ITALODISCHI #8 2025 – Collezione autunno-inverno 1
30 dicembre 2025 • 5 minuti di lettura
L’Italia musicale ha visto, nei primi mesi dopo l’estate, un accavallarsi di uscite molto diverse tra loro, ma nella loro eterogeneità la qualità media è stata alta.
Curiosamente, alcuni titoli si rifanno esplicitamente a stili del passato. Vediamo quindi in sequenza una selezione dei migliori dischi della stagione autunnale, senza pretesa di trovarvi un filo conduttore.
Little Pieces of Marmalade, Mexican Sugar Dance
Alcuni di voi si ricorderanno di questo duo marchigiano che ebbe un momento di popolarità nazionale nel 2020/21, quando partecipò a un’edizione di X Factor finendo sotto l’ala protettrice di Manuel Agnelli.
Non fu tanto l’esperienza televisiva a segnare il destino del gruppo (arrivarono comunque secondi), quanto la collaborazione con il Manuelone nazionale, che li ingaggiò come backing band per il suo disco solista e se li portò in tour per promuovere l’album.
Il loro primo album uscì nel 2020; Mexican Sugar Dance è il terzo e, che dire, è una bomba. Anche se in Italia siamo già ben abituati alle formazioni a due di chitarra e batteria (penso naturalmente ai Bud Spencer Blues Explosion), quello che riescono a fare qui DD (batteria e voce) e Frankie Wah (chitarra e basso) è veramente miracoloso.
Semplificando, si potrebbero catalogare i LPOM come un incrocio tra Led Zeppelin e Fugazi, ma non si renderebbe giustizia alla loro creatività, che li porta ad alternare violente esplosioni noise a momenti di quiete controllata, a passare con disinvoltura dall’hard core al pezzo d’atmosfera.
Si è parlato poco di questo album (forse il marchio di X Factor non è un precedente positivo), ma vi invito a verificare voi stessi se i Little Pieces of Marmalade non sono una forza della natura (nota last minute: per chi non si accontenta, a dicembre è uscito un altro album altrettanto valido: 404DEI).
The Lancasters, The Word of the Mistral
Rimanendo in ambito rock, merita una segnalazione il disco dei Lancasters, gruppo bresciano giunto, se non erro, al terzo album.
Dichiaratamente ispirato dal sound inglese di fine sixties inizio seventies (riferimenti che vanno dai (ancora…) Led Zeppelin agli High Tide via Jeff Beck), The Word of the Mistral è un album di rock psichedelico che non inventa nulla, ma che funziona sia sulla capacità di costruire riff potenti che su quella di creare atmosfere sognanti di matrice lisergica.
Sound ed esecuzione tecnica sono impeccabili.
Alex Fernet, Modern Night
Revival per revival, con Alex Fernet piombiamo in pieno negli anni Ottanta e in questo caso l’aderenza ai modelli (l’italo disco a tonnellate; ma anche Spandau Ballet, Hall & Oates, Human League, eccetera) a tratti è talmente spudorata da sembrare caricaturale.
E non escludo che a molti ascoltatori possa apparire tale, con questi suoni di synth analogico a dominare la produzione e l’atteggiamento da disco bar di provincia a farla da padrone. Tutto vero, quindi il warning vale senz’altro – e la cartella stampa che si sforza di raccontare di quanto l’album sia attuale fa un po’ tenerezza…
Ciò detto, il fatto è che in Modern Night ci sono delle canzoni, e per quanto dolciastre e ammiccanti possano apparire, hanno una certa sostanza. E insomma, funzionano. Sì che funzionano.
Agosta, For Today
Cambiamo genere ma sempre di revival si tratta. (Roberto) Agosta è un catanese nato musicalmente col trip hop degli anni Novanta, e la passione per la musica a bassa battuta non gli è mai venuta meno.
A livello discografico però ha iniziato a pubblicare solo recentemente, questo essendo il suo secondo album. Un album deliziosamente retrò, che ci porta a rivivere i momenti d’oro di Air e Zero 7 – beninteso, quei livelli sono irripetibili, ma un riascolto fuori dal tempo è benefico, e la sensazione di rilassamento indotta da questo stile musicale rimane intatta.
