Le fantastiche avventure sonore di Melingo

Oasis, il nuovo disco di Daniel Melingo, immagina un universo parallelo tra tango, rebetiko ed elettronica (e c'è anche Capossela)

Melingo Oasis nuovo album
Daniel Melingo (foto Alfredo Srur)
Disco
world
Melingo
Oasis
Buda Musique
2020

Intanto, escono ancora dischi straordinari. L’aggettivo è spesso concesso senza parsimonia, ma tale è Oasis di Daniel Melingo, nono lavoro solista in 25 anni (se non mi difetta il conto) per il musicista e cantante argentino.

Il tango secondo Melingo

Melingo è ormai nome noto anche in Italia, dove ha suonato molte volte. All’inizio – forse – lo ha fatto soprattutto rivolgendosi a un pubblico di entusiasti del tango, sfruttando con maestria un certo immaginario da maldito (del resto, Maldito tango era il titolo del disco del 2007 che lo affermò definitivamente in Europa): abito scuro, cappello e figura elegante, personaggio misterioso, performance infuocate. È un gioco che Melingo ha sempre giocato benissimo, ma che da solo non regge una carriera così lunga. E allora veniamo alla nuova musica: Oasis alza significativamente il tiro, e proietta definitivamente Melingo nel posto dove dovrebbe stare, cioè fuori dall’angusto recinto del “nuovo tango”, o delle musiche del mondo, tra i grandi narratori della canzone di oggi.

Melingo Oasis nuovo disco
Daniel Melingo (foto Alfredo Srur)

Se il penultimo Anda era un grande omaggio al tango classico increspato di nuovi suoni, Oasis salta un paio di tappe e arriva direttamente a immaginare una sorta di universo letterario e sonoro parallelo, nebulosamente introdotto dal breve racconto in inglese incluso nel booklet, The navigators from the future. Il tango è ora una cosa sola con il rebetiko, i bouzouki e i baglamás suonano i ritmi afrolatini (il che in realtà è meno fantascientifico di quanto non sembri, se pensiamo che lo strumento principe del tango, il bandoneón, è di origine tedesca) e Buenos Aires è popolate da divinità greche. Ma il tutto suona ancora più alieno, sciolto com’è in una produzione dilatata tra echi dub, chitarre elettriche, inquietanti carillon, voci filtrate, elettronica… Nella conclusiva "Sueño del Èxodo" c'è persino un charleston simil-trap (ed è perfettamente coerente con il tutto).

Melingo è il narratore e il viaggiatore tra spazio e tempo, il profeta di un mondo nuovo: “Cercando di essere libero – comincia il primo brano cantato, “La búsqueda” – “trovai un indovino. Fu nel vecchio San Telmo che un antiquario cieco mi predisse il destino”… e già siamo risucchiati dentro l’universo di Oasis, argentino come argentino è Borges, cosmopolita come sempre è stato il tango, che fu musica globale prima di ogni altra. E quando – verso la fine – compare un “vero” tango orchestrale (“Esta vivo”) quasi ci si sente spaesati dall’essere ritornati in un paesaggio sonoro più noto. 

Per il resto, le fantastiche avventure sonore di Melingo raccolgono ospiti lungo la strada: Enrique Syms (nella inquientante “Soy un virus”…), Vinicio Capossela (che non poteva mancare in un universo parallelo rebetiko), Miguel Zavaleta, Andrés Calamaro, oltre a moglie e figlio del cantautore, Félix Melingo Torre e Maria Celeste Torre (alla quale si deve anche il concept del disco). 

Un gran bel viaggio.

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