Zaide di Mozart, secondo Italo Calvino

In scena all’Opera di Roma il Singspiel incompiuto di Mozart con il testo ideato da Calvino, che riempie i vuoti proponendo diversi possibili sviluppi della vicenda

Zaide (Foto Yasuko Kageyama)
Zaide (Foto Yasuko Kageyama)
Recensione
classica
Teatro dell'Opera di Roma
Zaide
18 Ottobre 2020 - 27 Ottobre 2020

Anni fa un gruppo di giovani artisti, inglesi per la maggior parte, aveva riscattato dall’abbandono un convento presso Batignano, nella Maremma toscana, e d’estate organizzava nel chiostro un piccolo festival di opere rare, col supporto finanziario della regina d’Olanda, che trascorreva le vacanze non lontano da lì, nella sua villa sul mare a Porto Ercole. Sembra un sogno o una favola, invece è vero. E non finisce qui: quei giovani artisti si spingono a chiedere a Italo Calvino di scrivere per loro un testo che compensi la perdita delle parti parlate di Zaide, un Singspiel incompiuto di Mozart. Non ci sperano molto e invece dopo un po’ arriva un dattiloscritto di Calvino col testo richiesto: la Zaide viene così messa in scena con la regia di un giovanissimo Graham Vick. Era il 1981 e dopo di allora la Zaide di Mozart-Calvino ha fatto il giro di vari teatri italiani e stranieri. Adesso lo stesso Vick l’ha portata all’Opera di Roma in un nuovo allestimento, che tra poco potrà essere visto anche nei teatri del Circuito Lirico Lombardo.

Perché la Zaide aveva bisogno di un completamento? Mozart cominciò a scriverla a Salisburgo nel 1779 e/o 1780 ma compose “solo” quindici numeri, poi la mise da parte per motivi che non conosciamo. Dopo la sua morte si ritrovò la musica della Zaide, ma non il libretto, cosicché, in assenza delle parti recitate che dovevano collegare i numeri musicali, la trama dell’opera resta oscura. I pezzi rimasti riguardano il primo e il secondo atto, ma non c’è il finale (non sappiamo neanche se gli atti dovevano essere due o tre, ma i Singspiel generalmente erano in tre). Inoltre l’ordine dei pezzi musicati da Mozart è dubbio, perché va contro le regole del tempo che un personaggio Gomatz canti una dopo l’altra un’aria, un duetto e un’altra aria e che la protagonista abbia due arie di fila. Sicuramente dovevano essere inframezzate da qualche altro pezzo, che Mozart si era riservato di scrivere in un secondo momento. E voglio anche avanzare un’ipotesi fantamusicologica, cioè che Mozart abbia prelevato alcune parti delle musiche di Zaide per riutilizzarle, magari con qualche modifica, nel Ratto dal serraglio, da lui composto poco dopo aver interrotto la Zaide. L’argomento tra questi due Singspiel  è molto simile - una prigioniera cristiana custodita nell’harem cerca di fuggire con il suo amato – e il travaso dall’uno all’altro sarebbe stato facile e naturale.

Fatto sta che quel che rimane di Zaide è stato scritto da un ragazzo di ventiquattro anni che in quello stesso periodo era capace di scrivere Idomeneo, la più bella ‘opera seria’ del Settecento, se ha senso fare graduatorie in campo artistico. All’Idomeneo fanno pensare la magistrale e florida orchestrazione – soprattutto per quel che riguarda gli strumenti a fiato – e alcune audacie sperimentali, come l’originale coro iniziale a quattro voci che è quasi un quartetto per quattro tenori e i due bellissimi e ampi melologhi, gli unici scritti da Mozart. Alcune arie anticipano il futuro: la prima aria di Zaide non stonerebbe in bocca alla Contessa delle Nozze di Figaro,mentre la sua terza e ultima aria ha qualcosa sia dello sdegno e della sfida di “Marten aller arten” di Konstanze nel Ratto dal serraglio sia della furia sfogata in virtuosismo iperbolico della Regina della Notte. Qualche altra volta sono arie e duetti di grande bellezza ma un po’ generici, che non individuano il personaggio e la situazione con la precisione e la forza cui ci hanno abituato le opere successive di Mozart, tanto che potrebbero essere stati scritti dal migliore compositore italiano dell’epoca, Paisiello o Cimarosa.

