Focus Verdi

Una riflessione tra il cambio alla guida del Festival Verdi, le attività dell’Istituto Nazionale di Studi Verdiani e l’assalto di visitatori alla Villa di Sant’Agata prima della chiusura

Giuseppe Verdi (dipinto di Giovanni Boldini)
Giuseppe Verdi (dipinto di Giovanni Boldini)
Articolo
classica

Che Giuseppe Verdi sia il compositore d’opera più celebre, celebrato ed eseguito al mondo è un assunto così scontato che vale la pena di smarcarlo in queste prime righe, liberandosene fin da subito. Detto questo, nelle scorse settimane nei pressi della terra di origine del compositore di Busseto si sono intrecciati alcuni eventi che, nella loro vicinanza temporale e geografica e, al tempo stesso, nella loro estemporanea distanza e direzione divergente – se non plasticamente contradditoria – ci possono offrire alcuni spunti di riflessione.

Cambio al vertice del Teatro Regio di Parma (e del Festival Verdi)

Lo scorso 27 ottobre 2022 al Ridotto del Teatro Regio di Parma si è celebrato l’addio di Anna Maria Meo al ruolo di direttore generale del Teatro Regio di Parma, carica che ha equivalso anche come guida professionale e inesausta di quel Festival Verdi che ha visto negli anni di sua direzione il periodo di maggior consolidamento – nazionale e internazionale – e di più ampia e piena affermazione.

Anna Maria Meo (foto Roberto Serra)
Anna Maria Meo (foto Roberto Serra)

Questo al di là dell’avvio non proprio lineare del suo mandato – peraltro, si ricordi giusto dieci anni fa il travaglio di un teatro indebitato passato dalle mani del commissario Ciclosi a quelle dell’ancora pentastellato sindaco Pizzarotti – e di diversi punti di vista e valutazioni più o meno localistiche e strumentali. Rimane infatti indubbio che il lavoro svolto dalla Meo abbia dato i suoi frutti, documentati dal report presentato in occasione del suo addio alla fondazione parmigiana, dove vengono raccolti i numeri della sua gestione del Teatro Regio e del Festival Verdi tra il 2015 e il 2022. «Otto edizioni di Festival Verdi al centro di un percorso che mi ha impegnato alla guida del Teatro Regio – queste le parole della stessa Meo – Istituzione prestigiosa e ricca di storia, desiderosa di riconoscersi all'interno di un contesto nazionale e internazionale con un progetto artistico all'altezza delle aspettative. Questi obiettivi mi hanno guidato fin dall'inizio del mio mandato, nel febbraio 2015. Il Festival Verdi è sembrato fin da subito la sfida più grande: un sogno di cui si dibatteva sui tavoli istituzionali, nei convegni e anche all'interno di un Teatro ben consapevole di avere tutte le potenzialità, ma che aveva bisogno di crederci fino in fondo e di dotarsi degli strumenti giusti per realizzarlo. Occorreva sviluppare un progetto musicologico, artistico e promozionale all'altezza degli obiettivi che ci eravamo posti. Era necessario sperimentare linguaggi inediti e essere attrattivi verso un pubblico nuovo e più ampio. Era indispensabile innovare per legittimare la collocazione internazionale del Festival».

Giusto per cintarne qualcuno di questi numeri, possiamo annotare che i contributi pubblici sono passati da 5,224 milioni di euro nel 2015 a 6,736 milioni di euro nel 2019, registrando nel 2017 l’incremento di 1 milione di euro a seguito del riconoscimento della Legge 3 del febbraio 2017 n. 17 per il sostegno e la valorizzazione del Festival di Parma e Busseto. Nel 2020 e 2021, a seguito della pandemia, le risorse pubbliche sono state redistribuite nel biennio in base ai progetti artistici realizzati gli anni di riferimento per i contributi, mantenendosi a un valore pari a 6,500 milioni di euro circa annui. La composizione è data per il 45% circa dai contributi del Comune di Parma, socio unico e fondatore della Fondazione, per il 35% circa dal Ministero della Cultura, per il 8% dalla Regione Emilia Romagna e per la restante parte pari al 12% è composta da altri enti pubblici e assimilati pubblici dove il sostegno più importante si può individuare in quello dell’associazione Reggio Parma Festival (10% circa). I contributi da privati sono passati da 1,932 milioni di euro del 2015 ai 3,088 milioni di euro del 2021, con un picco pre-pandemia di 3,672 milioni di euro del 2019. Lo stesso 2019 è stato l’anno in cui si è registrato anche il record di incasso, pari a 1.434.150 euro, con il 60% di pubblico di provenienza extraterritoriale.

