I 20 migliori dischi JAZZ del 2017

La classifica dei 20 migliori album jazz del 2017: la boxe secondo Steve Coleman per un classico contemporaneo

I migliori dischi del 2017 - Steve Coleman
Steve Coleman
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Anno ricco di jazz il 2017, con alcuni dischi destinati a essere dei classici contemporanei: fra l'avanguardia americana e quella italiana, e con qualche riscoperta dal catalogo dei grandi del passato, ecco i 20 migliori dischi jazz del 2017, scelti dalla redazione del "giornale della musica".

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1. Steve Coleman, Morphogenesis, Pi Recordings

In questo spettacolare lavoro Steve Coleman trae spunto da alcuni movimenti della boxe che sono stati visualizzati e poi orchestrati per un organico particolarmente originale (tromba, voce, sax, pianoforte, clarinetto, violino, contrabbasso e percussioni) senza batteria. Nervoso e cameristico, onirico e acceso da interventi solistici eccellenti (Matt Mitchell su tutti), è un disco destinato a rimanere.

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I migliori dischi del 2017 - Steve Coleman

2. Craig TabornDaylight Ghosts, ECM

Sempre più obliquo, complesso eppure immediato, Craig Taborn si conferma uno dei più luminosi esploratori del jazz di oggi. In quartetto con il tenore brunito di Chris Speed, il contrabbasso di Chris Lightcap e la batteria di Dave King, grazie anche a un sapiente uso dell’elettronica, questo lavoro è un nuovo gioiello nella discografia del pianista di Minneapolis.

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Craig Taborn - i migliori dischi jazz del 2017

3. Thelonious Monk, Les Liaisons DangereusesSam Records

Rispolverate e tirate a lucido, le registrazioni che videro Monk riottosamente alle prese con la colonna sonora del film di Roger Vadim, nel luglio del 1959, sono tra i reperti più preziosi e lucenti riemersi da quando ristampe e inediti sono diventati un prolifico mercato parallelo in ambito jazz. Accanto al santone di Rocky Mount, oltre al fedelissimo Charlie Rouse, troviamo Sam Jones al contrabbasso, un poco accomodante Art Taylor alla batteria e Barney Wilen al sax tenore. Il repertorio è quello di sempre, ma tra sorprese, alternate takes, making of e ritagli, sembra quasi di poter socchiudere la porta dello studio di registrazione e allungare la mano per toccare la musica.

Thelonious Monk, Les Liaisons Dangereuses, Sam Records - i migliori dischi jazz del 2017

4. Tyshawn Sorey, Verisimilitude, Pi Recordings

Gioca qui genialmente a rimpiattino tra composizione e improvvisazione, il batterista Tyshawn Sorey, vincitore di una ambita MacArthur Fellowship 2017. In trio con di Corey Smythe al piano e elettronica e di Chris Tordini al contrabbasso, costruisce, ispira, evoca un mondo sonoro lento e scuro, che rifugge dall’idiomaticità sia del jazz che della contemporanea per consentire una continua ricombinazione di gesti, tessiture, timbri, moduli. Introspettivo e di profonda multidimensionalità.

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Tyshawn Sorey, Verisimilitude, Pi Recordings - i migliori dischi jazz del 2017

5. Roscoe Mitchell, Bells for the SouthsideECM

Anno 2015. A Chicago si celebra il mezzo secolo di vita dell'AACM e Roscoe Mitchell decide di festeggiare a suo modo: portando sul palco un nonetto che allinea alcuni dei suoi più stretti e devoti collaboratori (da Craig Taborn a Tyshawn Sorey, passando per Hugh Ragin e Kikanju Baku). Due anni dopo il risultato in formato CD è un monumentale doppio che riesce nel non facile compito di circoscrivere e riassumere il Mitchell-pensiero applicato ai concetti di spazio, tempo e densità.

Roscoe Mitchell, Bells for the Southside, ECM - i migliori dischi jazz del 2017

6. Eve Risser White Desert Orchestra, Les deux versants se regardentClean Feed

Tra i tanti progetti della formidabile pianista francese Eve Risser, la White Desert Orchestra occupa un posto speciale: piccola orchestra di 10 elementi, una scrittura che è pura magia tra umanità e sorpresa, la White Desert fissa qui alcune delle sue pagine più emozionanti in un vorticare di idee e di scorribande dei solisti. Essenziale.

