Forlì Open Music, la trappola della bellezza

Da Debussy ai suoni contemporanei, Forlì Open Music si conferma una vetrina di straordinaria vitalità e visioni

Foto Luciano Rossetti - Phocus Forlì Open Music
Foto Luciano Rossetti - Phocus
Recensione
classica
Forlì, Arena di San Domenico
Forlì Open Music 2021
26 Giugno 2021 - 27 Giugno 2021

Porre Claude Debussy (1862/1918) al centro di un festival – come ha fatto Forlì Open Music – che si prefigge di fare il punto, verificare lo stato dell’arte sui suoni contemporanei, rappresenta un forte messaggio culturale. Come dire tutto comincia da lì. Se sulla letteratura musicale è ampiamente documentato che il francese sia il primo compositore della modernità ad attribuire un valore superiore al suono rispetto alla melodia, poterlo verificare sul campo affiancando altri repertori un vero privilegio. «La musica è l’arte più vicina alla natura, quella che le sa tendere la trappola più sottile» scriveva Debussy nel 1913. Il piacere che provoca la sua musica è contemporaneamente e strettamente legato a stimoli spirituali ma anche fisici, con i loro aspetti evocativi, allusivi e sensuali.

«La musica è l’arte più vicina alla natura, quella che le sa tendere la trappola più sottile».

Un miscuglio di bellezza che esplode in apertura festival con Sonata del 1915 che il violoncello di Francesco Dillon e il pianoforte di Emanuele Torquati esplorano con grande trasporto negli aspetti più intimi, poetici, tra filigrane orientali e introspezioni, un vero capolavoro. Il duo lo fa precedere non casualmente da To the master del 1974 di Giacinto Scelsi. Due improvvisazioni sospese dove anche qui l’oriente e ombre inquiete si muovono tra contrasti e misteri. In entrambe il suono è principe nel gesto compositivo. Il duo Dillon-Torquati chiude con May this bliss never end di Jacob TV del 1996 dove uno stralunato reading è accompagnato da strappi pop e accelerazioni ritmiche.

Francesco Dillon ed Emanuele Torquati (foto Luciano Rossetti)
Francesco Dillon ed Emanuele Torquati (foto Luciano Rossetti - Phocus)

C’è Debussy anche nel set con i flauti di Manuel Zurria. Syrinx del 1912 con il suo forte sapore sognante ed evocativo che il musicista siciliano dilata in una lettura astratta. Tra le sue altre proposte spicca Burning in the thing del 2018 di Anthony Pateras dove l’ottavino sorvola un radicale substrato di elettronica, in un percorso asciutto che chiude ad ogni tentazione esotica.

Il pianoforte di Ciro Longobardi ci regala, nella seconda serata, un set bellissimo e ad alta adrenalina facendo seguire a Luigi Nono - …Sofferte Onde Sonore… (1976) per pianoforte e nastro magnetico – e Olivier MessiaenL’Alouette Lulu (1956) – Estampes del 1903 dove il compositore francese esalta l’aspetto del grafismo compositivo con la raffinatezza delle armonie, il legame tra soggetto e raffigurazione mentale. Un blocco, quello attraversato mirabilmente da Longobardi, che racchiude una propria unità, coerenza estetica, dalle tensioni misteriose e rarefatte tra tastiera e nastro di Nono, allo stretto rapporto con la natura dalla pagina tratta dal Catalogue d’Oiseaux di Messiaen fino al simbolismo debussyano.

Ciro Longobardi (foto Luciano Rossetti - Phocus)
Ciro Longobardi (foto Luciano Rossetti - Phocus)

Frequentano Debussy anche i quattro del Sidera Sax Quartet (Gianpaolo Antongirolami soprano-Michele Bianchini tenore- Michele Selva alto- Daniele Berdini baritono), sistemano Animé et tres décidé da Quatuor op. 10 (1893) tra due opere di Stefano ScodanibbioPlaza in prima esecuzione assoluta, e Lucida sidera – costruendo una piacevole, avvolgente situazione di intrecci, avvicinamenti e allontanamenti che sviluppano un solido background sonoro. Altra originale prima assoluta quella proposta da Enrico Malatesta con una composizione a lui dedicata Melody (2021) da Michael Pisaro-Liu. L’uso di campane alpine di varie misure su una base elettronica crea, in un andamento dal sapore rituale, una tensione sonora che sfrutta le vibrazioni che si diradano nella materia liquida con cerchi concentrici.

Sidera Sax Quartet (foto Luciano Rossetti)
Sidera Sax Quartet (foto Luciano Rossetti - Phocus)

Elio Martusciello si presenta con un video di autopresentazione dal carattere didattico sul concetto di musica acusmatica, utile perché non solo chiarisce questo termine ma sottolinea anche come necessariamente la fruizione musicale riguardo a materiali precostruiti in studio si sia modificata. Nella musica acusmatica il pubblico di una sala è davanti a niente, l’assenza visiva diviene fondativa di un nuovo rapporto con suoni che generati sinteticamente o manipolati elettroacusticamente risultano estranianti. Il set di Martusciello è conseguente, ci estranea, ci guida nel guardare attraverso l’ascolto. Potremo definirla la sua un’elettronica umana, se si può dire. Martusciello costruisce, monta, smonta, ambienti sonori i più disparati, suoni sintetici che si muovono in un profondo senso compositivo, concetto non sempre presente nel vocabolario dei manipolatori di dispositivi elettronici.

Elio Martusciello (foto Luciano Rossetti - Phocus)
Elio Martusciello (foto Luciano Rossetti - Phocus)

Le due improvvisazioni pianistiche, la prima sera quella di Fabrizio Ottaviucci e la seconda in chiusura del festival quella di Alexander Hawkins si potrebbero leggere in modo speculare. L’incipit di Ottaviucci è chiaramente tayloriano, blocchi ritmici dai sapori scuri, legnosi, profondi, in un rapporto fisico con lo strumento molto marcato. Cluster problematici che si dissolvono in improvvisi, poetici spazi aperti dove il singolo suono, scolpito, assume un carattere evocativo, riflessivo. Questo ciclico costruire, smontare, ricostruire, prefigura un instabile quadro d’insieme, un panorama che non ti rassicura ma ti intriga comunque.

– Leggi anche: Il pianoforte plastico di Alexander Hawkins

Il pianista inglese sceglie una strada spigolosa, asciutta, ha sistemato alcuni oggetti sulla cordiera che trasfigurano il suono, nel corso della sua performance li toglierà terminando con un suono puro. Improvvisamente aleggiano accordi monkiani che stemperano la tensione e ci ricordano che il jazz è nel suo Dna anche se tende a nasconderlo in nome di un minimalismo ripetitivo. Hawkins ha sicuramente idee, anche vulcaniche, possiede grande controllo della tastiera, ma non si lascia andare abbastanza, esprime autocontrollo sui materiali che le mani sviluppano sulla tastiera, si osserva, non fa corpo con lo strumento. Una freddezza che compromette la comunicazione di un talento.

Forlì Open Music 2021, due serate, otto proposte, otto isole di un arcipelago ricco e variegato, otto mondi sonori a caccia della bellezza sotto lo sguardo benevolo e rigoroso di Debussy che di bellezza è un maestro assoluto.

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