Il quartetto è d'oro

A Sant’Anna Arresi convince il Golden Quartet di Wadada Leo Smith. Ottimo anche il trio di Shipp

Il Golden Quartet di Wadada Leo Smith (foto Luciano Rossetti/Phocus Agency)
Il Golden Quartet di Wadada Leo Smith (foto Luciano Rossetti/Phocus Agency)
Recensione
jazz
Ai confini tra Sardegna e Jazz
02 Agosto 2009
Delle tante proposte di un festival come quello di Sant’Anna Arresi – quest’anno quasi interamente dedicato alle avanguardie di Chicago – il concerto più entusiasmante ascoltato finora è stato certamente quello del Golden Quartet del trombettista Wadada Leo Smith, formazione che nel corso degli anni ha assunto una felicissima connotazione transgenerazionale, con il pianoforte di Vijay Iyer, il contrabbasso di John Lindberg e la batteria di Pheeroan AkLaff. Nella serata sarda, curvato come di consueto nella sua inconfondibile postura, Smith ha impresso da subito alla band una forte coesione, con il suono della tromba, di volta in volta lacerato, dolente, ossessivo, ma capace di improvvise dolcezze. Il riferimento è chiaramente al Miles Davis elettrico, alternando atmosfere dilatate a potenti groove, condotti (anche con l’uso del pedale wah-wah) da un Lindberg in serata di grazia. Affiancando brani nuovi a altri già conosciuti come "Rosa Parks", il quartetto ha dimostrato una splendida mobilità tra le sua varie componenti e una continua capacità di scambiarsi i ruoli per creare nuovi livelli di interazione espressiva. Pubblico entusiasta, giustamente. C’era grande attesa anche per il nuovo trio del pianista Matthew Shipp (che ha dedicato il concerto ai recentemente scomparsi Rashied Alì e Joe Maneri): a partire dall’ultimo disco, "Harmonic Disorder", Shipp esplora – alternando accelerazioni e stasi a potenti masse accordali – un vasto raggio di possibilità del proprio strumento, usando anche frammenti di standard che diventano l’occasione per un ripensamento formale, prima ancora che armonico, della tradizione. Ottimo il contrabbasso del nuovo ingresso Michael Bisio, mentre il drumming sottotraccia dell’introverso Whit Dickey è sembrato a volte leggermente monotono.

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