I migliori dischi del 2017 - Eve Risser White Desert Orchestra, Les deux versants se regardent, Clean Feed

7. Tim Berne Snakeoil, IncidentalsECM

Quarta tappa del viaggio intrapreso nel 2012 con Snakeoil per il sassofonista di Syracuse e nuova, impressionante dimostrazione di vertiginosa e magnetica lucidità. Non che ci sia molto di nuovo rispetto a quanto già si sapeva, ma anche grazie alla lungimirante produzione di David Torn il livello di coerenza e di efficacia della musica di Berne raggiunge qui nuovi ed emozionanti esiti.

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Tim Berne Snakeoil, Incidentals, ECM - i migliori dischi del 2017, jazz

8. Mat Maneri/Evan Parker/Lucian Ban, Sounding Tears, Clean Feed

Sul magnetico duo tra la viola di Mat Maneri e il pianoforte di Lucian Ban si innesta l’inconfondibile sassofono di Evan Parker. Camerismo avant in cui emergono echi del Novecento storico, rigore melodico e un rapsodico borbottio che svela la coolness del sopranista inglese. Onirico e notturno, uno dei dischi più sorprendenti dell’anno.

Mat Maneri/Evan Parker/Lucian Ban, Sounding Tears, Clean Feed - i migliori dischi jazz del 2017

9. Matt Mitchell, A Pouting Grimace, Pi Recordings

La prova del nove. La definitiva consacrazione per un pianista dal talento gigantesco. Che dopo l'apprendistato agli ordini di Tim Berne, e la recente chiamata di Steve Coleman, si rimette in proprio con un lavoro fittamente stratificato e timbricamente rigoglioso, un piccolo-grande trattato sulla modernità concepito con rigore e infinito amore per i dettagli.

9. Matt Mitchell, A Pouting Grimace, Pi Recordings - i migliori dischi jazz del 2017

10. Jamie Saft, Loneliness Road, Rare Noise

Si fa presto a dire ospite. Ma quando l'ospite si chiama Iggy Pop, è inevitabile che le prospettive cambino. Tre i brani nei quali l'iguana piega alla sinistra volontà della propria voce, e delle proprie liriche, le composizioni messe su pentagramma dal pianista newyorchese per essere affidate allo Standard Trio (con Steve Swallow al basso elettrico e Bobby Previte alla batteria). Voce che filtra come appiccicoso e nero petrolio nel terreno di un disco emozionante.

Jamie Saft, Loneliness Road, Rare Noise - i migliori dischi jazz del 2017

11. The Necks, UnfoldIdeologic Organ

Un doppio vinile nel quale sprofondare e sciogliersi, un compendio vario e dettagliato di trent'anni di musica che sa allo stesso tempo di splendida conferma e di ulteriore, meditato passo in avanti per The Necks – Chris Abrahams (pianoforte, elettronica e tastiere), Lloyd Swanton (contrabbasso) e Tony Buck (percussioni e batteria). Come sempre nel segno dell'ipnotica liquidità, miracolosamente in bilico tra pura astrazione, struggente cantabilità e scientifica maestria.

The Necks, Unfold, Ideologic Organ - il meglio dei dischi jazz 2017

12. Simone Graziano, Snailspace, Auand

Il pianista fiorentino Simone Graziano è certamente una delle figure più interessanti emerse in questi ultimi anni sulla scena jazzistica italiana. Qui in trio con il bassista Francesco Ponticelli e il batterista Tommy Crane, Graziano costruisce (con o senza elettricità) una musica in cui confluiscono anche i linguaggi di quel “minimalismo” contemporaneo che è figlio dell’elettronica e delle scansioni ritmiche del rock prima ancora che dell’iteratività della scena contemporanea americana del secondo dopoguerra. Molto bello.

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Simone Graziano, Snailspace, Auand - i migliori dischi jazz del 2017

13. Gabriele Mitelli ONG, CrashParco della Musica

Il Gabriele Mitelli che non ti aspetti. Brutto, sporco e cattivo nel pilotare un quartetto ad altissimo tasso di trasversalità: oltre alla cornetta, due chitarre, Enrico Terragnoli e Gabrio Baldacci, e la batteria di Cristiano Calcagnile. Un disco rock, verrebbe da dire, con dentro tanta Chicago e la giusta dose di abrasiva anarchia. Musica che resta, che scalcia e che scombina.

Gabriele Mitelli ONG, Crash, Parco della Musica - i migliori dischi jazz del 201

14. Vijay Iyer Sextet, Far From Over, ECM

In questo splendido disco, sulla base del trio con Stephan Crump al contrabbasso e Tyshawn Sorey alla batteria, il pianista Vijay Iyer innesta un terzetto di fiati composto da Steve Lehman al contralto, Mark Shim al sax tenore e Graham Haynes a cornetta, flicorno e elettronica. Iyer perfeziona la dimensione ritmico/tessiturale delle sue migliori prove in trio, proiettandola dentro profondità in cui baluginano i fantasmi urbani M-Base che tanto hanno contribuito alla formazione della sua estetica. Sfaccettato e umanissimo.

