I 20 migliori dischi JAZZ del 2021

Il meglio del jazz del 2021 in 20 dischi, scelti da Enrico Bettinello e Luca Canini

Migliori dischi jazz 2021 Craig Taborn
Craig Taborn (Foto Rue Sakayama)
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Dall'Italia e dal mondo, ristampe e novità, abbiamo scelto i 20 migliori dischi jazz del 2021.

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1. Craig Taborn, Shadow Plays, ECM

Tutte le strade del piano jazz oggi portano a Craig Taborn. Figura centrale come poche (come nessuna?) nella sempre più frastagliata e indecifrabile contemporaneità della musica che fu di Miles Davis e John Coltrane. Impossibile impostare un discorso anche solo semiserio sul "dove stiamo andando?" senza tirare in ballo il pianista di Minneapolis.

Che in Shadow Plays torna alla dimensione del solo a dieci anni esatti dal meraviglioso Avenging Angel, uscito nel 2011 sempre per ECM. Stavolta però niente studio di registrazione e Manfred Eicher a lisciarsi i baffetti dall'altra parte del vetro: al loro posto il pubblico e il palco della Konzerthaus di Vienna, per un torrenziale saggio sull'arte (e sul senso) dell'improvvisazione che in settanta minuti abbondanti racconta del magistero assoluto di un musicista totale. Dentro il jazz, oltre la tradizione, al di là delle accademie: semplicemente, Craig Taborn.

Migliori dischi jazz 2021

2. Jen Shyu, Zero Grasses: Ritual for the Losses, PI Recordings

I temi del razzismo, del sessismo, come quelli del cambiamento climatico, intrecciati con frammenti, anche dolorosi, di storia personale, sono al centro di questo strepitoso affresco architettato da Jen Shyu. Compositrice, cantante e artista multidisciplinare (la ricorderete probabilmente in alcuni progetti di Steve Coleman) che da qualche anno sta portando avanti una ricerca personale di grande originalità – qui in quintetto con Ambrose Akinmusire alla tromba, Mat Maneri alla viola, Thomas Morgan al contrabbasso e Dan Weiss alla batteria – Shyu coglie nel segno grazie a un uso profondo di diversi linguaggi.

Jen Shyu, Zero Grasses: Ritual for the Losses migliori dischi jazz

3. Sons of Kemet, Black to the Future, Impulse!

In un anno complesso e di incertezza (che li ha portati a annullare il tour estivo italiano), i Sons Of Kemet di Shabaka Hutchings sfornano un disco che è un poema sonoro di invocazione del potere, del ricordo e della guarigione. Anche spogliato dall'inevitabile hype, il loro Black To The Future rimane un ascolto essenziale di questo 2021, incendiario e radicale, poetico e danzante, splendido esempio di un linguaggio diasporico che non smette di confrontarsi con la realtà e con nuovi pubblici.

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4. John Coltrane, A Love Supreme: Live in Seattle, Impulse!

Il sogno mostruosamente proibito di qualsiasi jazzofilo che si rispetti: John Coltrane, dal vivo, per una versione mai ascoltata di A Love Supreme. Registrata il 2 ottobre del 1965, dieci mesi dopo il passaggio in studio per quella ufficiale (9-10 dicembre 1964) e un paio di mesi più tardi del live di Juans-les-Pins (26 luglio 1965). Se non è il santo Graal, poco ci manca. Anche perché ai titolarissimi Elvin Jones, Jimmy Garrison e McCoy Tyner, si aggiungono un secondo contrabbassista, Donald Garrett, e le ance di Carlos Ward e Pharoah Sanders (che nel listone del Gdm piazza un disco nuovo di zecca e un altro che ha più di mezzo secolo: quando si dice essere leggenda...). L'inedito definitivo, insomma, a fotografare da vicino il tumultuoso passaggio di Coltrane dall'era del quartetto classico (Tyner e Jones molleranno il gruppo a breve) a quella fuoco e fiamme delle scorribande free. Serve altro?

