Insuccesso per il Rigoletto andato in scena al Malibran, complici tutte le componenti dello spettacolo: regia scenografia, cast, direzione orchestrale.

Il grande equilibrio tra qualità della messinscena e della partitura ha assicurato il successo di uno spettacolo molto ben concepito. Buona la prova sia dell'orchestra che deli interpreti vocali grazie alla direzione e concertazione di Giancarlo Andretta al clavicembalo nei recitativi secchi.

Il "Tancredi" di Rossini oscilla vistosamente tra linguaggio settecentesco e ottocentesco. Alla scansione aria-recitativo si accompagnano momenti di novità che richiamano la sensibilità romantica. Da una scrittura così concepita hanno tratto vantaggio le voci che hanno travato la condizione ideale per mostrarsi in tutta la loro bellezza.

Difficile stare dietro ad una messinscena così concepita: nessun appiglio di natura teatrale (niente scenogarfia, trama, azione) una musica discontinua senza un senso. Eccellente tuttavia la prova degli intepreti.

In una Fenice "dipinta" è andata in scena questa sera la polemica gozziana contro il naturalismo di Goldoni: "L'amour des trois oranges" rivestito però dei colori di Prokof'ev. Uno spettacolo perfettamente riuscito merito innanzi tutto dei due principali autori, e qiundi di una regia e scenografia ben amalgamate al materiale di partenza.

Come vuole la tradizione del teatro di marionette lo spettacolo si è preso gioco di un nome illustre: Giuseppe Verdi, rappresentando la sua più brutta opera. In pratica l'idea è stata quella di imitare l'usanza praticata a Versailles di aprire le porte dell'Accadémie a poveri ignoranti per farli assistere ad un'opera barocca, operando l'incontro degli straccioni di Gay - Pepusch con la "Giovanna" verdiana. Il meccanismo, così concepito, ha scatenato infinite reazioni a catena.

Una messa in scena essenziale quella del Castor di Rameau. Tanto essenziale da determinare il ricorso per l'illustrazione dei contenuti del libretto a simbologie fin troppo ermetiche. La musica al contrario ha mostrato senza veli tutta la sua veste francese - settecentesca, merito degli interpreti.

Doveva prendere vita un progetto ambizioso questa sera al PalaFenice: Kagel e Mozart a confronto sul tema del "rapimento", entrambi mossi dal regista Wernicke. La realtà del palcoscenico ha punito questa intenzione, lo spettacolo disorganico ha brillato esclusivamente per l'interpretazione delle due voci protagoniste: il tenore Homberger e la soprano Angel la quale ha dimostrato grande tecnica vocale.

La volontà di realizzare un melologo per dare evidenza scenica al contenuto letterario che sempre sostanzia la musica di Berlioz ha prodotto in realtà uno spettacolo discontinuo da cui è comunque emersa la buona prova dei musicisti, sebbene con qualche incertezza.

Esperimento di messinscena per il Siroe di Haendel, Jorge Leville ha infatti espanso i tradizionali confini della scena invadendo pubblico e orchestra. Nello spettacolo totale la musica mantiene inalterati i suoi connotati grazie alla bravura dei cantanti e, soprattutto, al rigore filologico dell'orchestra diretta magistralmente da Andrea Marcon. Grande successo di pubblico.