Italodischi #7 2025 - Gli anomali

Cesare Basile, She's Analog, A-Tweed, Sacrobosco, Studio Murena, Miriam, Luigi Cinque, Tare, Orange Combutta, Captain Quentin

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23 ottobre 2025 • 6 minuti di lettura

Studio Murena
Studio Murena

Seconda puntata di Italodischi a riassumere le uscite italiane più significative della scorsa estate (per essere più precisi, da maggio ad agosto).

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Qui tratteremo artisti che spaziano su sonorità e composizioni più inconsuete rispetto al pop, spesso contaminate con l’elettronica e con influenze eterogenee, dal jazz all’hip hop all’etnica alla dance.

Due dischi da non perdere

Cesare Basile, Nivura Spoken

Il precedente album di Cesare Basile, Saracena, dello scorso anno, era già un esempio piuttosto spinto di contaminazione del folk della sua terra sicula con un suono fortemente marcato dall’elettronica.

Si potrebbe pensare che da cosa nasce cosa, perché questo Nivura Spoken si spinge su territori ancora più estremi, con una produzione molto coraggiosa tra sonorità industrial, rumorismi e droni isolazionistici. In realtà, il disco data di diversi anni, poiché è l’ennesimo prodotto della stagione del lockdown, e vuole esprimere l’alienazione di quel dannatissimo periodo storico. Ci riesce benissimo, e lo fa con una potenza espressiva straordinaria, capace di creare panorami inquieti e destabilizzanti.

Il valore aggiunto è la presenza di diverse voci femminili ad alternarsi sui vari episodi: da Lilith a Nada, da Sara Ardizzoni a Vera Di Lecce, le interpretazioni fornite, tanto diverse quanto funzionali ai singoli pezzi, sono un ulteriore asso nella manica di questa splendida raccolta.

She’s Analog, No longer, not yet

Questo potrebbe essere il disco più "difficile" di questa rassegna; di sicuro è quello più coraggioso e meno allineato, e in verità un ascolto obbligato per chiunque ami sonorità originali e di ricerca. Il terzetto romano dei She’s Analog, che debuttarono nel 2020, spinge la propria ricerca su territori che superano nettamente i confini di una formazione con chitarra, tastiere e batteria; qui si usano field recordings, elettronica glitch e altre sonorità inusuali.

L’esito è un amalgama di post rock, ambient jazz e dubstep futurista che fa pensare a un incrocio impossibile tra Necks, Burial e Global Communication, e che si esprime al meglio su pezzi dilatati a oltranza come “blu”, 18 minuti a occupare un’intera faccia del vinile, come accadeva nei dischi di prog anni Settanta; ma qui non c’è traccia di ridondanze o virtuosismi fini a se stessi, solo musica totalmente libera e fuori da ogni categoria.

Beats

A-Tweed, Spring Music

In ambito puramente elettronico, ho trovato estremamente interessante Spring Music, il primo album di A-Tweed, producer che risponde al nome di Antonio De Oto e viene da Roma, anche se a pubblicare il disco è un’etichetta spagnola, la Abstrakce.

Nel suo (inevitabile) eclettismo sonoro, che spazia dalla minimal techno agli astrattismi acid di Aphex Twin, attraversando la ambient, l’industrial e certe desolate atmosfere dub(step), la raccolta ha il pregio di evitare il rischio di sovraccaricare inutilmente il suono; preferisce anzi agire per sottrazione e creare panorami scarni, ridotti all’osso, costruendo il suo fascino proprio nel minimalismo, sul quale si innestano di volta in volta schizzi sonori che sorprendono l’ascoltatore.

Sacrobosco, Apes + Tigers

È il terzo album per Giacomo Giunchedi aka Sacrobosco, e ci sono alcune novità rispetto alle due uscite gemelle del 2023. Fondamentalmente si tratta dell’ingresso di due musicisti ad affiancare i device elettronici: Gioele Pagliaccia alla batteria (per i live), e soprattutto Paolo Raineri (Ottone Pesante) alla tromba.

Il sound di Apes + Tigers, che parte da una base elettronica a metà strada tra l’IDM e gli Underworld di Second Toughest in the Infants, si arricchisce così di nuove sfumature dal sapore jazz, alle quali si aggiungono sovraincisioni mirate che simulano i disturbi di un nastro magnetico usato più volte – tecnica già in uso in certi ambienti di hauntology. Il risultato è un disco di elettronica ibrida, che sfiora molti stili senza sposarne nessuno, con un sound altrettanto mutevole e inafferrabile.

Studio Murena, Notturno

Il rap italiano ha già vissuto molte stagioni, ma un gruppo come lo Studio Murena non c’era davvero mai stato. L’atteggiamento hard core del rapping è indiscutibile, a costo di apparire non così fluido e, a tratti, addirittura quasi privo di funk. Ma le sonorità impiegate dal gruppo sono altrettanto incompromissorie, poiché vanno a pescare campioni dal jazz meno ammiccante e fanno uso sempre più diffuso di elettronica.