John Coltrane, A Love Supreme: Live in Seattle, Impulse! migliori dischi jazz 2021

5. Irreversible Entanglements, Open the Gates, International Anthem

Tre su tre. Il fulminante esordio datato 2017, la strepitosa conferma un anno fa con Who Sent You?  e ora il disco della definitiva, strameritata consacrazione: da fenomeno underground, a band acclamata e riverita anche al di fuori dell'orticello dei generi comandati. Grazie a un'idea fiammeggiante e politica di jazz che anche in Open the Gates affonda le lunghe radici black nel fertile terreno della stagione della fire music e del free militante. L'Art Ensemble dei giorni nostri, con la sacerdotessa Camae Ayewa (aka Moor Mother) e discepoli (fondamentale il ruolo del contrabbasso di Luke Stewart) a tenere assieme miracolosamente consapevolezza storica, presa sul presente e slanci futuribili.

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5. Irreversible Entanglements, Open the Gates, International Anthem migliori dischi jazz 2021

6. Linda Fredriksson, Juniper, We Jazz 

Arriva di nuovo dal Nord il disco WOW del 2021. Dopo la svedese Anna Högberg e il suo Lena, che un anno fa impazzava tra listoni e classifiche, stavolta è l'esordio del quintetto della sassofonista finlandese Linda Fredriksson a strappare applausi e consensi. Meritati alla grande, perché Juniper ha tutto quel che serve per restare nelle orecchie: c'è l'atmosfera brumosa e assorta del folklore scandinavo; ci sono suoni e colori che fanno tanto ECM dei tempi che furono (Garbarek soprattutto ma anche Surman); ci sono una ricchezza di soluzioni e una varietà timbrica che aggiungono dettagli preziosi a una scrittura ispiratissima; c'è infine la capacità di ragionare al presente senza scivolare nel ruffiano o nel didascalico. Buonissima la prima.

6. Linda Fredriksson, Juniper, We Jazz migliori dischi jazz 2021

7. Floating Points, Pharoah Sanders e London Symphony Orchestra,  Promises, Luaka Bop

Come in un film di Nanni Moretti, verrebbe da chiedersi: lo si nota di più se lo mettiamo in classifica, se non lo mettiamo, se lo mettiamo ma sta in disparte?. Già, perché questo disco ha fatto molto parlare di sé: in molti lo hanno battezzato disco dell’anno già a marzo, altri lo hanno liquidato come una sonora delusione… Per noi sta senza dubbio tra le scelte dell’anno, certo non un capolavoro, ma un’esperienza d’ascolto (specialmente su un vero impianto ad alto volume) accuratissima e avvolgente, in cui ciascuna persona è libera di trovare pace o visioni. E poi Pharoah è sempre Pharoah…

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migliori dischi jazz 2021

8. Brandee Younger, Somewhere Different, Impulse!

Entra silenziosa, passo dopo passo, nel novero delle migliori arpiste jazz, Brandee Younger; con dolcezza, con la consapevolezza che le nuove comunità di ascoltatrici e ascoltatori si muovono senza dare peso alle categorie, con l’astuzia di declinare alcuni verbi al tempo pop, soffermandosi sui colori e sui mood. Senza dimenticare di fare conversazione, anche intima, in trio, quando è il momento di abbassare il volume. Limiti e potenzialità dello strumento sono tenuti sotto controllo per evitare l’effetto “novelty” e fare musica con semplicità e efficacia. Di questi tempi, comunque un pregio.

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9. James Brandon Lewis Red Lily Quintet, Jesup Wagon, Tao Forms

“Non è più tempo d’eroi tenoristi” si potrebbe dire parafrasando un vecchio film. Ma se è vero che la figura del sax tenore ha leggermente perso quella centralità un po’ machista e iconica che ha avuto a lungo, James Brandon Lewis si sta affermando come una delle voci più uniche e emozionanti del nuovo jazz senza bisogno di eroismi. In questo splendido lavoro con Kirk Knuffke alla cornetta, Chris Hoffman al violoncello, Chad Taylor alla batteria e William Parker al basso, Lewis sembra riattualizzare proprio il linguaggio dei migliori gruppi di quest’ultimo, tra consapevolezza della tradizione e libertà emotiva. Bello assai.