Vijay Iyer Sextet, Far From Over, ECM - il meglio del jazz 2017

15. Fabrizio Puglisi Guantanamo, Giallo Oro, Caligola

Sestetto avant-latin di straordinaria intelligenza, questo gruppo del pianista Fabrizio Puglisi riesce a aprire il discorso ritmico afrocubano non solo verso le naturali radici africane, ma anche proiettandolo dentro un futuro visionario e distopico, in cui composizioni di Bud Powell o di Lennie Tristano si accendono di una luce quasi psichedelica e allucinata. Festa poliritmica.

Fabrizio Puglisi Guantanamo, Giallo Oro, Caligola -  il meglio del jazz 2017

16. Roberto Ottaviano QuarkTet, Sideralis, Dodicilune

Le coordinate spaziali sono quelli dell'omaggio dichiarato al John Coltrane della fase “spaziale” e ad altri eroi che abitano il pantheon del sassofonista. Ma dentro Sideralis c'è molto, molto di più. Grazie anche al contributo sostanziale dei musicisti scelti come compagni di avventura: il pianista Alexander Hawkins, il contrabbassista Michael Formanek e il batterista Gerry Hemingway. Un quartetto extra lusso per un disco denso, multiforme e sorprendente. 

Roberto Ottaviano QuarkTet, Sideralis, Dodicilune - il meglio del jazz 2017

17. Zeno de Rossi, Zenophilia, Auand

Niente contrabbasso, niente pianoforte. La batteria a macinare ritmi e due fiati a fronteggiarsi: il sax contralto di Piero Bittolo Bon e il trombone di Filippo Vignato. Dritti al centro di una musica viva e giocosa, frizzante e tagliente, da qualche parte tra una brass band ridotta ai minimi termini e un jazz trio in assetto da combattimento.

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Zeno de Rossi, Zenophilia, Auand - il meglio del jazz 2017

18. Jaco Pastorius, Truth, Liberty & Soul, Resonance Records

Due ore abbondanti di immacolato, inedito e pirotecnico Jaco Pastorius. Alla testa della World Mouth Big Band nel pieno dell'estate del 1982, sul palco della Avery Fisher Hall di New York. L'eroe virtuoso per eccellenza del jazz moderno catturato dal vivo come raramente è capitato di ascoltare: per l'altissima qualità della registrazione e per la travolgente energia che l'orchestra di ben ventidue elementi (Don Alias, Randy Brecker, Bob Mintzer, Peter Erskine) riesce a sprigionare affrontando composizioni come “The Chicken”, “Donna Lee” e “Sophisticated Lady”. Gioia pura.

Jaco Pastorius, Truth, Liberty & Soul, Resonance Records - i migliori dischi jazz del 2017

19. Roots Magic, Last Kind Words, Clean Feed

Giunti al secondo disco per la portoghese Clean Feed, i romani Roots Magic si confermano uno dei gruppi più intensi della nostra scena jazz. Alberto Popolla e Errico DeFabritiis alle ance, Gianfranco Tedeschi al contrabbasso e Fabrizio Spera alla batteria si muovono alla grande nel solco della più rovente tradizione creativa nera. In questo lavoro vengono riletti temi di Charley Patton, di Julius Hemphill, di Roscoe Mitchell, ma anche di Henry Threadgill. Musica dalle sane radici blues, che nasce dall’urlo, dall’anima, musica che in parte ha trovato una sua storicizzazione, ma che con i Roots Magic dimostra di essere sempre portatrice di una sana energia emotiva.

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Roots Magic, Last Kind Words, Clean Feed -il meglio del jazz 2017

20. Bill Frisell/Thomas Morgan, Small Town, ECM

Quando due sensibilità come quella del chitarrista Bill Frisell e del contrabbassista Thomas Morgan si incontrano (qui dal vivo), è lecito attendersi una grande magia che nasce dall’intimità, dalla capacità di evocare un lirismo articolato anche con poche note, dal desiderio di lavorare direttamente sull’anima delle composizioni, siano esse un classico di Konitz come "Subconscious Lee", il tema di Goldfinger o una delle melodie “americane” tipiche del canzoniere friselliano. Che meraviglia!

Bill Frisell/Thomas Morgan, Small Town - i migliori dischi jazz del 2017

 

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