Il giovane regista tedesco Christoph Schlingensief imposta uno spettacolo di grande suggestione visiva, ma poco o nulla corrispondente al testo di Wagner. Solita schizofrenia: grande direzione musicale di Boulez.

Convincente riproposta nella cornice mondana di Salisburgo del capolavoro dimenticato di Korngold, in un'edizione con molti pregi (visivi) e qualche difetto (musicale).

Claudio Abbado e la sua Lucerne Festival Orchestra inaugurano il festival con un programma che tratta del congedo dal mondo con la dolcezza e la malinconia della musica.

Importante riproposta di teatro barocco in prospettiva moderna, a 360 gradi. "King Arthur" di Henry Purcell nella versione aggiornata di Nikolaus Harnoncourt e Jurgen Flimm.

A Ravenna Riccardo Muti rende omaggio al suo maestro, Vincenzo Vitale, con la Filarmonica della Scala e il pianista Paolo Restani. Serata calda e affettuosa nel nome di un grande didatta della nostra epoca che lascia in eredità un modello di intendere la musica.

I recital di Maurizio Pollini, come si è ascoltato a Ravenna, sono lezioni di storia della musica, ma impartite da un musicista che parla con il pianoforte e sa dire tutto, se non di più. Il di più sono la necessità e la verità delle sue interpretazioni, che colpiscono come una rivelazione morale.

Trionfale ritorno di Claudio Abbado a Berlino, con l'orchestra di cui è stato per dodici anni direttore musicale. Una serata di emozioni indimenticabili, vissute dal pubblico e dai musicisti con commossa partecipazione, a confronto con le visioni siderali di Frank Martin e con le tragiche epifanie di Gustav Mahler.

Il dittico Prigioniero e Edipo re al Teatro Regio di Torino nella messa in scena essenziale di Fabio Sparvoli e con la direzione musicale efficiente di Yoram David. Un accostamento, questo tra Luigi Dallapiccola e Ruggero Leoncavallo, di evidente sproporzione stilistica e concettuale, legato soltanto dalla rarità esecutiva delle due opere accomunate nell'ottica di un tributo alla cultura. Ma Dallapiccola, per forza drammatica e profondità artistica, è ben altro. Una compagnia di canto solida e generosa, nella quale spicca il carisma di Renato Bruson, acclamato protagonista nel dramma annacquato di Leoncavallo.

La rara versione originale inglese di Oberon, ultima opera di Weber e capolavoro del romanticismo musicale tedesco, realizzata in versione semiscenica allo Chatelet di Parigi da Sir John Eliot Gardiner in veste di direttore e regista. Non convince l'idea di affidare i dialoghi parlati a un recitante che narra e commenta l'azione con interpolazioni ad essa estranee, più da bravo presentatore che da catalizzatore di una drammaturgia peraltro divagante e onirica, così come appaiono defilate le scelte musicali di Gardiner, con un suono piuttosto rozzo dell'orchestra, e apprezzabili soprattutto per omogeneità le prestazioni dei cantanti. L'importante riproposta non perde tuttavia il suo incanto e fa breccia nell'attenzione del pubblico.

Se il possesso dell'oro del Reno porta al massacro, il massacro dell'Oro del Reno è la parola d'ordine del regista Herbert Wernicke nel nuovo allestimento che apre la Tetralogia del nuovo millennio a Monaco, dove il prologo dell'Anello del Nibelungo apparve per la prima volta quasi centocinquant'anni fa, prima che a Bayreuth. Regia che, ricordandolo, mette in dubbio il significato stesso di una rappresentazione, risolvendola in un gioco incrociato di specchi, di citazioni e di decontestualizzazioni tra luoghi reali e immaginari del passato e del presente. Un mondo degradato a non sperare più neppure nella magia del teatro. Mehta dirige un'altra cosa, senza sapere quale valore attribuirgli, ma lo fa con imperturbabile, vacua efficienza. Cantanti che recitano senza credere, o credono senza recitare. Pubblico diviso, in una serata di esemplare schizofrenia tutta postmoderna.

Les Troyens di Berlioz inaugurano il festival operistico a Monaco con una trasposizione del mito ai nostri giorni, secondo moda e tendenza affermate dalla regia stravagante di Graham Vick. Mehta dirige con bravura una compagnia prestigiosa, schizofrenicamente contemplando la grandezza antica della musica riflessa nella lente deformante dell'attualità.

Spettacolo, nel suo genere, unico per grandezza e concordia d'interpreti (direttore Ozawa, regista Lepage, cast stellare) e impensabile in condizioni ambientali e teatrali diverse dal futuristico laboratorio Bastille.