9. James Brandon Lewis Red Lily Quintet, Jesup Wagon, Tao Forms migliori dischi jazz 2021

10. Giacomo Zanus, Kora, Aut Records

Talenti cristallini e dove trovarli. Giacomo Zanus, chitarrista veneto di stanza a Bologna, mette la firma su uno dei dischi più sorprendenti del 2021 targato Italia: Kora, pubblicato dalla Aut Records, con Giorgio Pacorig al pianoforte e alle tastiere, Mattia Magatelli al contrabbasso e Marco D'Orlando alla batteria. Un viaggio sulle strade di un jazz cinematografico, narrativo, tra paesaggi quieti e orizzonti sognanti, temi che vanno dritti al cuore, improvvise increspature e piccoli angoli di introspezione. Con un esplicito debito nei confronti del Bill Frisell più di frontiera, certo, ma con una visione d'insieme molto personale e centrata, nella quale confluiscono anche suggestioni colte e avant-rock. Imperdibile.

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11. Tommaso Cappellato, Pioneered, Domanda

Il più internazionale e ibridato dei jazzisti italiani, il batterista e produttore Tommaso Cappellato, lancia una sua etichetta e colpisce nel segno con Pioneered, registrato in residenza Brooklyn e caratterizzato da una fortissima flessibilità sonora.
Afro-sperimentalismo, elettronica, sperimentazione si fondono grazie all’apporto di artisti come Shahzad Ismaily, Jaimie Branch, Michael Blake, o Donato Dozzy. E sprigionano scintille davvero avvincenti e globali.

11. Tommaso Cappellato, Pioneered, Domanda migliori dischi jazz 2021

12. Ava Mendoza, New Spells, Relative Pitch

Se una volta almeno vi è capitato di incontrarla (magari nei gruppi di William Parker, di Nate Wooley, di Matt Mitchell o di James Brandon Lewis), sicuramente vi sarà rimasto nelle orecchie il suono della sua chitarra. New Spells è il disco di Ava Mendoza che stavamo aspettando: sei corde in solitaria e un piglio hendrixiano che riappacifica con lo strumento meno amato da chi ama il jazz. Elettricità e volume allo stato puro, dalle parti dei Sonic Youth meno raccomandabili e del Marc Ribot più rockettaro e anarchico; una serie di sventagliate avant-punk che arrivano dritte negli stinchi, psichedelia sfrigolante che sa di California, Grateful Dead e trip acidissimi alla Sandy Bull. Assolutamente da provare.

12. Ava Mendoza, New Spells, Relative Pitch

13. Unscientific Italians, Play the Music of Bill Frisell Vol.1, Hora

Viene da lontano l'idea di un omaggio “non scientifico” a Bill Frisell e alla sua musica: da un concerto del 2008 organizzato dal Centro d'Arte di Padova con il (fu) collettivo El Gallo Rojo. Oggi come allora in cabina di pilotaggio c'è il pianista e arrangiatore Alfonso Santimone, guida sicura tra le composizioni del chitarrista di Baltimora per gli Italians del titolo: Francesco Bigoni, Piero Bittolo Bon, Filippo Vignato, Cristiano Arcelli, Fulvio Sigurtà, Mirko Rubegni, Federico Pierantoni, Rossano Emili, Danilo Gallo e Zeno De Rossi. Tutti insieme appassionatamente in un disco raffinatissimo che alterna concitati passaggi orchestrali a sinuose schiarite, puntando i riflettori sui primi anni Novanta e su classici come “Probability Cloud”, “Rob Roy”, “Hangdog”, “Verona” e “Twenty Years”. Con il placet del maestro in persona, dalla cui matita arriva il disegno che campeggia in copertina.

13. Unscientific Italians, Play the Music of Bill Frisell Vol.1, Hora

14. Makaya McCraven, Deciphering the Message, Blue Note

«Ladies and gentlemen as you know we have something special down here at Birdland this evening, a recording for Blue Note Records», così annuncia Pee Wee Marquette nel 1954 il gruppo di Art Blakey, così annuncia nel 1993 “Hand On the Torch” degli US3 e così annuncia nel 2021 la rilettura di alcuni brani Blue Note da parte del talentuoso Makaya McCraven. La storia si ripete, l’idea non è nuova, ma racconta la natura di organismo vivo e plasmabile del miglior jazz. McCraven ci era già riuscito egregiamente riorchestrando Gil Scott-Heron, qui il compito è più prevedibile e leggero, ma l’esito non delude!

