Amedeo Verniani, il dono della lingua

Intervista ad Amedeo Verniani, tra le giovani promesse della scena italiana

Amedeo Verniani
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Due, prodotto dalla Fonterossa Records di Silvia Bolognesi, è stato l'anno scorso il didascalico fulmine a ciel sereno: un lavoro sorprendente, ancora di più in ragione della giovanissima età del suo autore, il contrabbassista ventiduenne Amedeo Verniani: un lavoro dotato, come dicevamo in sede di recensione, di grande forza narrativa, in perfetto equilibrio tra astrazione, riflessione, avanguardia e tradizione. Con il sospetto che ci si trovi al cospetto di un musicista che potrebbe riservarci cose davvero pregevoli in futuro, lo abbiamo intervistato per conoscere un po' più da vicino il suo mondo musicale.

Amedeo Verniani, è nata una stella?

Il tuo Due è un disco sorprendente considerando anche la tua giovanissima età. Mi racconti il tuo percorso musicale?

«Ho iniziato a suonare il basso elettrico nella scuola di musica accanto a casa, dove ho avuto la fortuna di incontrare Silvia Bolognesi (che mi insegnava strumento) e Emanuele Parrini (per teoria e musica di insieme). Poi ho frequentato per un po’ gli ambienti di Siena Jazz, e a 16 anni sono entrato al conservatorio di musica classica di Siena. Ora sto procedendo i miei studi a Livorno, sempre nella musica classica. Nel frattempo ho frequentato seminari alla Berklee, all’Accademia Chigiana e a Siena Jazz».

Il tuo primo ricordo legato alla musica, la tua prima illuminazione?

«Il mio primo ricordo legato alla musica è la lezione che, alle elementari, alcuni musicisti avevano fatto alla mia classe come dimostrazione dei più conosciuti strumenti musicali. Ricordo di aver provato subito il violino e di aver chiesto a mia madre di iniziare a suonarlo. Non so bene cosa sia andato storto, ma alla fine quell’episodio è finito in niente. La mia prima illuminazione invece l'ho avuta a scuola di musica, quando Parrini mi ha fatto ascoltare Ornette Coleman. Ricordo di esserne rimasto folgorato. Era qualcosa che non avevo mai sentito ma che sicuramente parlava la mia lingua. Non potrei mai scordarmelo».

Progetti in atto, prospettive future? Riesci a vivere di musica?

«Sicuramente in questo momento il mio primo obiettivo è concludere degnamente il percorso di studi al conservatorio. Non sto attualmente lavorando a un mio nuovo disco, ma sto comunque prendendo parte a dei progetti di altri musicisti che mi stimolano molto».

«Purtroppo nonostante tutta la fatica e l’impegno non riesco ancora a vivere di musica. Per ora, ufficialmente, sono ancora uno studente, perciò non posso dedicare tutto il mio tempo al lavoro. Spero però di riuscire presto a raggiungere una stabilità economica e avere più tranquillità da questo punto di vista».

Ci racconti del tuo rapporto con Silvia Bolognesi (recentemente anche con Art Ensemble of Chicago) ed Emanuele Parrini?

«Ho conosciuto Silvia quando ero veramente piccolo. È grazie a lei se mi sono approcciato al jazz e se sono passato al basso elettrico al contrabbasso. Ricordo che era solita venirmi a prendere di persona sotto casa per portarmi a scuola di musica dato che, essendo così piccolo, non sarei potuto arrivarci a piedi. Le sono molto affezionato e sono felice che in questo momento stia avendo tutto il successo che si merita. Come si fa con tutte le “mamme” (anche quelle musicali) ogni tanto la faccio arrabbiare, ma credo lei continui a sopportarmi. Emanuele invece è la persona che più mi è stata vicina in tutte le fasi del mio percorso artistico. Mi ha sostenuto, sopportato, criticato, insegnato molto, soprattutto il valore dell’impegno, della costanza e anche dell’integrità morale (in un mondo in cui è molto facile perderla). Oltre che dal punto di vista musicale, Parrini è stato per me un punto di riferimento anche dal punto di vista personale, soprattutto durante questi miei primi anni fuori casa. Sono sempre felice di passare del tempo con lui e con la sua bella famiglia».

Il primo e l'ultimo disco jazz che hai comprato?

«Francamente non ricordo con precisione quale sia stato il primo album jazz che io abbia mai comprato, ma sono certo però che si trattasse di uno tra Large degli Open Combo e Kind of Blue di Miles Davis. Francamente non ricordo l’ultimo disco di jazz, ma, più in generale, l’ultimo che ho acquistato è stato un vinile della London Symphony Orchestra che suona la Quinta di Mahler».

Mi dici le tue sensazioni, impressioni, opinioni (sincere!) sul jazz in Italia?

«Questa musica, come tutti i prodotti culturali, non ricevendo abbastanza sovvenzioni da parte dello Stato, è destinata a diventare un vezzo per pochi ricchi. Servono soldi per essere in vista, per avere una promozione efficace, per registrare nei posti giusti, uscire con etichette giuste e suonare con musicisti giusti. Finché la musica sperimentale non verrà sostenuta dallo stato, le leggi del libero mercato imporranno i loro canoni e le loro logiche».

«Finché la musica sperimentale non verrà sostenuta dallo stato, le leggi del libero mercato imporranno i loro canoni e le loro logiche».

«Mi fa male constatare che questa musica sia destinata a diventare un lusso allontanandosi sempre di più dal mondo da cui è nata. Mi chiedo sempre quanto effettivamente ci siamo perdendo di tutta la musica di qualità che farebbero molti artisti che non possono permettersi di farla. In questo ambiente i giovani come me sono in balia di eventi mal pagati, poco gratificanti e concorsi mai abbastanza meritocratici».

«In questo ambiente i giovani come me sono in balia di eventi mal pagati, poco gratificanti e concorsi mai abbastanza meritocratici».

«Io sono fortunato a essere appassionato anche di musica classica e di avere l’opportunità di studiarla a fondo, così da poter sperare – in un futuro – di vivere di quella, una musica molto più civile e democratica».

Oltre al jazz cosa ascolti?

«Ti confesso che mi sembra quasi strano sentir parlare di me come un musicista jazz, visto che suono e studio principalmente musica classica. Per quanto riguarda gli ascolti invece, oltre ovviamente la classica e il jazz, mi affascina molto l’hip-hop».

«La mia attività musicale esterna alla classica, a oggi, non è molta, ma è molto importante, nell’ottica di mantenere la musica come passione, oltre che come lavoro. In questo senso, ultimamente, sto suonando in progetti molto diversi tra di loro; faccio parte ad esempio del quartetto di Jacopo Fagioli, un trombettista toscano molto attento e sensibile, e del duo che ho creato con Margherita Giabelli, che mi riporta a una dimensione musicale priva di sovrastrutture, fondamentale per farmi mantenere vivo il puro piacere di suonare».

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