Italo Calvino non ha cercato di inserire in una trama compiuta questi pezzi sparpagliati di un’opera mai nata. Ha piuttosto lavorato di fantasia per immaginare non una storia ma le molteplici storie che quel che resta dell’oepra lascia immaginare, senza cercare di far credere che una delle soluzioni sia quella vera, perché sa bene che non potremo mai sapere quale sarebbe stato lo svolgimento della Zaide  e soprattutto quale sarebbe stato il finale, che manca totalmente. Allora l’autore del Barone rampante si diverte con garbata ironia a inventare l’impossibile, come un’attrazione del ministro del sultano per il prigioniero cristiano, che sicuramente su un palcoscenico del Settecento era inammissibile. Ipotizza ben quattro finali alternativi e per quattro volte ferma i cantanti, che stanno per attaccare l’ultimo pezzo scritto da Mozart, e ricomincia da capo a raccontare una diversa soluzione (im)possibile. In questo testo riconosciamo l’intelligenza, l’acume, la leggerezza e l’ironia di Calvino, ma è un gioco piuttosto letterario, che ha ben poco di teatrale e, sebbene non si possa certamente accusare di verbosità la prosa molto stringata di Calvino, il gioco è portato un po’ troppo per le lunghe. Per obiettività va detto che la maggior parte dei commenti nel foyer  erano molto più benevoli, talvolta estasiati, entusiasti. Personalmente mi sarei letto molto volentieri il testo di Calvino seduto in poltrona, a casa, ma il teatro è un’altra cosa.

A leggere il testo di Calvino è un narratore e gli interpreti mimano le azioni da lui raccontate: spiace dire che un grande attore come Remo Girone non è stata la scelta migliore per rendere vivace, frizzante e ironico questo testo. Forse un attore meno grande e più giovane sarebbe stato più adatto. E perché no una donna?

Ottima invece l’esecuzione musicale. Tra Chen Reiss (Zaide), Juan Francisco Gatell (il suo innamorato) e Markus Werba (il ministro Alfazim) non si saprebbe dire chi fosse il migliore, perché erano tutti ideali. Un po’ indietro restava Paul Nilon, che era il Sultano, stranamente affidato da Mozart a un tenore, mentre ci si sarebbe aspettati un autorevole e minaccioso basso. Bene Davide Giangregorio nella parte di Osmin (!) che ha una breve aria della risata, molto originale. Daniele Gatti ha sfoggiato una trasparenza e una levità che non gli conoscevamo, insieme alla sua ben nota capacità di valorizzare perfettamente orchestrazione e orchestra. L’orchestra dell’Opera ha risposto adeguatamente alle sue esigenti richieste e una menzione speciale va alle prime parti, impegnate in vari ‘a solo’.

La regia era di quello stesso giovane che nel 1981 portò per la prima volta in scena la Zaidedi Mozart-Calvino, ovvero Graham Vick. Regolarmente contestato da una parte del pubblico romano in occasione di ognuna delle opere della sua recente trilogia Mozart-Da Ponte, Vick questa volta è stato applaudito con una regia che metteva da parte tesi preconcette per seguire fedelmente musica e testo, con leggerezza e con la giusta dose di fantasia e ironia, senza strafare. Niente di straordinario, ma era tutto quel che ci voleva. Italo Grassi ha vestito i personaggi alla turca, mentre la sua scenografia consisteva di ponteggi, tubolari, bandoni metallici e quant’altro vediamo quando c’è un cantiere aperto in città: questo cantiere alludeva chiaramente a Zaide, rimasta eternamente allo stato di cantiere musicale aperto.

Il pubblico, ridotto a circa un terzo della capienza del teatro dalle norme sul distanziamento, ha applaudito con misura, senza spellarsi le mani.

 

 

 

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