Moor Mother e i codici del jazz

In Jazz Codes Moor Mother celebra la cultura afroamericana con ampiezza di vedute e profondità di linguaggio

Moor Mother Jazz Codes
Disco
jazz
Moor Mother
Jazz Codes
Anti-
2022

«Il mio primo libro, Fetish Bones, ha ispirato almeno cinque dischi», spiegava in un’intervista a “Flood Magazine” Camae Ayewa, alias Moor Mother. E il prossimo, Jazz Codes, già ne ha generati un paio: Black Encyclopedia of the Air, edito un’estate fa, e adesso questo omonimo. Si tratta di opere gemelle, dunque, sia nelle intenzioni sia nella procedura di realizzazione, frutto della collaborazione in remoto durante la pandemia con il produttore svedese Olof Melander, che le ha fornito bozze sonore su cui adagiare i testi poetici.

– Leggi anche: Moor Mother nel Bunker

A differenza del precedente enciclopedico, il tessuto musicale è arricchito qui dagli interventi di strumentisti amici, distanziati anch’essi per cause di forza maggiore. Anzitutto l’arpista Mary Lattimore, che decora con tocco lieve e astratto la traccia d’apertura, “Umzansi” (dal nome di una danza di guerra nella tradizione Zulu), dove la protagonista duetta insieme a Rasheedah Phillips, responsabile con lei del progetto Black Quantum Futurism.

In “Ode to Mary” si ascolta invece la rarefatta trama imbastita al pianoforte da Jason Moran, gorgheggiando sulla quale la vocalist Orion Sun conferisce una sfumatura soul al tributo reso alla compositrice Mary Lou Williams, pionieristica figura femminile del jazz originario. Subito dopo viene l’episodio intestato a un trombettista leggendario: “Ascensore Woody Shaw fuori città, musica di fuoco, aureola di ottone”, recitano i versi in un’ambientazione hip hop modello J Dilla.

Due gli artisti viventi citati nei titoli di altrettanti brani: “Joe McPhee Nation Time Intro” è un breve sketch che allude a un long playing pubblicato dal sassofonista di Miami nel 1971, mentre la diafana indolenza di “So Sweet Amina” onora Claudine Myers attraverso il nome arabo assunto dalla musicista nei tardi anni Sessanta. Scenario dell’azione è comunque l’intera sfera del patrimonio culturale afroamericano: in “Rap Jasm” affiora ad esempio lo Spike Lee di Fai la cosa giusta accanto al fraseggio – “Forever, forever, ever, forever, ever?“ – tipico degli OutKast di “Ms. Jackson”.

Sul piano politico il passaggio chiave è “Barely Woke”, tra i cui sintetici spasmi ritmici fluttuano inquietudini (“Troppa sorveglianza”) e timori (“Essere colpita da uno sbirro o un criminale”), ma anche una potente esortazione: “Tieni in grembo questa poesia del caos e sollevala per essere tutto ciò che il tuo dolore non ti permette di essere”.

Chiude la sequenza (non nella versione su cd, dotata di tre bonus) l’“Outro” contenente l’infervorato sermone dell’accademico e conduttore radiofonico Thomas Stanley, sostenuto in sordina dall’improvvisazione degli Irreversibile Entanglements, formazione della quale Ayewa è notoriamente voce e punto focale, rappresentata inoltre in varie fasi del disco dal sax di Keir Neuringer.

Affine nello spirito al lavoro di gruppo, però su un registro maggiormente incline alla forma canzone, Jazz Codes si staglia nel repertorio di Moor Mother come album accessibile più di qualsiasi altro, specialmente a confronto del recente Nothing to Declare, ispido esperimento compiuto in coppia con Dj Haram sotto la dicitura 700 Bliss, e ne conferma lo status di personaggio rilevantissimo – per ampiezza di vedute e profondità di linguaggio – della black culture contemporanea, certificato dall’incarico di professore associato alla Thornton School of Music della University of Southern California attribuitole l’autunno scorso.

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