14. Makaya McCraven, Deciphering the Message, Blue Note

15. Vijay Iyer, Uneasy, ECM

Nuovo disco, nuovo trio. La dimensione perfetta per il lirismo geometrico di Vijay Iyer, che per il punto e a capo di Uneasy – titolo che dice molto sulle intenzioni di uno dei pianisti più in vista del nuovo millennio – ha scelto di tirare a bordo il contrabbasso di Linda May Han Oh e la batteria di Tyshawn Sorey (mai meno che straordinario quando c'è da giganteggiare tra piatti e tamburi). Rispetto al recente passato, e al trio con Marcus Gilmore e Stephan Crump, un cambio di assetto che sposta l'asse di rotazione verso un sound più denso e profondo, verso una compostezza formale che tende al grandioso, all'epico, ma senza sacrificare l'urgenza. Il resto lo fanno la consueta classe alla tastiera e una manciata di originali memorabili.

15. Vijay Iyer, Uneasy, ECM

16. Ben LaMar Gay, Open Arms to Open Us, International Anthem

Non c'è definizione esatta che possa contenere l'utopia jazzistica di Ben LaMar Gay. Perché di jazz si tratta, di questo ne siamo sicuri: il Miles di Bitches Brew e dintorni, schegge impazzite di AACM, reminiscenze free e spiritual, l'inevitabile Sun Ra, un che di sinistramente modale e tanto, tanto funk. C'è anche dell'altro, però, in una miscela altamente instabile di agganci e rimandi al pan-universo della black music. Impossibile insomma contenere la vastità di Open Arms to Open Us, apoteosi e summa della visione ultra-inclusiva del cantante e polistrumentista di Chicago; molto più facile invece arrendersi alla bellezza straniante di un pianeta fuori orbita e tutto da esplorare.

16. Ben LaMar Gay, Open Arms to Open Us, International Anthem migliori dischi jazz

17. Mary Halvorson e Sylvie Courvoisier, Searching for the Disappeared Hour, Pyroclastic

Tu chiamale se vuoi affinità elettive. Quelle che già nel 2016, in occasione dell'uscita di Crop Circles, le avevano spinte l'una verso l'altra. Cinque anni dopo Mary Halvorson e Sylvie Courvoisier tornano a incrociare i passi in una danza a due voci che si spinge ben oltre le già ottime cose fissate su nastro in quel primo incontro. Searching for the Disappeared Hour, pubblicato dalla Pyroclastic Records di Kris Davis, è un gioioso compendio dell'arte del duo applicata al pianoforte e alla chitarra, un dialogo intenso, elegantissimo e mai banale tra tasti e corde. Incantevole.

17. Mary Halvorson e Sylvie Courvoisier, Searching for the Disappeared Hour, Pyroclastic

18. Sara Battaglini, Vernal Love, Auand

Si può rimanere fedeli alla propria natura di cantante jazz e cercare di esplorare nuove strade? Sara Battaglini, sorretta dalla ritmica Graziano/Ponticelli/Guerra e con Beppe Scardino e Jacopo Fagioli ai fiati, presenta le sua ipotesi e convince, grazie alla capacità di rimanere in equilibrio tra narrazione, sonorità europee e dirette, empatia con chi ascolta. Onestà artistica che paga e appaga.

18. Sara Battaglini, Vernal Love, Auand migliori dischi jazz

19. Hasaan Ibn Ali, Metaphysics: the Lost Atlantic Album, Omnivore

Benedetti cassetti! Quello da cui escono le registrazioni perdute del “legendary” Hasaan, pianista di un disco cult di Max Roach, ha del miracoloso (il master di queste sedute Atlantic è andato perduto in un incendio e se n’è trovata una copia) e svela ancora una volta l’unicità di questo musicista dal suono trasversale e riconoscibilissimo, più vicino a Monk o Herbie Nichols che alle figure coeve. Davvero una meraviglia!

19. Hasaan Ibn Ali, Metaphysics: the Lost Atlantic Album, Omnivore

20. Punkt.Vrt.Plastik, Somit, Intakt

Trio tra i più eccitanti della scena europea, i Punkt.Vrt.Plastik uniscono le irruenze creative della pianista Kaja Draksler (qui alle prese con due pianoforti verticali), del bassista Petter Eldh e del batterista Christian Lillinger. Linee acuminate e ipnotiche, insolenze ritmiche, ma anche un senso della forma davvero elaborato, caratterizzano i tredici pezzi di questo quadro, prevalentemente brevi, in grado di dire quello che vogliono dire senza tanti giri di parole.  Ben fatto.

20. Punkt.Vrt.Plastik, Somit, Intakt

 

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