La varia umanità di Gozzi/Prokof'ev

In una Fenice "dipinta" è andata in scena questa sera la polemica gozziana contro il naturalismo di Goldoni: "L'amour des trois oranges" rivestito però dei colori di Prokof'ev. Uno spettacolo perfettamente riuscito merito innanzi tutto dei due principali autori, e qiundi di una regia e scenografia ben amalgamate al materiale di partenza.

Recensione
classica
Gran Teatro La Fenice Venezia
Sergej Prokof'ev
14 Settembre 2001
Il desiderio di riavere la Fenice è stato così forte da spingere lo scenografo Toffolutti a ricostruirsela tutta da sé. Come per realizzare il sogno di tutti i veneziani "L'amour des trois oranges", andato in scena questa sera al Teatro Malibran, era infatti allestito in una Fenice ridisegnata a mano da Paolino Libralato con il suo boccascena, il sipario storico, i palchi ed il soffitto. Dunque, proprio la serata che avrebbe dovuto restituire agli spettatori orfani un ambiente idoneo alle rappresentazioni operistiche, ricomponendo così il tragico strappo che per anni ha allontanato la grande musica lirica dal centro storico, ha invece rinvigorito la nostalgia per il teatro maggiore perduto, facendo rivivere, almeno per la forza persuasiva e suggestiva che è concessa ad una scenografia, quell'emozione, forse ingigantita dalla memoria, di assistere ad una rappresentazione di teatro d'opera in uno degli spazi più celebri al mondo. C'è da dire che questo forte "memento" d'inizio è poi scivolato nell'oblio più totale (nonostante alcune quinte con stampate le planimetrie del teatro, o un plotone di vigili del fuoco e un estintore) travolto dalla possanza di uno spettacolo perfettamente funzionante in tutte le sue componenti. E' in queste occasioni che si comprende quanto grandi siano le potenzialità espressive dell'opera musicale, e cioè nel momento in cui testo e partitura si compenetrano totalmente. E senza dubbio Gozzi e Prokof'ev sembrano fatti per stare insieme. Il drammaturgo veneziano porta avanti la sua polemica con chiarezza, senza peli sulla lingua: i buoni sono "les ridicules", i cattivi "les tragiques"; divisi poeticamente, e divisi anche sui palchi di questa Fenice "dipinta"; la malattia si nutre di versi martelliani, il benessere fisico e psichico delle risate. Il palcoscenico è un tripudio di maschere: giullari, re di fiori, maghi, fate, un mondo magico, antigoldoniano per definizione come voleva il suo inventore, ma poi, a ben guardare non c'è modo migliore di rappresentare il baraccone della vita quotidiana, e i suoi meccanismi in fondo semplici e sempre uguali: l'arrivismo, la cupidigia, la codardia, ma anche lo slancio amoroso e la gioia che lo accompagna. Prokof'ev ha saputo dare concretezza e vigoria a questa varia umanità con altrettanta lucidità. Orchestrata splendidamente, la musica ha esaltato ogni piega del testo, aggiungendo carica comica, farsesca, parodistica; ha letteralmente tirato fuori il riso con gesti strumentali semplici, ma, evidentemente, estremamente efficaci. Così raccontato si direbbe uno spettacolo costruito solamente da Gozzi e Prokof'ev, in effetti non si è fatto tanto caso alla qualità, comunque buona, dell'esecuzione, tanto era trascinante la vicenda teatrale, la regia e la scenografia si sono poi così sapientemente amalgamate al materiale di partenza da risultare né troppo vistose, né troppo assenti: il giusto insomma. Caloroso il consenso del pubblico.

Note: coproduzione con la Deutsche Oper am Rheim di Düsseldorf. Nuovo all.

Interpreti: De Simone, George, Diaz, Edwards, Isaev

Regia: Benno Besson

Scene: Ezio Toffolutti

Costumi: Patricia Toffolutti

Orchestra: Orchestra del Teatro La Fenice

Direttore: Isaac Karabtchevsky

Coro: Coro del Teatro La Fenice

Maestro Coro: Giovanni Andreoli

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