I 10 migliori album del 2025 di Guido Festinese

Nuovo folk, vecchio jazz, viaggi spaziali, giovani e vecchi. Il meglio del 2025? Chi può dirlo?

GF

09 dicembre 2025 • 4 minuti di lettura

Davide Ambrogio
Davide Ambrogio

Com’è stato il 2025, discograficamente parlando? Chi può dirlo, risponde la scaricatore seriale di file digitali che non ascolterà mai in due vite. Chi può dirlo ? Dice il ragazzo convertito al culto del neovinile, un disco per tre cd, per capire poi che il portafogli è vuoto. Chi può dirlo? Dice l’esausto recensore. Che però non rinuncia, nel buio, a individuare qualche strada maestra, qualche scorciatoia, o pista laterale. Lasciandosi dietro un solido filo d’Arianna. O almeno, si spera. Chi può dirlo?

1. Davide Ambrogio, Mater Nullius (Viavox)

Che bello essere smentiti dai fatti. Quando tutto sembra essere stato detto, nel vischioso territorio del folk revival, progressivo o comunque vogliate chiamarlo, ecco arrivare nuovi imprevisti messaggeri di un futuro remoto che sparigliano le carte e rovesciano il tavolo: Davide Ambrogio è uno di questi.

Quattordici “stazioni” vocali e strumentali possenti per evocare un grido di dolore per la terra straziata e che ha bisogno di re-incanto.

2. Maria Pia De Vito, Barqueana (Parco della Musica Records)

La Signora della Voce Maria Pia De Vito che danza libera tra jazz e Pergolesi, Area e villanelle napoletane, ricerca pura e sogni di California libertaria con questo disco corona un sogno bello e faticoso: riuscire a rendere l’impegnativo canzoniere di Chico Buraque de Hollanda  in napoletano.

Mission Impossible? Ma chi l’ha detto, se c’è di mezzo lei. E lui, in un paio di brani

3. Stubbleman, 1:46:43 – The Ventoux Trilogy / Made To Measure vol. 50 (Crammed Discs)

Una bicicletta preparata con computer, microfoni, registratori. Il monitoraggio del corpo e dei suoi rumori, a partire dal battito cardiaco, nello sforzo di pedalare verso la vetta. I suoni del bosco e dell’ambiente circostante. Il tutto poi riprocessato e trasformato in una vaporosa, onirica materia ambient con piano di una bellezza superiore, dipanata su due cd.

Da perdercisi dentro.

4. Guano Padano Plays With Enrico Rava, La Giostra (Hora Records)

Alessandro Stefana suona tutte le chitarre e l’armonica, Danilo Gallo il basso elettrico, Zeno De Rossi batteria e music box. Poi c’è lui, Il ragazzo di ottantasei anni con la tromba e il flicorno, ad addensare una polpa sonora che mette in conto western spaghetti, Friends Of Dean Martinez, Ennio Morricone e John Fante, il desert rock.

Imprevedibile ma vero.

5. Gianluigi Trovesi e Marco Remondini, Troveremo (Onyx Dischi)

Si apprezzi innanzitutto il gioco di crasi del titolo, perché derive ludiche, in questo disco sorprendente ce ne sono più di quante ve ne possiate attendere. Loro lo spiegano così: “Un viaggio dal mito alla storia, dalla cronaca all’invenzione”, mettendo in conto la mitologia greca e Shakespeare.

I clarinetti di Trovesi, il violoncello e l’elettronica di Remondini, ventisette frammenti che danzano come folletti nella testa di chi si mette in ascolto.

6. Hawkwind, There Is No Space For Us (Cherry Red)

Sublime malinconia del titolo, per i veri pionieri dello space rock: non c’è più Spazio, per noi. Quasi sessant’anni dopo le prime derive psichedeliche galattiche, ora conturbanti  e psichedeliche, ora rocciose come meteoriti allo sbando gli Hawkwind di Capitan Brock si permettono incidere uno dei dischi migliori della loro infinita carriera.

Con orgogliosa mestizia.

7. Pharoah Sanders, Love Is Here: The complete Paris 1975 ORTF recordings (Transcendence Sound)

Quando riemergono dalle nebbie dei tempi registrazioni come questa, si capisce perché occorrono decenni per sedimentare lezioni spesse e imprescindibili  di pura, avvampante musica afroamericana.

Lo “spiritual jazz” del Faraone colto dal vivo, sulla campitura ampia di due cd paga ovvio tributo al Padre John Coltrane, ma lui, come diceva Albert Ayler, era davvero il Figlio che ne conservava la fiamma.

8. Midlake, A Bridge Too Far (Bella Union)

Correva l’anno 2006, dunque quasi quattro lustri fa quando i Midlake se ne uscirono con un piccolo capo d’opera come The Trial of Van Ooccupanther. Un disco che condizionò buona parte di una scena alt folk rock alla ricerca di maestri, dopo il vuoto lasciato da chi si muoveva sulle stesse piste negli anni Settanta.

Questo ritorno è ben più che degno: ad ogni approfondimento questi brani crescono in semplice splendore.

9. Roberto Ottaviano, Dark Sides (Dodicilune)

Il sassofonista e clarinettista pugliese da decenni ama incalzare le tristi consuetudini mainstream del jazz nostrano con registrazioni e concerti avventurosi. Questo è uno dei migliori, con lo oud di Peppe Frana, sampling ed elettronica di un ispirato DJ Rocca, Giorgio Vendola al basso elettrico, Ermanno Baron alle percussioni.

Il Mediterraneo prossimo venturo.

10. Tortoise, Touch (International Anthem)

Dieci brani, così Tortoise da sembrare i Tortoise che rifanno i Tortoise. Per non celiare ulteriormente: il ritorno della Tartaruga a quasi una decade dal precedente The Catastrophist non scatena soverchie controversie.

Suona esattamente come deve suonare: sbilanciato da tutte le parti, e nessuna in particolare. Pre e post tutto, dentro a ogni cosa. Con grazia, eleganza, e una certa amabile prevedibilità.