Identità e geografie del suono al Barbican

Al Barbican Centre Caretaker, Soft Power di Felicita e NIVHEK (alias Liz Harris) per una serata nel segno della unsound dislocation

Unsound Dislocation
Recensione
oltre
Barbican Centre, Londra
Unsound Dislocation
08 Dicembre 2017

Tutto esaurito nella Barbican Hall per Unsound Dislocation, una produzione del Barbican in collaborazione con Unsound Festival e la direzione artistica di Mat Schulz. C’è grande curiosità per questa sorta di viaggio attraverso la Gran Bretagna, la Polonia e la Russia Artica, attraverso la geografia e l’identità rappresentate in tre show, di cui uno in anteprima mondiale (in questi stessi giorni al Barbican è in corso una bella mostra su Basquiat: ne parliamo qui)

Il compito di aprire le danze (nel vero senso della parola) tocca allo spettacolo Soft Power, nel quale il musicista elettronico Felicita, londinese di origini polacche, unisce le forze con la compagnia polacca di ballerini tradizionali Śląsk Song and Dance Ensemble: una produzione per lunghi tratti affascinante, addirittura ipnotica, nella quale due mondi apparentemente distanti, quello dell’elettronica e quello della tradizione dell’Est, anziché collidere, danno vita a qualcosa di nuovo e straniante.

Dopo sei anni di assenza dall’Inghilterra questa serata segna il ritorno di The Caretaker, che decide di presentare in prima mondiale un progetto realizzato con i visual di Weirdcore, artista conosciuto per le sue collaborazioni con Aphex Twin. Mentre la musica inonda la sala, The Caretaker e il pittore nonché scultore Ivan Seal, anche lui nato a Stockport ma residente a Berlino, creatore di molte delle copertine dei lavori di The Caretaker, prendono posto su due poltrone posizionate sul proscenio e per tutta la durata della performance musicale si limiteranno a bere whisky: ho trovato questo atteggiamento un po’ fastidioso, una manifestazione di supponenza nei confronti degli spettatori.

Peccato, perché la musica è stata strepitosa, influenzata dal percorso intrapreso da The Caretaker all’interno della memoria e dell’oblio (ne abbiamo parlato qui e qui): il tempo è disintegrato, i ricordi sono ormai ondivaghi, sopravvivono solo barlumi di coscienza, la musica dei vecchi 78 giri è ormai ricoperta da una nebbia sonora persistente e non attraversabile, le melodie sono assolutamente in secondo piano, distanti, ormai irraggiungibili: in poche parole, una mind dislocation. L’intensità è totale, praticamente schiaccia gli spettatori: al termine dell’esibizione un ragazzo seduto dietro di me urla, si potrebbe pensare a un grido di approvazione ma forse vuole solo tenere lontana la paura di ciò che non conosce. The Caretaker sarà supponente ma è anche una persona generosa e al termine della sua performance i presenti ricevono in omaggio un CD realizzato appositamente per l’evento, composto da una suite inedita di 48 minuti che riprende solo in parte il progetto presentato al Barbican e intitolata Take care, it’s a desert out there…

Birra veloce per riprendersi ed è la volta di NIVHEK, il nuovo nome di Liz Harris, musicista statunitense già conosciuta come Grouper, per l’occasione accompagnata dal visual artist Marcel Weber, vale a dire MFO, alle prese col progetto After his own death, frutto di un soggiorno a Murmansk, nella Russia Artica. Un lavoro minimalista, al tempo stesso severo e onirico, che esplora il paesaggio, la nostalgia e l’isolamento, attraverso il suono e le immagini di una Russia innevata e desolata, con primi piani di persone che sembrano non aver più niente da chiedere alla vita, carcasse di auto bruciate sotto cumuli di neve e l’onnipresente fumo che esce dalle ciminiere. Il loro è il set più convincente, un matrimonio perfettamente riuscito di musica e immagini che restituisce appieno il senso della unsound dislocation. Un’ora intensa, ricca di emozioni per gli occhi e per le orecchie. Ma non è ancora finita: ci si sposta nella zona prospiciente uno dei due bar per il dj-set di Rabih Beaini, libanese di origine ma residente a Berlino, che col suo mix di musica mediorientale, indonesiana, jazz e techno (e la compagnia di qualche altra birra) ci accompagna alla fine di una serata decisamente intensa e ricca di sensazioni altalenanti.

Many thanks to Sabine Kindel, press office at Barbican Center, and Luca Arnaud.

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