Un’importante eredità, dunque, che dovrà essere amministrata dal successore di Anna Maria Meo, il cui nome verrà forse comunicato a breve, magari quale risultato della manifestazione di interesse ad evidenza pubblica per l’individuazione del Sovrintendente della Fondazione Teatro Regio di Parma, in scadenza alle ore 14.00 di lunedì 14 novembre.

Le attività dell’Istituto Nazionale di Studi Verdiani.

La città di Parma è anche la sede dell’Istituto Nazionale di Studi Verdiani, punto di riferimento per gli studi e le ricerche di impianto scientifico sulla vita e l’opera di Giuseppe Verdi. Collocato in parallelo al cartellone della scorsa edizione del Festival Verdi, si è svolto tra il 13 e il 15 ottobre il convegno internazionale titolato «Verdi e altro. A Pierluigi Petrobelli nel decennale della scomparsa», un’occasione di confronto dedicato alla figura e al lavoro di uno studioso che fu direttore scientifico dello stesso Istituto e che lo fece fiorire nel trentennio 1980-2012.

Delle tre giornate previste dal programma, abbiamo avuto l’occasione di seguire la sessione conclusiva titolata “Un’eredità fatta istituzione: verso il domani, sugli architravi petrobelliani dell’INSV”, con relazioni di Michele Girardi, Ruben Vernazza e Vincenzina Ottomano, oltre alla chiusura dei lavori affidata all’intervento “Per una ‘longue durée’ della lezione di Petrobelli”, che ha visto gli interventi di Fabrizio Della Seta, Alessandro Roccatagliati ed Emanuele Senici, tre dei quattro componenti – con Anselm Gerhard – del comitato scientifico del simposio.

Fabrizio Della Seta - Convegno "Petrobelli" INSV (foto Michele Alinovi)
Fabrizio Della Seta - Convegno "Petrobelli" INSV (foto Michele Alinovi)

Senza nulla togliere alla rilevanza delle diverse sessioni – che troveranno peraltro debita documentazione della pubblicazione dei relativi atti, come auspicato dallo stesso Direttore del Comitato Scientifico dell’INSV Alessandro Roccatagliati – e registrando, collocandole con garbo nella sua naturale dimensione aneddotica, le testimonianze più o meno personali relative alla vita privata di Petrobelli, ci piace qui ricordare il bel giuoco da funambolo esercitato da Michele Girardi, il cui intervento si è snodato, con navigata nonchalance, tra ricordi personali e documenti pregnanti – come la testimonianza audiovisiva, estratta dagli archivi Rai, di Arrigo Quattrocchi – centrati sulla ricostruzione della Messa per Rossini. O ancora, le problematiche evidenziate da Ruben Vernazza che, con la scusa di indagare le prospettive della pubblicazione “Studi Verdiani”, una volta ricostruita la genesi, le vicissitudini e i caratteri attuali, ha meritoriamente posto l’accento sulle ipotesi di sviluppo di uno strumento di ricerca – tale deve essere uno dei mezzi di espressione di un’istituzione scientifica, ma lo stesso discorso vale per l’Istituto nel suo complesso – che merita maggiore e più sistematica visibilità nei circuiti scientifici internazionali. Tutto questo attraverso modalità e strumenti – per esempio: call internazionali per raccogliere contributi di ricercatori delle nuove generazioni, piattaforme online specializzate, accessibili e accreditate – che paiono in generale essere ancora piuttosto lontani dalla sensibilità di differenti generazioni di studiosi.

Carteggio Verdi-Cammarano 2022

Ma il convegno dedicato a Petrobelli non è stato l’unico motivo di interesse generato nel 2022 dall’attività dell’INSV, anche perché nei mesi scorsi è stata data alle stampe la seconda edizione del Carteggio Verdi-Cammarano (1843-1852) a cura di Carlo Matteo Mossa, edito, appunto, dall’Istituto Nazionale di Studi Verdiani.