Brucherò nei pascoli, Umana
Passiamo a qualcosa di più moderno? Ad esempio il secondo album dei Brucherò nei pascoli, un trio che ha la sfacciataggine dei giovani nel mischiare stili di ogni tipo. Rock, noise, elettronica, rap, passa tutto, purché supportato da un’intenzione esplicita di cercare la dissonanza, la provocazione, il gesto clamoroso.
Fanno pensare a quei pazzi degli Atari Teenage Riot. Eppure, non si ha la percezione che l’atteggiamento sia gratuito. I testi sono violenti ma interessanti, i suoni eterogenei ma conformi a un obiettivo, insomma l’album ha un suo senso e si rivela molto più complesso e ricco di contenuto di quanto non appaia al primo ascolto.
Dorso, Pantano
Un altro giovane di belle speranze è Dorso, giunto al secondo album, pubblicato dalla prestigiosa 42 Records.
Ipotetico spaccato di una notte bolognese vissuta da un twenty-something dei nostri tempi, Pantano è un frullato pop che incorpora come da copione un po’ di tutto, qualche sferzata punkeggiante, più di un ammiccamento all’electro, ma fondamentalmente è un disco di canzoni a tema giovanilistico che possono piacere (molto) ai suoi coetanei.
Canzoni che però sono ancora in un limbo: potrebbero acquisire sostanza (e maggiore ironia) e diventare una valida alternativa ai Cani, o scegliere la strada facile della melodia piaciona e fare concorrenza a Tommaso Paradiso. In Dorso si ravvede un certo qual talento, vedremo se saprà metterlo a frutto.
Biagio Marino, Pun
Saltiamo di palo in frasca e approdiamo in un territorio che potremmo definire avant jazz. Peculiare è però la formazione che dà vita a questo progetto, poiché si tratta di un power trio dal formato tipicamente rock: chitarra (suonata da Biagio Marino), basso (Danilo Gallo) e batteria (Gioele Pagliaccia).
Pun è un disco ardito e imprevedibile in cui le strutture ritmiche e armoniche inusuali non sono fini a se stesse, ma si sviluppano in brani di grande impatto energetico che spaziano tra le reminiscenze più jazz rock del sound di Canterbury e le sue manifestazioni collaterali più aggressive (ad esempio i Massacre di Fred Frith), fino a sfiorare ambientazioni quasi noise. Un album ricco di stimoli, forse non per tutti ma di indubbio valore.
Destroy Dubai, (+)(-)(±)
Chiudo con due dischi di pura elettronica. Dietro al moniker Destroy Dubai si cela Alessio Capra; il nome non vi dirà molto ma lui è stato un membro fondatore dei Super Elastic Bubble Plastic, gruppo indie di stampo grunge-metal di una certa rilevanza.
Ecco però che per questo esordio solista c’è un drastico cambio di registro, in quanto si tratta di elettronica sperimentale, tra ambient rarefatta e field recordings assemblati in pezzi isolazionisti, che ricordano i lavori di William Basinski. Si tratta pertanto di un ascolto per cultori del genere, che però troveranno in questo album indubbia perizia e capacità di astrazione, per un’esperienza psichedelica di notevole intensità.
Shedir, We Are All Strangers
Shedir è Martina Betti, compositrice sarda non molto nota ai più, che però con questo We Are All Strangers è già al quarto album; esce peraltro per una label americana, la n5MD. Anche in questo caso la cifra del disco è l’ambient; una ambient oscura, senza compromessi, a tratti quasi inquietante.
Pensate a una versione astratta e strumentale di Daniela Pes, in cui compare il tocco di Burial a conferire al sound una spazialità inafferrabile, tuttavia senza un beat di riferimento. Strano, alieno, ammaliante; cito “Soulbird” come esempio ideale di questo sound inesplicabile. Una scoperta totale.