Un Macbeth sicuramente originale è stato proposto nel cartellone del Ravenna Festival. Micha van Hoecke ha calato infatti l'opera di Verdi in atmosfere ispirate a "Trono di sangue" di Akira Kurosawa. Bello lo spettacolo ma un poco straniante pensando all'impianto drammaturgico verdiano. Bravi gli interpreti.

Glass (in persona) e Sollima a Ferrara per Emilia Romagna Festival

Un "Nabucco" secondo tradizione ma con poca fantasia nella regia e una direzione molto piatta, apre gli allestimenti scenici a Caracalla.

William Christie torna a Aix con un superbo "Hercules" di Haendel. E' l'occasione per il regista Luc Bondy per accostarsi all'opera barocca. Gli fa da spalla lo scenografo Richard Peduzzi noto per le sue collaborazioni con Patrice Chéreau. Nel cast, trionfa Joyce DiDonato nei panni della gelosa, fino alla pazzia, Dejanire.

Prima, felicissima rappresentazione italiana delle Congiurate, nella versione ritmica iniziata da Fedele D'Amico e completata da Sergio Sablich.

Bel recupero della "Tempesta" di Shakespeare con musiche di Sibelius per l'apertura della quinta edizione delle "Notti Malatestiane". Efficace il ritmo drammaturgico della rappresentazione valorizzata dalla varietà della partitura.
Meritato successo alla fine.

Una logica per elementi musicali differenziati e scissi, ricombinati e lasciati ingranare verso un'efficace quanto ambigua conclusione, contraddistingue il [mono]dialogo drammatico ¿Pia?, commissione e prima assoluta dell'Accademia Musicale Chigiana ad Azio Corghi: il compositore si è costruito il libretto dal primo lavoro teatrale della Yourcenar, dando rilievo - oltre ai personaggi - ad un coro madrigalistico dalla raffinata scrittura. Molto buona la prova degli interpreti.

Graham Vick debutta all'Arena di Verona con la prima Traviata della sua carriera: e alla fine Violetta si alza e se ne va.

Un vivace e incalzante Paganini di Franz Lehár ha brillantemente inaugurato il XXXV Festival Internazionale dell'Operetta a Trieste, sotto l'eccellente direzione dell'austriaco Alfred Eschwè.

Il Festival dei Due Mondi, che aveva avuto il merito di curarne la seconda rappresentazione mondiale nell'ormai lontano 1976, ha riproposto l'opera in un atto composta da Viktor Ullmann nel campo di Terezin.

Trionfale chiusura della stagione dell'Opernhaus di Zurigo con l'ottima direzione di Franz Welser-Möst

La riproposta del genere del "pasticcio", tipico della concezione operistica settecentesca, è vanificata dalla modestissma realizzazione musicale e scenica.

Una nuova produzione monocromatica nelle scene e nell'orchestra non riesce a ricreare la magia propria del capolavoro britteniano.

L'inusuale accoppiamento di Rachmaninov e Puccini si dimostra vincente, con un cast eccellente nella splendida produzione di Annabel Arden e sotto la sanguigna direzione di Vladimir Jurowski.

Capriccio va in scena a Palais Garnier con una travolgente Renée Fleming. Robert Carsen fa leva su una confusione tra realtà e finzione evidente in quest'opera, riflessione sul mondo dello spettacolo. Un evento anche per la partenza di Hugues Gall, "patron" dell'Opéra national di Parigi.

A Ravenna Riccardo Muti rende omaggio al suo maestro, Vincenzo Vitale, con la Filarmonica della Scala e il pianista Paolo Restani. Serata calda e affettuosa nel nome di un grande didatta della nostra epoca che lascia in eredità un modello di intendere la musica.

I recital di Maurizio Pollini, come si è ascoltato a Ravenna, sono lezioni di storia della musica, ma impartite da un musicista che parla con il pianoforte e sa dire tutto, se non di più. Il di più sono la necessità e la verità delle sue interpretazioni, che colpiscono come una rivelazione morale.

Un garbato e composto rigore settecentesco ha caratterizzato questo spettacolo. Certo, la forte connotazione storica della comicità di Paisiello, sia nella musica che nelle parole, propone un impianto melodrammatico a volte eccessivamente ingessato e una scrittura fin troppo calibrata e contenuta negli schemi formali. Ma la bella disinvoltura del cast, insieme all'allestimento, fresco e dinamico, hanno saputo rivitalizzare questa partitura.

Una Piazza del Popolo stracolma di pubblico accoglie "Die Zauberflöte" in una deludente messa in scena. Svetta su tutti Claudio Bisio.

E' ricco di scene ad effetto, drammaturgicamente molto efficaci, il " Ballo in maschera" di Verdi in scena da ieri sera al Teatro Regio di Torino in un allestimento, coprodotto con il Bellini di Catania e il Maggio Musicale Fiorentino, con la regia di Lorenzo Mariani, le scene di Maurizio Balò, i costumi di Maurizio Millenotti e le luci (molto belle) di Christian Pinaud. Niente settecento lezioso e in crinolina ma il "duro" bianco e nero da film degli Anni Trenta.

