Festival Aperto: “passaggi” tra storia, vita e morte

A Reggio Emilia il ’68 e dintorni visto da Giovanni Guidi e il Requiem di Mozart riletto da Cassol e Platel

Requiem (foto di Chris var der Burght)
Requiem pour L. (foto di Chris var der Burght)
Recensione
oltre
Teatro Ariosto, Reggio Emilia
Rebel Songs / Requiem pour L. 
06 Ottobre 2018 - 14 Ottobre 2018

A distanza di una settimana esatta sul palcoscenico del Teatro Ariosto di Reggio Emilia si sono alternati due dei diversi “passaggi” espressivi che questa edizione del festival Aperto ha raccolto nel suo cartellone.

Sabato 6 ottobre Giovanni Guidi ha riunito il suo Rebel Quintet per Rebel Songs, progetto speciale in prima assoluta commissionato dal festival emiliano dedicato alle canzoni di lotta e di protesta che hanno cantato migliaia di donne e uomini in tutte le parti del mondo. Il pianista umbro, affiancato da Daniele Tittarelli al sax, Daniele Di Bonaventura al bandoneón, Joe Rehmer al contrabbasso e João Lobo alla batteria, ha ripercorso l’immaginario popolare – e, se vogliamo, ideologico – custodito nelle melodie dell’"Internazionale" così come di "Bella ciao", passando dall’ideale omaggio alla fine degli anni Sessanta incarnati dalla Liberation Music Orchestra di Charlie Haden, alla celeberrima "Hasta siempre", inno dedicato da Carlos Puebla a Che Guevara come risposta alla sua lettera del ’65 dove diceva addio a Cuba, fino al ricordo della strage di Reggio Emilia del luglio 1960.

Giovanni Guidi

Una perlustrazione delle canzoni e delle melodie che hanno accompagnato valori e battaglie di un periodo che, a distanza di cinquant’anni, viene qui rievocato con un certo distacco. Guidi e compagni, infatti, si aggirano tra le pieghe della loro visione del ’68 e dintorni con un tratteggio stilistico estremamente equilibrato, a tratti edulcorato nella forma espressiva misurata ed elegante con la quale restituiscono le eco di valori e ideologie che, seppure ormai distanti, hanno comunque vissuto di aspirazioni concrete. Un esercizio interpretativo comunque molto accurato, che ha trovato i passaggi più efficaci nei dialoghi tra i musicisti impegnati che hanno restituito un interplay efficace, salutato dagli applausi convinti del pubblico.

Di segno radicalmente differente Requiem pour L., lo spettacolo andato in scena in prima italiana la settimana successiva, che abbiamo seguito nel debutto di sabato 13. La musica di Fabrizio Cassol si è ispirata al Requiem di Mozart per impaginare una riflessione sul passaggio tra vita e morte costruita attraverso l’esplosione della struttura della pagina mozartiana e la sua ricomposizione in una forma che impastava frammenti melodici riconoscibili e suoni africani, andamenti armonici originari e scarti ritmici popular, in una miscela espressiva spiazzante ed efficacissima.

Requiem (foto di Chris var der Burght)
Requiem (foto di Chris var der Burght)

Un mondo musicale drammaticamente diretto, che trovava nella regia Alain Platel un contraltare coerente e plastico nell’eloquenza dei gesti e degli accenni di danza degli artisti de Les ballets C de la B, chiamati ad abitare un palcoscenico disseminato da parallelepipedi di varie misure rievocanti le tombe un cimitero astratto e ideale. Sullo sfondo il filmato in primo piano di una donna morente, quella “L.” alla quale è dedicata questa pièce che rappresenta assieme pianto e celebrazione di una donna, di una persona, di una vita. Così l’agonia è rappresentata senza filtri, potente nella sua ineluttabilità e disarmante nel suo essere reale, nel suo appartenere alla natura delle cose, come la vita e come la morte, appunto. Una potenza drammatica incarnata da un dettato musicale fortemente evocativo, diretto con un senso narrativo saldo e ispirato da Rodriguez Vangama che, imbracciando il suo strumento a doppio manico chitarra-basso elettrico, ha guidato una compagine variegata ma molto affiata in un rito che evocava ora il lamento distillato del “Lacrimosa”, ora l’incedere disperato del “Confutatis”, ora il disarmato abbandono del “Rex tremendae majestatis”. Un materiale musicale che miscelava anche innesti dalla Messa in Do, inserti fonetici in linguaggi come, tra gli altri, il lingala, swahili o kilari, il tutto trasfigurato da un impasto timbrico che coinvolgeva artisti quali Boule Mpanya, Fredy Massamba, Russell Tshiebua (voci), Nobulumko Mngxekeza, Owen Metsileng, Stephen Diaz/Rodrigo Ferreira (voci liriche), Joao Barradas (fisarmonica), Kojack Kossakamvwe (chitarra elettrica), Niels Van Heertum (eufonio), Bouton Kalanda, Erick Ngoya, Silva Makengo (likembe), Michel Seba (percussioni).

Alla fine il lungo applauso del pubblico è scaturito come atto liberatorio al termine di un rituale assieme toccante e intenso, riconoscendo il giusto merito a tutti gli artisti impegnati.

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