Il Paradiso sonoro di Valentin Silvestrov
Al Ravenna Festival, due prime esecuzioni dell’ottantenne compositore ucraino, nel segno di Dante. Semplicemente superba la prestazione del Coro da Camera di Kiev, sotto i mosaici bizantini
Nell’incomparabile cornice di Sant’Apollinare in Classe, il Ravenna Festival dedica una serata monografica al compositore ucraino Valentin Silvestrov (Kiev 1937), presentando in prima esecuzione ben due sue composizioni corali datate 2020: In memoriam, su testi ricavati dalla messa da requiem ed altre preghiere della tradizione cristiana (in latino o in traduzione ucraina), e O luce etterna, una delle partiture che il Festival ha commissionato quest’anno a compositori contemporanei, per celebrare il VII centenario della morte di Dante: nel progetto di Silvestrov, versi dal Paradiso(tradotti in ucraino) incorniciano esperienze poetiche diverse, culminanti nell’ode Sera. Il giardino di ciliegi di Taras Ševčenko (il padre ottocentesco della letteratura nazionale ucraina).
Dopo l’indipendenza del suo paese dall’Unione Sovietica (1990), anche la poetica compositiva di Silvestrov ha perseguito una sorta di autodeterminazione estetica, con il progressivo abbandono delle avanguardie all’epoca imperanti, a favore di uno sguardo retrospettivo verso il tardoromanticismo, coniugato con certe rarefatte atmosfere riconducibili all’ambient music e un’organizzazione formale circolare e ripetitiva che adocchia il minimalismo. Lo stile di In memoriam non si distacca, di fatto, dal precedente Requiem per Larissa (1999) e certo materiale tematico sembra riprendere quello dei fortunati Postludi per pianoforte e orchestra (2004), poi raccolti in ...touching the memory...(2008).
Memoria, evocazione, silenzio sono proprio le parole chiave di questo compositore intriso di spiritualità, che gioca abilmente con la storia della composizione occidentale, in continua alternanza fra modalità, tonalità e dissonanza.
In memoriam offre una polifonia basata su fasce accordali sfumate che fluttuano liberamente dall’una all’altra, a dispetto delle classiche regole armoniche, con la ricorrente sovrapposizione di linee melodiche invece ben profilate.
O luce etterna conferma analoghe modalità compositive, col suo procedere a piccoli passi, per microvarianti, in stile minimalista; il tutto però arricchito da una maggiore varietà di soluzioni musicali, anche grazie all’uso più diffuso delle voci soliste e agli interventi del pianoforte sul finale, dallo spiccato carattere neomelodico.
In entrambe le partiture, la scrittura corale è altamente virtuosistica, con i bassi profondissimi spinti ripetutamente sotto il pentagramma, secondo la tradizione slava, i contralti spesso in primo piano e i soprani impegnati in linee acute evanescenti – ma mai troppo acute – che pretendono assoluta purezza e morbidezza, mentre i tenori sono usati perlopiù come ripieno.
Il Coro da camera di Kiev, diretto da Mykola Hobdych, è stato l’interprete ideale (e verosimilmente il destinatario d’elezione) di tali composizioni: superbamente perfetto, miracolosamente suggestivo. Né va sottovalutata l’eleganza e compostezza visiva dei 25 cantori, dagli abiti alla disposizione spaziale sui gradini di quell’abside storica, che ne accoglieva e amplificava il suono, eco materiale e umanizzata delle impalpabili armonie celesti evocate da Dante.
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