I 20 migliori dischi JAZZ del 2018

La classifica dei 20 migliori album jazz del 2018: ristampe, riscoperte, conferme e nuova musica, dagli Stati Uniti all'Italia

Steve Coleman - i migliori dischi jazz 2018
Steve Coleman
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Il meglio del jazz del 2018, i dischi da ricordare – o da cercare se ve li siete persi. Tra ristampe, scoperte e riscoperte (Don Cherry e Coltrane, mica due a caso), conferme (Steve Coleman) e i giovani leoni italiani, il best of del gdm del jazz dell'anno che sta finendo. Ecco a voi i 20 dischi jazz più belli del 2018.

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1. Steve Coleman and Five Elements, Live at the Village Vanguard, Vol. 1  (The Embedded Sets), Pi Recordings

Il palco, leggendario, è quello del Village Vanguard di New York, che ormai da qualche anno Steve Coleman frequenta con una certa regolarità; la band, in formazione tipo, è la più longeva e persistente tra le tante guidate dal sassofonista di Chicago: Jonathan Finlayson alla tromba, Miles Okazaki alla chitarra, Anthony Tidd al basso elettrico e Sean Rickman alla batteria, per un doppio live monumentale e definitivo. Idealmente dalle parti del Miles Davis del Plugged Nickel, con la scaletta quasi speculare dei due dischi a rafforzare l'effetto bootleg. In un gioco di incastri, scoperte e ritorni che ascolto dopo ascolto, tra infiniti dettagli e luccicanti preziosismi, restituisce con travolgente esattezza tutta la genialità del Coleman pensiero.

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Steve Coleman - I migliori album jazz 2018

2. John Coltrane, Both Directions at Once, Impulse!

È stato il “caso” jazzistico dell’anno: beati i cassetti da cui escono inediti da sogno come questi quattordici brani registrati dal quartetto di John Coltrane nel marzo del 1963. La formazione è quella storica McCoy Tyner, Jimmy Garrison e Elvin Jones, la musica è la fotografia di un rovente momento di transizione, tra rielaborazioni di “Impressions” e brani ancora senza titolo, in stato di grazia, come spesso gli accadeva, come torniamo a scoprire, con l’emozione di una prima volta.

I migliori album jazz del 2018 - john coltrane

3. Henry Threadgill, Dirt... And More Dirt, Pi Recordings

Anno benedetto e prolifico il 2018 per Henry Threadgill, maestro sempre più riverito (finalmente!) che non ha perso il vizio di rischiare. Qui lo troviamo alle prese con due lunghe suite e un ensemble di una quindicina di elementi nel quale spicca la presenza dei fedelissimi Liberty Ellman (chitarra), Elliott Humberto Cavee (batteria) e Jose Davila (tuba), al fianco dei quali si schierano stelle e stelline di prima grandezza come Jonathan Finlayson (tromba), David Virelles (pianoforte) e Thomas Morgan (contrabbasso). La musica è come al solito densa, inquieta, lucidamente brulicante nel suo incedere a strappi e sobbalzi, sostenuta da un rigore visionario e da una pulsazione sfuggente ma implacabile. Capolavoro.

i migliori album jazz del 2018 - Henry Threadgill

4. Marc Ribot, Songs of Resistance, ANTI

Disco “politico” per il chitarrista Marc Ribot, che apre la porta dello studio a uno stuolo di ospiti illustri, da Tom Waits a Me’Shell Ndegeocello. Musiche di resistenza, di diritti civili, da “Bella Ciao” al Messico, trattate con la consueta inafferrabile genialità, intense, mai retoriche, finalmente e efficacemente politiche.

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Marc Ribot - meglio del jazz 2018

5. Jamie Saft, Blue Dream, RareNoise Records

Conosciuto dalle nostre parti prevalentemente per la sua militanza in alcuni progetti di John Zorn e per la sua capacità di lavorare con i suoni elettrici e con pratiche molto differenti tra loro, Saft opera una originale sintesi del linguaggio jazz più tradizionale in questo lavoro in quartetto. Insieme a Bill McHenry (tenorista dal timbro caldo e duttile), Brad Jones al contrabbasso e Nasheet Waits alla batteria, inventa uno dei dischi jazz più deliziosi degli ultimi anni.

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I migliori dischi jazz - 2018 - Jamie Saft

6. Don Cherry, Home Boy, Sister Out, Wewantsounds

Una perla dimenticata della ricca e colorata discografia del trombettista Don Cherry torna disponibile in vinile, grazie all’etichetta francese Wewantsounds. Originariamente pubblicato solo in Germania e Francia dalla Barclay nel 1985, Home Boy, Sister Out, è un disco funky e quartomondista, fortemente influenzato dalla scena new wave newyorkese di quegli anni, e riflette non solo la vasta visione musicale di Cherry, ma anche il mix originalissimo della Parigi dei primi anni Ottanta. Con la presenza, tra gli altri, del poeta d’avanguardia Brion Gysin, del percussionista senegalese Abdoulaye Prosper Niang e della cantante Elli Medeiros. Affascinante e originale.