Ne deriva un sound che ha ben poche concessioni al facile ascolto, ma che proprio per la sua spigolosità mostra un carattere unico. Notturno, terzo album della band, non sarà certo quello che li farà sfondare nel mainstream, ma nel suo genere è più unico che raro.

Miscellanea

Miriam, Sing-A-Beast

Esordiente ma tutt’altro che giovanissima, la torinese Miriam (vero nome: Mariella Modonese) è abituata da tempo a frequentare la scena underground cittadina, in quanto madre di uno dei suoi protagonisti, quel Fabrizio Modonese Palumbo attivo come ( r ) e membro di Larsen e Blind Cave Salamander, tra le tante formazioni in cui ha militato – in Sing-A-Beast agisce in veste di produttore.

L’album è una deliziosa, delicata raccolta di 10 quadretti a tema animalesco, fondamentalmente strumentali, volutamente semplici nella struttura e nella strumentazione, ma assai intriganti a livello melodico, e con quel tocco surreale che li esclude dalla banalità, facendoli somigliare piuttosto a certe cose minimali dei Residents anni Ottanta. Conclusione: non è mai troppo tardi per incidere un disco, quando si ha sensibilità musicale e buon gusto.

Luigi Cinque, Kromosoma maris

Pur essendo in giro da oltre 50 anni, Luigi Cinque ha pubblicato album con regolarità solo da inizio millennio, senza mai raggiungere la popolarità che avrebbe meritato. Chi vuole può però rifarsi partendo da quest’ultimo Kromosoma maris, un disco luminoso e affascinante che mischia il jazz con la world music e con suggestioni molto cinematografiche.

Ispirato dalle tradizioni della musica etnica del Maghreb africano, del Mediterraneo e del Sudamerica, il sax di Cinque si invola su basi percussive esotiche con interventi vocali misurati, a volte in spoken word. Un album di grande eleganza, che ricorda a tratti le sperimentazioni che fece la Crammed a partire dagli anni Ottanta.

Tare, Gas

I Tare sono una coppia di giovani esordienti vicentini (in realtà già autori di un paio di EP), che di primo acchito ti annichilisce con un assalto sonoro ipercinetico in cui rispolvera ritmiche drum’n’bass e jazz core alla John Zorn – o meglio, alla Mehliana, il cui Taming The Dragon è un’influenza dichiarata della band: ad ogni modo, c’è da restare senza fiato perlomeno per i primi tre pezzi. Dopo di che l’atmosfera si fa un po’ più laidback e rilassata, senza tuttavia perdere consistenza né disdegnare altre occasionali impennate ritmiche.

A metà tra il mood cartoonesco degli (per chi se li ricorda) Amari, la follia di Bugo e il kitsch di una discoteca freestyle, Gas ha molte ingenuità da mettere in conto, ma anche un pacco di idee interessanti, e i Tare vanno seguiti con attenzione: potrebbero maturare bene.

Orange Combutta, Oka.pi

La 42 Records ci sta abituando a scoprire splendide anomalie del sottobosco italico, che fanno dell’inclassificabilità il loro punto di forza. Dopo la sorpresa dei Neoprimitivi, è il turno degli Orange Combutta, un "collettivo" più che una band, anch’essi romani ma anagraficamente un po’ meno giovani (il leader Giovanni Minguzzi è sulla trentina). Oka.pi non è un esordio (quello avvenne nel 2020 con un album su Irma passato abbastanza inosservato) ma merita comunque un’attenzione particolare, perché anche in questo caso l’eclettismo stilistico è disorientante: ma prendetelo come un complimento.

Il disco alterna fondamentalmente jazz abbastanza canonico a sviluppi da soundtrack cinematografica (che strizza l’occhio a Morricone), ma il suo valore aggiunto sono inserti incontrollabili che offrono aggressioni chitarristiche, ammiccamenti al trip hop, squarci melodici sia vocali sia strumentali. Non tutto fila alla perfezione, ma prendendosi questi rischi, ci mancherebbe.

Captain Quentin, Quattro

Per concludere, un disco talmente eterogeneo da essere impossibile da classificare. I Captain Quentin sono una band calabrese attiva da una ventina d’anni, anche se questo è, nomen omen, solo il loro quarto disco. È il primo album non esclusivamente strumentale, e gli invitati alla voce sono altrettanti featuring illustri: Dario Brunori, Max Collini, Amaury Cambuzat e Francesco Villari.

La cifra specifica del gruppo rimane però la musica, un caleidoscopio di influenze che vanno dal funk al post punk alla fusion, ricco di cambi di tempo e di tonalità di stampo prog / zappiano. Quattro potrebbe risultare miracoloso ad alcuni e indigesto ad altri, ma a mio parere il coraggio e l’originalità del gruppo va comunque premiata.