La Staatsoper di Vienna propone una "Daphne" in un nuovo allestimento che convince per la scelta del cast ma che annoia per la sua regia.

Con "La bohème", dopo quasi quarant'anni con la lirica torna all'Arena Flegrea: con le sue bianche pareti di travertino e le sue torri metafisiche, certo la più bella delle architetture sorte all'interno della Mostra d'Oltremare. Proposta come spettacolo popolare, questt'allestimento pur seguendo una linea piuttosto tradizionale, non ha niente di plateale, ed anzi si presenta con un suo garbato decoro.

Nelle tre ore luminosamente perfette, gestualmente sacrali firmate da Robert Wilson non vediamo un complicato e "politically boaring" collage di Oriente e Occidente, ma siamo di fronte ad un vero magistrale riuscito rito spirituale "mondiale", che traduce sulla scena, un perché siamo nati alla vita accoppiati, facendo bambini nella rabbia e nella gioia, nel sublime abbraccio e nell'ira sanguinaria.

Impianto registico tradizionale, senza particolari idee forti, con grandi affollamenti nel primo atto. Energica direzione di Oren con un'ottima prova della Cedolins e di una buona compagnia di canto.

Heineken Jammin' Festival è nato nel 1998, e l'ha battezzato il più rock e smodato dei cantautori italiani, Vasco Rossi. Ora è un festival gigantesco, piazzato nella comunque suggestiva e comunque bene attrezzata realtà dell'autodromo di Imola, una tre giorni in cui sul palco si sono alternati lo scorso week-end tra gli altri Fatboy Slim, Massive Attack, The Cure, Ben Harper, Pixies, PJ Harvey, Lenny Kravitz, Articolo 31 e Caparezza.

Una drammaturgia del non-dicibile, dell'assenza, fatta di implosioni abbaglianti, contraddistingue il "Macbeth" di Salvatore Sciarrino, "tre atti senza nome" in prima italiana a Roma grazie ad una realizzazione di ottima qualità (sia interpretativamente, sia scenicamente).

È probabilmente una delle partiture operistiche più ardue del Settecento. Il virtuosismo richiesto all'orchestra de "Les Boréades" è notevole, e l'innegabile influsso musicale italiano esige che anche i cantanti - cosa eccezionale per una tragédie lyrique - dispongano di una padronanza del canto di bravura paragonabile a quella di un virtuoso händeliano. Non è da escludere che proprio le difficoltà esecutive siano state la causa della mancata esecuzione dell'opera nel 1763 (al di là dell'ipotesi di un intrigo). Fatto sta che l'esecuzione da parte dell'orchestra "La scintilla" dell'opera di Zurigo non ha certo brillato per esattezza. Se da una parte è vero che i corni naturali sono sempre un terno al lotto per le orchestre barocche (ed infatti l'ouverture dell'opera è stata piuttosto compromessa da cornisti in difficoltà), d'altra parte, a giudicare dalla spesso imbarazzante 'performance' di flauti, ottavino e oboi, si aveva quasi l'impressione che il numero di prove non fosse stato sufficiente.
Peccato, perché l'infuocata direzione di Marc Minkowski, favorendo i contrasti dinamici e il movimento anche nei momenti più estatici dell'opera, necessitava di uno strumentario ineccepibile. Più fortunato è stato in questo senso sul fronte vocale. Richard Croft ha padroneggato l'ardua tessitura acuta del ruolo di Abaris con bravura e raffinatezza interpretativa (da notare soprattutto i suoi pianissimo), mentre Annick Massis, all'inizio un po' incerta, ha dato vita ad una Alphise di struggente lirismo. Bravi anche gli interpreti degli ardui ruoli di contorno, con una menzione particolare per il Calisis di Tom Allen e per la breve, ma stupefacente apparizione del giovane basso François Lis nel ruolo di Borée.
La regia di Laurent Pelly ha cercato di evitare una simbologia troppo carica ed ha ambientato il tutto in una dimensione astratta, strutturando con fantasia lo spazio scenico grazie ad una serie di pareti poste su pedane girevoli concentriche che si muovevano in diverse direzioni. Efficaci le coreografie di Lionel Hoche e davvero bravi i giovanissimi ballerini dello Junior Ballett.

"Der Rattenfänger" di Friedrich Cerha nel nuovo allestimento dell'Opera di Darmstadt e delle Festwochen Wien convince soprattutto per coerenza drammatica, con slanci che rendono sempre stimolante la rappresentazione, nonostante le sue tre ore abbondanti di durata.

Il Ravenna Festival ha aperto la propria quindicesima edizione affidandosi alla costellazione musicale di Philip Glass, un caleidoscopio di suoni e di timbri che hanno rappresentato l'idea di "musica del mondo" del compositore di Baltimora. Soddisfatto il pubblico.