper. Tutti insieme appassionamente per un danzante tributo al nume tutelare Amiri Baraka; una festosa celebrazione alla quale strada facendo, traccia dopo traccia, si uniscono Archie Shepp, Sly & The Family Stone, Gil Scott Heron, l'Arkestra di Sun Ra, George Clinton e i Last Poets; politicamente affilata, musicalmente trascinante. Spoken word-free-funk-jazz. In una parola: bellissimo.

I 20 migliori dischi POP del 2019 - Amiri Baraka -

14. Maja S.K. Ratkje, Sult, Rune Grammofon

Si apre con le calde volute dell’armonium questo lavoro della vocalist, compositrice e performer intermediale norvegese Maja S.K. Ratkje.
Concepita come contributo sonoro a un lavoro coreografico ispirato al capolavoro letterario omonimo (Fame la traduzione italiana) di Knut Hamson, quest’opera risulta conturbante e bellissima anche nella sola versione d’ascolto. Forse qualcuno troverà decisamente fuori posto l’inclusione di questo disco in una lista con l’etichetta (più o meno scolorita) “jazz”, ma non c’è dubbio che l’originale incontro tra l’organo e le acrobazie vocali della Ratkje si tuffi in quelle correnti avventurose e insicure che sono proprie dei progetti più sperimentali che affascinano gli ascoltatori jazz. E allora chiudete gli occhi e godetevelo tutto questo viaggio, onirico e scricchiolante, attraversato da un’inquietudine lunare abbastanza irresistibile.

I 20 migliori dischi POP del 2019 - Ratkje

15. Luca Flores, Innocence, Auand

Quella del pianista Luca Flores è stata per il jazz italiano una figura di preziosa personalità, dolorosamente troncata dalla prematura scomparsa. Questo disco raccoglie sedici tracce inedite incise da Flores tra il 1994 e il 1995, anno della sua morte, brani originali e interpretazioni di standard. Facevano originariamente parte di un progetto più ambizioso mai realizzato, lo stesso da cui furono tratti i pezzi del suo ultimo disco ufficiale, il solitario For Those I Never Knew, e ne completano le sedute di allora. Ritrovare a distanza di quasi 25 anni la sensibilità e la bravura di questo musicista, la sua capacità di entrare dentro Monk, Powell, Strayhorn, il suo lirismo fragile eppure incisivo, è atto che emoziona assai più delle iconografie postume di libri veltroniani e film annessi, ci perdonerete questa confessione. Ritrovamento speciale.

I miglior album jazz 2019 Top 20 dischi - Luca Flores

16. Chris Lightcap, Superbigmouth, Pyroclastic Records

Partendo da un'intuizione squisitamente matematica, la somma tra il quartetto Superette e il quintetto Bigmouth, il bassista Chris Lightcap vara un ottetto a doppia chitarra (Curtis Hasselbring e Jonathan Goldberg), doppia batteria (Gerald Cleaver e Dan Rieser) e doppio sax tenore (i gemelli diversi Chris Cheek e Tony Malaby) che ruota attorno alle dita fatate di Craig Taborn (pianoforte, Wurlitzer e Rhodes). Una delizia. Per un'idea di mainstream accattivante e moderna, sostenuta da una scrittura limpida e precisa, sinuosa e a tratti graffiante. Un gran bel sentire.

I miglior album jazz 2019 Top 20 dischi - Chris Lightcap

17. Tower Jazz Composers Orchestra, Tower Jazz Composers Orchestra, Over Studio Records

Tre anni di residenze mensili nel tepore del Torrione e un disco che è il punto esclamativo su un progetto di comunità non solo musicale. Seguendo l'esempio di esperienze simili più o meno recenti (dalla mitica Jazz Composer's Orchestra di Carla Bley e Michael Mantler all'Italian Instabile), la big band nata e cresciuta grazie al Jazz Club di Ferrara ha ormai in repertorio una sessantina di composizioni (quindici quelle finite nel disco d'esordio) scritte dai tanti musicisti che ne hanno fatto o ne fanno parte: dai direttori musicali Alfonso Santimone e Piero Bittolo Bon, ai vari Filippo Orefice, Stefano Dallaporta, Andrea Grillini, Federico Pierantoni, Marta Raviglia, Glauco Benedetti e Mirko Cisilino. Un porto volutamente aperto e inclusivo, all'interno del quale osare, sperimentare e resistere. Applausi.

I miglior album jazz 2019 Top 20 dischi - Tower Jazz Composers Orchestra

18. Rob Mazurek, Desert Encrypts Vol.1, Astral Spirits

Nuovo quartetto per l'alchimista di Chicago Rob Mazurek, che da qualche anno ormai si è convertito alla piccolo trumpet e ha messo radici nella piccola cittadina di Marfa, a due passi dal confine con il Messico. Un cambio di vita e di prospettive che Desert Encrypts, registrato dal vivo sotto il sole texano con Kris Davis (pianoforte), Ingebrigt Håker Flaten (contrabbasso) e Chad Taylor (batteria), racconta in sei lunghe tracce. Dando forma e sostanza a una musica fluida, ispirata, deliziosamente cantabile, viva e vera; che alterna passaggi densi e concitati a improvvise rarefazioni, puntando lo sguardo verso l'infinito e oltre.

I miglior album jazz 2019 Top 20 dischi - Rob Mazurek

19. Lumen Drones, Umbra, Hubro

Dopo l’esordio ECM di qualche anno fa, il trio Lumen Drones è tornato quest’anno con un lavoro molto convincente. La combinazione tra il classico violino Hardanger norvegese, la chitarra e la batteria getta un filo incantato tra il mondo folk e quello del post-rock più onirico.
E se sulla carta i tre musicisti scandinavi non sono né i primi né gli ultimi a esplorare queste lande, la forza della loro musica sta in una non consueta compattezza formale, che evita impressionismi e languori da copertina per tuffarsi dritta come un fuso dentro la materia stessa del suono, rendendole una plasticità che fa dialogare i momenti più ossessivi con quelli dall’incedere più circospetto e attutito da una forza quasi ancestrale di rallentare il tempo. Li vedremmo bene nel catalogo Constellation!

I miglior album jazz 2019 Top 20 dischi - Lumen Drones

20. Massimiliano Milesi, OOFTH, Auand

Alto tasso di elettricità per questo vivace lavoro del sassofonista Massimiliano Milesi. Con lui ci sono Emanuele Maniscalco al piano wurlitzer e ai synth, Giacomo Papetti al basso e Filippo Sala alla batteria, quartetto compatto e elastico che esplora traiettorie che rimandano al fantastico e al surreale, come suggerisce il titolo, riferito al racconto d’esordio dello scrittore Walter Tevis. Ispirandosi alle colonne sonore dei film di genere degli anni Settanta, Milesi allestisce un repertorio in cui ritmi dispari e momenti iterativi esplodono dentro lattescenze psichedeliche da cui si materializzano linee melodiche mutanti e sempre efficaci. Talento sempre in crescita, quello di Milesi, consigliato!

I miglior album jazz 2019 Top 20 dischi -Massimilano Milesi

 

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