L’Ernani secondo Poda fra rovine e microchip

Al Filarmonico di Verona si chiude la stagione

SN

16 dicembre 2025 • 3 minuti di lettura

Ernani ( EnnevìFoto)
Ernani ( EnnevìFoto)

Teatro Filarmonico, Verona

Ernani

14/12/2025 - 21/12/2025

Con Ernani al Teatro Filarmonico la Fondazione Arena di Verona chiude la stagione cosiddetta fuori Arena e, al tempo stesso, completa una ideale trilogia verdiana affidata a Stefano Poda per regia, scene, costumi e luci. Un percorso iniziato in Arena con l’Aida “di cristallo” del 2025 e proseguito con il Nabucco post-atomico della scorsa estate, che trova ora compimento in uno dei titoli giovanili più focosi di Verdi. Un trittico coerente nello stile e nell’ambizione, ma anche emblematico di un’idea di teatro che privilegia la visione concettuale rispetto alla chiarezza drammaturgica. Come già osservato dal nostro Gabriele D’Aprile a proposito del Nabucco, anche questo Ernani può essere definito senza esitazioni un allestimento “da programma di sala”: la comprensione del senso profondo della messinscena, infatti, risulta praticabile solo attraverso le dichiarazioni del regista, più che attraverso ciò che accade realmente sul palcoscenico. Poda costruisce un dispositivo scenico dominato da un grande spazio vuoto, pensato come metafora di due mondi in conflitto, che rappresentano la lotta fra il vecchio e il nuovo. Un conflitto che allude idealmente al nascente teatro verdiano, di cui Ernani costituisce una delle punte più alte. Il primo mondo è un “bassofondo di rovine, materico, organico, abbandonato al suo passato eppure luminoso”; il secondo una scatola nera, attraversata da un reticolo di linee luminose che ricordano i circuiti di un microchip, sovrapposta al primo spazio e descritta come “uno spazio astratto, inesplorato, tecnologico, moderno però oscuro dell’innovazione che apre porte sconosciute”. La dialettica visiva è affascinante sulla carta, ma in scena finisce spesso per restare un’astrazione autoreferenziale, che fatica a dialogare con l’intreccio elementare dell’opera.

I costumi, lunghe palandrane quasi identiche per tutti, fatte salva variazioni cromatiche, evocano una distopia futuristica, ormai cifra ricorrente del teatro di Poda. A completare il quadro, la consueta invasione di figuranti e danzatori, qui decisamente sproporzionata rispetto a un dramma che, nella sua essenza, racconta una vicenda fin troppo lineare: una donna contesa fra tre uomini – il bandito Ernani (in realtà Don Giovanni d’Aragona), lo “zio” Don Ruy Gomez da Silva e il re Carlo d’Asburgo, futuro Carlo V. Il gusto e l’ispirazione esuberante del regista sono indiscutibili, ma il rischio è quello di ingarbugliare inutilmente i fili di una drammaturgia verdiana che, sulla carta, è diretta e incalzante.

Sul piano musicale, la serata si rivela invece piuttosto solida. Sul podio c’è un direttore di lunga esperienza come Paolo Arrivabeni, attento alle ragioni del canto e abile nel dosare le fiamme di questa prova giovanile verdiana, evitando sia l’enfasi muscolare sia un eccesso di prudenza. L’orchestra risponde con disciplina, sostenendo efficacemente i cantanti. Il cast vocale trova i suoi punti di forza nel Carlo di Amartuvshin Enkhbat, baritono dalla voce piena, autorevole, dal fraseggio autenticamente verdiano, e nel luminoso Ernani di Antonio Poli, convincente per slancio e generosità vocale. Più convenzionale il Silva di Vitalij Kowaljow, corretto ma poco incisivo sul piano espressivo, mentre l’Elvira di Olga Maslova appare penalizzata da un’emissione talvolta debole, soprattutto nei momenti di maggiore tensione lirica. I ruoli di contorno – Elisabetta Zizzo (Giovanna), Saverio Fiore (Don Riccardo), Gabriele Sagona (Jago) – assolvono il compito con dignità, senza particolari rilievi.

Il Teatro Filarmonico, molto affollato per questo Verdi pre-natalizio, ha riservato un’accoglienza calorosa ai protagonisti musicali, con applausi generosi per direttore e cantanti, mentre non sono mancati sonori fischi indirizzati all’artefice unico di questa produzione.