Irreversible Entanglements, il free si è imborghesito?

Al Festival Aperto di Reggio Emilia gli Irreversible Entanglements offrono un compitino di maniera

NC

21 ottobre 2025 • 3 minuti di lettura

Foto di Andrea Amadasi
Foto di Andrea Amadasi

Teatro Ariosto, Reggio Emilia

Irreversible Entaglement

17/10/2025 - 17/10/2025

Un incipit di piccole percussioni sparse e diradate in classico stile Art Ensemble Of Chicago: eravamo in venticinque al Cinema del Carbone di Mantova, la prima volta che vennero in Italia gli Irreversibile Entanglements, era il 2018: ora, al Teatro Ariosto per la diciassettesima edizione di Festival Aperto, la platea è più nutrita, visto che negli anni Moor Mother, voce e testi della band, ha acquisito una certa fama (a nostro modo di vedere nel corso degli anni inversamente proporzionale alla qualità dei suoi lavori).

Se allora eravamo rimasti colpiti dalla necessità bruciante che animava il collettivo, stavolta invece ci siamo annoiati. “We are travelling, will you join us, won’t you join us?” declama Camae Ayewa, ma del fuoco che muoveva i newyorchesi sembrano essere rimaste francamante solo ceneri, almeno oggi. Se Protect your light uscito su Verve nel 2023 aveva dato adito a perplessità, la riedizione del loro esordio omonimo, in una versione ampliata con un pezzo in più, ci aveva ricordato i motivi che ce li avevano fatti apprezzare.

L’idea del live in buona sostanza è palla lunga e pedalare, una lunga improvvisazione senza pause con alcuni segnalibri a fungere da stazioni di passaggio: rispetto al passato notiamo un piano elettrico e un synth in più, suonati dai due fiati, Aquiles Navarro (tromba e conchiglie), Keir Neuringer (sax soprano e contralto), a variegare la palette timbrica della band, ma senza dare grossi scossoni al discorso generale. Non si avvertono né uno sviluppo articolato né un’energia sufficiente a scaldare i cuori: un po’ di melina free, una buona dose di mestiere con una dose minimale sindacale di groove (Tcheser Holmes alla batteria e Luke Stewart al contrabbasso), ma il concerto non sembra mai né iniziare né approdare da nessuna parte, o almeno non in luoghi che accendano la nostra attenzione.

La Great Black Music da cui il quintetto prende le mosse sapeva essere tesa, ispirata, pugnace, lirica, urgente e marginale, mentre qui avvertiamo pericolosi scivolamenti nel manierismo e nella didascalia. Al netto dei problemi acustici, a Reggio Emilia la band non carbura mai, limitandosi a offrire un canovaccio free sostanzialmente elementare sul quale se da un lato Neuringer cerca di innestare qualche buona idea, Navarro invece si distingue in negativa per la pochezza dell’apporto, con Holmes a tenere in piedi la baracca e Stewart poco significativo e la stessa Ayewa parsa poco in vena.

Una tantum arriva qualche buon lampo, ma in generale la pioggia non giunge mai e non ci si muove di un millimetro da un’onesta calligrafia, anche quando entrano supplementi di percussioni o di synth che portano dalle parti di certo Sun Ra. “It’s coming, it’s coming: it’s coming fresh and unchained” diceva, con tono assorto e ipnotico Ayewa e noi stessi, sette anni fa, prendendo spunto dalle sue liriche tese e ispirate,  proprio su queste colonne scrivevamo “Cosa succede quando ti restituiscono quanto ti hanno portato via? Se la fine del mondo è già accaduta e ogni giorno qualcuno se la immagina, chi potrai chiamare?”

Non certo gli attuali Irreversible, una versione pallida  e imborghesita della band che ci aveva conquistato nel 2018.  Come ha detto chirurgicamente un altro addetto ai lavori: jazz per indie-rockers.