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Best of 2018 jazz - Don Cherry

7. Andrew Cyrille/ Bill Frisell/ Wadada Leo Smith, Lebroba, ECM

L'arcano del titolo è presto svelato: Lelan, Brooklyn e Baltimora, le prime lettere delle città nelle quali sono nati i fantastici tre convocati in studio da Manfred Eicher. L'arcano del disco, invece, è molto più difficile da spiegare a parole. La musica volta alta, inafferrabile, gli orizzonti sono distanti, i colori freddi e tenui. Ci si mette poco però a capire di avere a che fare con una di quelle combinazioni magiche. Tutto funziona a meraviglia: il drumming poetico e danzante di Cyrille, la chitarra liquida di Frisell, la tromba sanguigna e obliqua di Leo Smith. Punto esclamativo della scaletta i diciassette e passa minuti di inchino al genio di Alice Coltrane, che si srotolano placidamente tra malinconiche astrazioni e contrappunti cristallini.

Lebroba, il meglio del jazz 2018

8. Hobby Horse, Helm, Auand/ Rous Records

Un passo di lato e due in avanti, lungo un percorso di crescita esponenziale. Il trio Hobby Horse, al secolo Dan Kinzelman (sax tenore e clarinetti), Joe Rehmer (contrabbasso e basso elettrico) e Stefano Tamborrino (batteria), si conferma creatura mutante e dalle illimitate risorse, pubblicando un disco che è la summa (e allo stesso tempo il superamento) di un'idea di jazz davvero unica. Nella quale si intersecano e si aggrovigliano una serie infinita di tangenti a mondi a volte lontanissimi: la Canterbury di Robert Wyatt e Kevin Ayers, la New York della scena Downtown, l'impeto del punk, l'oscura attitudine all'astrazione della new wave più allucinata, le stratificazioni tipiche di certa elettronica, la bruciante urgenza comunicativa del free. Il tutto mediato da una salvifica propensione alla musicalità. Centro pieno.

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Top jazz 2018 - Hobby Horse

9. Eve Risser/ Kaja Draksler, To Pianos, Clean Feed

Magico incontro tra due delle più talentuose pianiste del jazz europeo di oggi, la francese Eve Risser e la slovena Kaja Draksler, questo disco è un viaggio affascinante che svela scorci inediti dell’interazione (solitamente giocata su un ridondante virtuosismo) tra i due strumenti. Liricamente inquieto, l’incedere delle due musiciste si misura con una fantasia timbrica che fa sembrare lievi e mobili anche due strumenti così ingombranti.

Eve Risser / Kaja Draksler - top jazz 2018

10. Mary Halvorson, Code Girl, Firehouse 12

Nostra signora delle (imprevedibili) sei corde colpisce ancora. Ennesima uscita, ennesimo colpo a segno. Grazie anche alla voce colta e magnetica della cantante Amirtha Kidambi, attorno alla quale la Halvorson aggiusta e ritaglia il consueto armamentario tipico del Brooklyn sound (curve a gomito, arpeggi scheletrici, melodie sghembe, cadenze zoppicanti, crescendo nevrotici). Bellezza nella bellezza, oltre ai colpi di genio dispensati a secchiate da una Halvorson sempre più camaleontica, il contrabbasso legnoso di Michael Formanek e la tromba mobilissima di Ambrose Akinmusire.

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Mary Halvorson, i migliori dischi jazz del 2018

11. Pipe Dream, Pipe Dream, CamJazz

“Sogno irrealizzabile” (questo il significato del nome della band) che si realizza, Pipe Dream riunisce alcuni riconosciuti talenti del nostro jazz – il batterista Zeno De Rossi, il vibrafonista Pasquale Mirra, il trombonista Filippo Vignato e il tastierista Giorgio Pacorig – insieme a un nome leggendario della scena downtown newyorchese come quello del violoncellista Hank Roberts. La musica del disco, ottimamente amalgamata, è costruita su idee melodiche e ritmiche semplici e efficaci che spesso trovano nella costruzione collettiva una forza cinetica illuminante.

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Pipe Dream - top album jazz 2018

12. Tyshawn Sorey, Pillars, Firehouse 12

Il monolite è di quelli difficili da maneggiare, nel solco di una produzione discografica che non ha mai celato afflati e (smisurate) ambizioni. Tre CD, tre brani da quasi settanta minuti l'uno, un doppio LP ad aggiungerne un quarto (diviso in quattro parti). Tyshawn Sorey stavolta ha fatto le cose più in grande del solito, dando liberissimo sfogo a tutta la propria (geniale) brama di magniloquenza. Il risultato? Un epico e inquietante flusso di coscienza; un'estenuante e rarefatta meditazione per chitarre, contrabbassi, trombe, trombone, batteria, elettronica e silenzio. Oltre lo spazio, al di là del tempo, da qualche parte tra John Cage, Morton Feldman e Butch Morris.

