Hiram Salsano, il presente del folk

Bucolica è l'esordio della cantante campana Hiram Salsano

Hiram Salsano
Hiram Salsano (foto G. Mandola)
Disco
world
Hiram Salsano
Bucolica
autoproduzione
2023

Ancora una volta storie di donne. Donne del Sud, con quella grinta flessuosa che è fatta di coscienza serena dei propri mezzi e al contempo è ritrosia pudica nel darsi troppo importanza. A ben vedere, un modo per ritrovare una sorta di sacralità laica nel momento della tensione, dell'espressione su un palco (o comunque in mezzo alle persone), e di understatement pacato quando ci si guarda attorno, e vedi tante schiene ingobbite a servizio degli schermi dei cellulari.

– Leggi anche: Rachele Andrioli, la tradizione è un rapporto d'amore

Una risorsa preziosa, le ragazze giovani e coscienti del nuovo folk del Sud: vivono nel terzo millennio, sanno usare l'elettronica nella musica e nella vita quotidiana, ma quando maneggiano outillage culturale che arriva da altre epoche, con quegli “attrezzi culturali” in disuso sanno creare deflagrazioni culturali che, in un colpo, spazzano via tutta la polvere che s’è accumulata sul concetto di “revival”.

Qui non si “ridà vita” a qualcosa: la si vive, direttamente. Il preambolo per dire che oggi, accanto a Cinzia Villani, accanto a Enza Pagliara, Alessia Tondo e Rachele Andrioli, per fare esempi che arrivano alla Puglia, ora si tratta di aggiungere un’altra indomita forza della natura e della cultura campana, Hiram Salsano.

Che forse con un certa ironia intitola il suo disco d’esordio Bucolica, e si fa ritrarre in mezzo alle campagne cilentane, ai piedi dei monti Alburni, ma qui il gioco alla citazione è al quadrato e al cubo.

Perché Hiram Salsano, che canta fiera, assertiva e inventiva materiali tradizionali attestabili su un baricentro campano e tirrenico, davvero vive e lavora in campagna, è un’artigiana e una creatrice d’arte, e una contadina fiera di esserlo. Piccole grandi epifanie di questa strana epoca, che mette in conto iperconnessioni che non servono a comunicare, ma ad essere istericamente presenti sempre e comunque, e scelte di isolamento che garantiscono invece, poi, esplosioni di comunicativa vera torrenziali.

Come succede qui, con Hiram alla voce, ai loop vocali (che ne moltiplicano le possibilità, come usa fare Rachele Andrioli), ed ai tamburi a cornice, Catello Gargiulo a fisarmonica, scacciapensieri, tamburi, voce, flauto armonico, Gianluca Zammarelli alla chitarra battente, ciaramella, zampogna, Mario Pivetta alla batteria, Peppe Frana con l’oud arabo tra le braccia. Un serraglio mediterraneo di strumenti sporto dunque sul presente e sul futuro.

Troverete, frutto di ricerca ostinata, di ricordi personali, di acquisizioni da “alberi di canto” ritrovati tarantelle, serenate, filastrocche e strambotti arguti, un canto di protesta bracciantile, canti sul tamburo. Su tutto, l’aspra e sorgiva potenza di un canto non temperato che sfida il presente dell’autotune e delle voci finte per intrecciare il passato al futuro.

Questo potrebbe essere un buon presente.

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