Nel lago d’argento dove rinasce la speranza
Il Nationaltheater di Mannheim presenta una nuova produzione di Der Silbersee di Kurt Weill firmata da Calixto Bieito nell’ex-fabbrica Schildkröt
Doveva essere Juditha Triumphans e invece al suo posto il Nationaltheater di Mannheim ha scelto Der Silbersee (Il lago d’argento) come ultimo titolo del 2023 da allestire nell’ex fabbrica di bambole Schildkröt, uno degli spazi alternativi durante la prevista lunga chiusura per lavori del teatro nella Goetheplatz.
Protagonisti sono Severin, un uomo che vive di espedienti come gli altri nella piccola comunità del Silbersee, e il poliziotto Olim. Per aver rubato un ananas, Severin viene gravemente ferito a una gamba da Olim, che, poco dopo, vince una somma stratosferica alla lotteria e abbandona la polizia. Con quel denaro Olim compra il castello dei von Luber, una famiglia aristocratica caduta in disgrazia, e, vinto dai sensi di colpa, ci porta anche Severin dal letto d’ospedale al quale è costretto. Severin ignora che Olim è l’autore del suo ferimento, finché i suoi compagni del Silbersee non lo ritrovano nel castello e lo informano della vera identità del suo benefattore. La von Luber approfitta dell’astio di Severin nei confronti di Olim per mettere i due contro e, con l’inganno, per impadronirsi della ricchezza di Olim e riprendersi le proprietà di famiglia. Fuggiti dal castello con l’aiuto della vessata Fennimore, nipote della von Luber, Olim e Severin, tornati amici, si dirigono verso il Silbersee con l’intenzione di farla finita ma l’inverno si tramuta in primavera e delle voci intonano un canto di speranza.
Con questo lavoro Kurt Weill torna al modello di Die Dreigroschenoper di cinque anni prima, anche nell’ispirazione musicale fatta di canzoni e ballabili da cabaret. La penna però non è più quella di Bertolt Brecht. Questa volta il testo lo fornisce Georg Kaiser, scrittore sensibile alle convulsioni dell’espressionismo e, nella Germania turbolenta degli anni di Weimar, alle tensioni del mondo contemporaneo fatto girare da soldi e macchine. Il tono forse è meno caustico del lavoro di Brecht ma caustico resta il testo, nel quale numerose sono le allusioni alla bramosia di potere di Hitler e le sollecitazioni al pubblico a resistere all’odio nazista e agli intrighi dell’aristocrazia. È inevitabile, quindi, che il lavoro provochi la violenta condanna dei nazionalsocialisti già al potere e la sua messa al bando poco dopo la tripla prima in contemporanea a Lipsia, Erfurt e Magdeburg il 18 febbraio 1933. Il 27 febbraio il Reichstag a Berlino viene distrutto dalle fiamme e sarà di tutta un’altra storia.
Dopo il recente, contestatissimo debutto napoletano, il regista Calixto Bieito torna a un lessico teatrale più nelle sue corde e allestisce uno spettacolo nel complesso molto riuscito. Il grande spazio vuoto dell’ex fabbrica Schildkröt è attraversato per buona parte della sala da una lunga pedana/palcoscenico attorno cui trova posto il pubblico. Da sempre il teatro di Bieito fa leva sulla fisicità dei suoi interpreti, sollecitata fino all’estremo come in questo Silbersee, qui con la complicità della coreografa Ana Cuéllar, nel quale la scenografia è praticamente assente, gli oggetti di attrezzeria sono ridotti all’essenziale e solo le luci (violentemente espressioniste di Nicole Berry) disegnano umori e ambienti. Simbolo del destino mutevole è una grande urna sferica, presidiata da un imbonitore in bombetta, occhiali neri e soprabito di persiano, che accoglie gli spettatori con commenti beffardi e chiosa con cinismo le vicende di Olim, di Severin e degli altri.
Davvero ottimo il versatile ensemble di interpreti da Patrick Zielke (Olim), Christopher Diffey (Severin), Rita Kapfhammer (Frau von Luber), Mirella Hagen (Fennimore) a Maria Polańska e Yaara Attias (le due venditrici derubate), Jordan Harding e Ilya Lapich (due della banda del Silbersee), Uwe Eikötter (il barone Laur), tutti bravissimi a passare dal recitato al canto e soprattutto impeccabili nei frequenti ensemble. Una menzione particolare merita Niklas Mayer, insinuante imbonitore e agente della lotteria. Merito della riuscita di questa produzione va sicuramente al direttore Jürgen Goriup, costretto, come i brillanti strumentisti della Nationaltheater-Orchester, in un angolo della grande sala ma senza conseguenze sull’esecuzione musicale nonostante la logistica poco favorevole.
Pubblico numeroso. Molti applausi.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
L’Oper Frankfurt inaugura la stagione con Il Principe di Homburg di Hans Werner Henze in vista del centenario del compositore
Festosa kermesse delle voci bianche dei teatri lirici d’Italia al Teatro del Maggio