Musica barocca dal Belgio e dall’Italia
Roma: due mottetti di Fiocco e Vivaldi, un concerto di Croes e lo Stabat Mater di Pergolesi

Con il Giubileo si sono moltiplicati i concerti nelle chiese romane, una vera manna per i musicofili e in particolare per coloro che nutrono uno speciale interesse per la musica barocca. Nella suggestiva e spoglia chiesa medioevale di San Giorgio al Velabro, in un angolo appartato ai piedi del Palatino, il Roma Festival Barocco ha presentato un concerto in collaborazione con l’Ambasciata del Belgio in Italia. Per l’occasione è venuta dal Belgio l’ottima B’Rock Orchestra di Gand, che si presenta dichiarando di unire la passione per la musica barocca a “l’impegno a superare i confini dell’esecuzione tradizionale”. Il nome dell’ensemble “riflette il suo intento di portare un approccio fresco ed energico all’interpretazione della musica antica”. Ma non temete, la fedeltà al testo è assicurata, perché il rock resta fuori dalla porta e si resta entro i margini di libertà interpretativa insiti nella musica barocca.
Un primo motivo d’interesse del concerto stava nella possibilità di ascoltare due compositori belgi del primo Settecento ignoti a me e – credo - non solo a me. Il primo era Joseph-Hector Fiocco (1703-1741). Nato a Bruxelles da padre veneziano, anch’egli musicista, ebbe gli importanti incarichi di maestro di cappella prima nella cattedrale di Anversa e poi nella concattedrale dei Santi Michele e Gudula a Bruxelles. Nella sua musica clavicembalistica segue lo stile francese, che allora primeggiava in questo genere musicale, ma nella musica sacra l’influenza italiana è evidentissima o almeno lo è nel mottetto Beatus Vir, eseguito in quest’occasione: una parte per soprano fiammeggiante di virtuosismi e un incisivo accompagnamento orchestrale dal ritmo marcato. Sicuramente un compositore di primo piano, sebbene non geniale.
Dopo quest’avvio si passava a Henri-Jacques de Croes (1705-1788) che, a giudicare dal suo Concerto op. 1 n. 2 per violino, archi e basso continuo, stampato nel 1734, è sembrato più veneziano dell’oriundo veneziano Fiocco: non per nulla si guadagnò l’appellativo di “Vivaldi di Anversa”. (Ricordiamo che Vivaldi, prima di sparire dalla scena musicale per due secoli, era notissimo in Europa e che quasi tutte le sue musiche pubblicate lui vivente furono stampate nella vicina Amsterdam). Questo Concerto ha la consueta articolazione in tre movimenti. Sulla falsariga di Vivaldi sfoggia slancio ritmico e scrittura estrosa per il solista nei due tempi veloci, mentre il movimento lento centrale è una delicata melodia del violino: qui il solista - era il primo violino dell’orchestra ma il suo nome non era indicato nel programma - usava un po’ di vibrato, che invece era messo assolutamente al bando nei movimenti veloci, cosicché il suono aveva, soprattutto nel registro acuto, un timbro etereo, un po’ esile ma suggestivo. Qualche differenza tra Croes e Vivaldi naturalmente c’è: questa musica è meno scatenata e sembra guardare da una parte indietro a Corelli e dall’altra in avanti all’elegante scorrevolezza dello stile galante. Ascolteremmo volentieri qualcos’altro di questo compositore.
Dal Vivaldi di Anversa si passava al Vivaldi di Venezia col mottetto Filiae maestae Jerusalem RV 638, il cui testo a dir poco mesto è adeguato alla sua funzione d’introduzione al Miserere. Consiste di un recitativo, un’aria e un secondo recitativo a cui eccezionalmente non segue una seconda aria, probabilmente perché a questo punto si innestava il Miserere. Straordinaria è la forza espressiva dei recitativi e straordinaria è l’aria: inizia in un’atmosfera apparentemente bucolica (gli zefiri, i prati, le foglie, i fiori) che contrasta con la cupa tonalità di do minore e infatti la seconda parte dell’aria rivela che è in realtà un paesaggio di morte: “Il fiume è morto, anche la luna e il sole sono privati della loro luce”. Letteralmente straordinario (non si può non ripetere più volte questo aggettivo parlando di questa musica) è l’accompagnamento della linea melodica straordinariamente espressiva nella sua tragica mestizia: una costante successione di tre note ribattute, armonicamente instabile e dolente, accomuna le tre sezioni dell’aria, che secondo le regole dovrebbero essere contrastanti. Il controtenore Andreas Scholl, che è stato un pioniere di questo tipo di vocalità, ha cantato in modo sublime e con voce ancora perfetta, ben timbrata e morbida, dando a questa musica una profonda forza espressiva unita a magistrale eleganza.
La seconda parte del concerto era dedicata al notissimo Stabat Mater, ultimo capolavoro di Pergolesi, che lo scrisse a ventisei anni, negli ultimi giorni di vita. Anche qui Scholl è stato impeccabile e sublime ed è sembrato guidare ad un’interpretazione (quasi) impeccabile anche il soprano Céline Scheen, che invece nel mottetto iniziale di Fiocco - che, bisogna riconoscerlo, era molto più impegnativo sotto l’aspetto puramente vocale - aveva sparato acuti sforzati che interrompevano in modo sgraziato la linea melodica. L’apporto della B’rock Orchestra è stato perfettamente equilibrato, lasciando il primo piano alle voci ma dando alla parte strumentale il ruolo che le spetta e che in Pergolesi così come in Vivaldi è subordinato ma allo stesso tempo determinante.
Al concerto - il cui ricavo è stato devoluto in beneficenza al progetto “Casa Matilde” dedicato ad adulti diversamente abili - assisteva un pubblico folto e variegato, formato da diplomatici e da appassionati del barocco: gli uni e gli altri hanno tributato ai musicisti applausi veramente entusiastici.
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