L'esile Castor

Una messa in scena essenziale quella del Castor di Rameau. Tanto essenziale da determinare il ricorso per l'illustrazione dei contenuti del libretto a simbologie fin troppo ermetiche. La musica al contrario ha mostrato senza veli tutta la sua veste francese - settecentesca, merito degli interpreti.

Recensione
classica
Gran Teatro La Fenice Venezia
Jean-Philippe Rameau
08 Giugno 2001
La versione da camera del 1754, riletta attraverso la partitura a stampa, accantonando dunque quella completa manoscritta (niente coro, perciò, né orchestra di ottanta elementi), ha indubbiamente favorito questo esile spettacolo, tanto esile da affidare l'illustrazione dei contenuti del libretto a pochi segnali, alcuni ovvi, altri, per la verità di un ermetismo forse inutile e, comunque, stucchevole. Fondo e quinte neri si accendono del bianco della virginea purezza: la giovane sposa Telaira, ma anche i due leali fratelli; e del prevedibile rosso della malvagità nutrita dalla gelosia: Febe; nessun risalto (abiti comuni neri) alle due voci di contorno: di volta in volta, Cleone, un'ombra, una seguace di Ebe, il sacerdote, Giove; e all'esiguo corpo di ballo (due ballerini). Si diceva dell'eccessivo ermetismo in riferimento ad alcuni oggetti la cui valenza teatrale, proprio perché oscura, risulta indebolita: il manichino dei primi due atti, controfigura della sorella buona (Telaira); la scacchiera su cui Polluce pare giocare il suo destino; in mano al sacerdote, la maschera che della scacchiera riporta il bianco ed il nero. Così neutri, e culturalmente non connotati, questi pochi "effetti speciali", accompagnati da una gestualità essenzialissima, non possono certo nuocere alla musica, che, al contrario, si concede in tutto il suo smagliante aspetto francese - settecentesco a partire dalla sinfonia d'apertura in ritmo puntato, e poi con il tipico fluire senza stacchi tra recitativi ed arie, tra una scena e l'altra. A far risaltare il tutto ha indubbiamente contribuito l'ensemble coinvolto per l'occasione: solo sette strumentisti (come vuole quella partitura a stampa), diretti da J. Ch. Frisch, sempre incisivi negli stacchi di tempo, e curati nella scelta delle sonorità. Un'emergenza dell'ultimo minuto ha determinato nelle parti vocali una soluzione forse discutibile, impossibilitata a cantare, infatti, l'interprete di Telaira, Cyrille Gerstenhaber, ha mantenuto la presenza sulla scena, mentre al suo personaggio dava vita la voce fuori campo di Kiyoko Okada, il conseguente oscillare dello spettacolo tra pantomima e opera musicale è risultato, a volte, fastidioso. Bravi gli altri interpreti in particolare Jean - Baptiste Dumora (Pollux) e Claudine Le Coz.

Note: versione da camera del 1754

Interpreti: Einhorn, Dumora, Gerstenhaber (Kiyoko Okada), Mayeur, Le Coz, Cantor

Regia: Christian Gangneron

Scene: Thierry Leproust

Costumi: Claude Masson

Coreografo: Jean - Christophe Boclé

Orchestra: Ensemble Instrumental XVIII, 21 Musique des Lumières

Direttore: Jean-Christophe Frisch

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