Da un lato una sorta di filo rosso lega la figura dello stesso Petrobelli a questo frangente dell’attività odierna dell’Istituto di Studi di Parma, almeno a giudicare dalle parole di Fabrizio Della Seta, Presidente della “Edizione nazionale dei carteggi e dei documenti verdiani”: «Vorrei […] ricordare con particolare riconoscenza Pierluigi Petrobelli, direttore dell’Istituto Nazionale di Studi Verdiani dal 1980 al 2012, che progettò e per molti anni guidò con mano ferma l’edizione dell’epistolario verdiano, di cui l’“Edizione nazionale” è idealmente la prosecuzione».

Dall’altro le parole stesse del curatore Carlo Mattero Mossa affidate all’Introduzione di questa nuova edizione del Carteggio Verdi-Cammarano ci rivelano che: «Quando la stampa ha dato notizia dell’acquisto sul mercato antiquario di un importante gruppo di autografi di Giuseppe Verdi da parte del Ministero per i Beni e le Attività culturali […], comprensivo di ben trentasei lettere a Cammarano, sono entrato in grande agitazione, lo confesso. […] Mutando il contesto nel quale il ricercatore si muove, e vent’anni e i trentasei nuovi documenti hanno regolato tale cambiamento, son mutate anche le domande, perciò i documenti autografi hanno fornito una visione più chiara del problema di cui s’è elaborata una soluzione nuova, per quanto non verificabile secondo procedure incontrovertibili».

Uno strumento prezioso, quindi, e per sua natura soggetto a perpetua rilettura e revisione.

Villa Sant'agata (foto Federica Scarpioni)
Villa Sant'agata (foto Federica Scarpioni)

La chiusura di Villa Sant’Agata

Ma le fonti a disposizione delle ricerche di studiosi verdiani paiono lungi dall’esaurirsi, a giudicare dal contenuto del “baule” di Giuseppe Verdi rinvenuto a Sant’Agana e requisito nei mesi scorsi dallo Stato Italiano – e compensato con tre milioni di euro – consistente in una sorta di archivio di carteggi e documenti che lo stesso Verdi desiderava non venissero divulgati ma che ora sono custoditi ora nell’Archivio di Stato di Parma. Si tratta di un vero e proprio patrimonio culturale: 626 fogli di abbozzi e schizzi di opere, per la maggior parte inediti.

Rimane la villa di Sant’Agana, sita oggi in provincia di Piacenza, che Giuseppe Verdi acquistò su suggerimento di Antonio Barezzi. Verdi aveva progettato di trasferire qui i suoi genitori, quindi cominciò a restaurare la casa padronale. Nel 1851, prima che i lavori finissero, sua madre Luigia Uttini morì, quindi Verdi si trasferì a Sant'Agata insieme a Giuseppina Strepponi e il padre occupò la casa di Busseto. L’originaria casa padronale di campagna divenne in pochi anni la residenza privilegiata dello stesso Verdi e della Strepponi, conservata e aperta al pubblico fino alla recente altalena di schermaglie giudiziarie, dissapori e carta bollata tra gli eredi della famiglia Carrara Verdi.

Dalla fine dello scorso mese di ottobre Villa Sant’Agata è ufficialmente chiusa, ma è riuscita, negli ultimi giorni di apertura al pubblico, a far registrare lunghe code di appassionati e curiosi in fila per un’ultima visita, a riprova che i luoghi storico-culturali esercitano un fascino del tutto particolare (e un poco sinistro) in vista della loro definitiva (?) dismissione.

Al di là di ogni retorica – e al di là dello stucchevole opportunismo di chi si proclama, fuori tempo massimo, paladino della villa e della memoria verdiana – vedremo chi, tra Regione Emilia-Romagna e Stato Italiano (e mecenati privati, magari?), si prenderà l’onore e, soprattutto, l’onere di riportare al rango di bene pubblico – e quindi accessibile e con servizi adeguati a un moderno concetto di turismo culturale – la dimora di colui che “pianse ed amò per tutti”.

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