Tishawn Sorey - top 20 jazz 2018

13. Beppe Scardino, BS10 Live in Pisa, Auand

Ha scelto la formula del tentetto Beppe Scardino per riprendere il discorso che si era interrotto dopo i fasti di Orange Room. Con lui alcune delle presenze più significative del jazz italiano dell'ultimo decennio (da Piero Bittolo Bon a Dan Kinzelman, passando per Simone Graziano, Gabrio Baldacci e Gabriele Evangelista), a dare forma e sostanza a un disco intenso, emozionante, corale, ispiratissimo a livello compositivo e di grande impatto. Il disco che stavamo aspettando.

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Beppe Scardino - i migliori dischi jazz del 2018

14. The Thing, Again, Trost

Loro. Di nuovo. Con un altro disco, a quasi vent'anni dal primo. Mats Gustafsson (sassofoni), Ingebrigt Håker Flaten (basso elettrico e contrabbasso) e Paal Nilssen-Love (batteria) in forma smagliante. A perdifiato e a capofitto lungo un programma di originali all'interno del quale è incastonata una preziosa rilettura di “Decision in Paradise” di Frank Lowe (con Joe McPhee ospite alla pocket trumpet). Ayler dall'alto sorride, Coltrane fa capolino da dietro l'angolo, Ornette osserva e annuisce. Loro. Di nuovo. Per fortuna.

The Thing Again - Best of jazz 2018

15. Roberto Ottaviano, Eternal Love, Dodicilune

Spirituale e diretto, questo nuovo gioiello nella discografia del sassofonista soprano Roberto Ottaviano trova nei compagni di avventura (Marco Colonna e Alexander Hawkins in particolare) gli interlocutori ideali per rievocare con freschezza la fervida stagione creativa di fine anni Sessanta, guardando all’Africa e a un senso cosmico con la maturità dei grandi maestri. Difficile non riascoltarlo appena è finito.

Roberto ottaviano Eternal Love - i migliori album jazz 2018

16. Sons of Kemet, Your Queen Is a Reptile, Impulse!

Nel loro primo disco per la storica Impulse!, i Sons of Kemet del vulcanico Shabaka Hutchings attuano, grazie alla multiculturalità della band e al suo segno "politico", un preciso richiamo alla temperie in cui Coltrane e soci agivano. Your Queen Is a Reptile recita il titolo ed è un chiaro invito a riconoscere l'importanza di altre Regine oltre a quelle riconosciute. Linguisticamente composito e scoppiettante.

Sons of Kemet - i migliori album jazz 2018

17. The Necks, Body, ReR Megacorp

È stupefacente la puntualità con la quale gli australiani The Necks si ostinano a farsi notare. Li avevamo lasciati nel 2017 con lo splendido (doppio) Unfold, li ritroviamo nel 2018 con l'altrettanto convincente Body. Disco singolo stavolta e traccia unica, a ribadire l'unicità di una visione perfettamente centrata, in miracoloso equilibro tra minimalismo, improvvisazione radicale, elettronica colta, kraut e ambient. All'anno prossimo.

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The Necks - i più bei dischi jazz 2018

18. Franco D'Andrea, Intervals I, Parco della Musica Records

Non sembra subire mai flessioni la straordinaria intelligenza musicale di Franco D’Andrea. Qui alla guida di un ottetto che unisce i suoi trii, fornisce una volta ancora l’esempio emozionante di un linguaggio stratificato e pienamente organico, capace di sottigliezze timbriche e di un calore collettivo a servizio di un disegno formale di eccellente nitore.

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Franco d'andrea- i migliori dischi jazz 2018

19. Drive!, Drive!, Auand/ ROUS Records

Il nome Drive! segna il nuovo progetto collettivo del pianista Giovanni Guidi insieme al bassista Joe Rehmer e al batterista Federico Scettri. Le sonorità di questa avventura sono costruite principalmente con strumenti elettrici/elettronici (spesso dalla grana ruvida) e con la spontaneità della creazione collettiva istantanea. Piano elettrico, tastiere, suoni gommosi e graffianti, tuffi incoscienti in un iperspazio magmatico e avventuroso in cui riecheggiano bagliori del jazz elettrico dei primi anni Settanta, ma anche le schegge roventi dell’elettronica a seguire.

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Drive - giovanni guidi - joe rehmer - i migliori album del 2018 jazz

20. Dave Holland, Uncharted Territories, Dare2 Records

Per il ritorno al lato oscuro del jazz di Dave Holland non si poteva sperare di meglio. Spalleggiato da un sodale di lunga data come il sassofonista Evan Parker (i due suonano insieme dal 1967), e da due fuoriclasse della generazione di mezzo come Craig Taborn (piano) e Ches Smith (percussioni e batteria), il contrabbassista inglese riallaccia felicemente i rapporti con l'improvvisazione radicale pubblicando un disco (doppio) finalmente azzardato e spigoloso, intransigente e coraggioso. Bentornato a casa signor Holland.

DaveHolland - il meglio del 2018 jazz

 

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