Brad Mehldau fra jazz e classica

A Bologna per Musica Insieme la notevole performance in solo di Brad Mehldau, che sfuma sempre di più i confini tra i generi

Mehldau Bologna
Foto di Michael Wilson
Recensione
jazz
Bologna, Teatro Manzoni
Brad Mehldau
02 Dicembre 2019

Come è stato rilevato più volte in passato, saltuariamente ma sempre più spesso il jazz trova ospitalità anche nelle più prestigiose stagioni di musica classica e contemporanea, perfino alla Biennale Musica di Venezia, dove ogni anno costituisce ormai un appuntamento abituale. Tale operazione può essere interpretata come un giusto riconoscimento del valore di questa musica, ma può anche essere il sintomo della reale compenetrazione, sia estetica che organizzativa, fra i diversi generi. Non è escluso inoltre che possa trattarsi di un tentativo di svecchiare l’offerta, i repertori, e di conseguenza anche il pubblico, delle stesse stagioni di musica accademica, inserendo il brivido di una proposta trasgressiva. 

Sta di fatto che tra i maestri del jazz attuale Brad Mehldau è uno dei pochi che a buon diritto può essere inserito in una programmazione di musica classica, soprattutto se in piano solo piuttosto che in trio o con altre formazioni. Non solo perché Mehldau ha più volte affrontato composizioni di autori classici sia su disco che dal vivo, ma soprattutto per il fatto che è l’artefice di un pianismo a tutto campo, che possiede cioè un’ampiezza di sensibilità, di tocco e di riferimenti culturali, tesa a trascendere pienamente il tipico e limitato approccio del pianismo jazzistico mainstream.

Indubbiamente nei brani interpretati nella sua solo performance bolognese, proposta nella stagione di Musica Insieme in prima nazionale, si è potuto rintracciare di volta in volta la rilettura di temi del repertorio pop e jazz, più che della musica classica. Rimandi che però subito dopo venivano rielaborati, intrecciati con propri original e con citazioni di altri temi, sviluppando così una personale improvvisazione tematica, una parafrasi degli stessi spunti melodici e ancor più dei diversi generi, dei modelli formali presi a riferimento. Ecco quindi che l’incipit del brano d’apertura, prelevato dal catalogo dei Radiohead, fornisce il pretesto per un incedere costante e circolare, per un senso narrativo d’impronta neo-minimalista, dalle ipnotiche evocazioni. Nelle elaborate rivisitazioni delle ballad il seducente impianto melodico balza in evidenza, per poi venire ritorto insistentemente su se stesso. In altri brani grappoli di note sempre variati si inanellano con motorio senso ritmico, fino a toccare le due estremità della tastiera. Una fuga, tramata con uno swing incalzante, ad esempio, ricorda certi lavori pianistici di Lennie Tristano e John Lewis…  

A differenza di quanto mi è capitato di sentire una decina d’anni fa (in un'altra apparizione bolognese), Mehldau non si è inoltrato in esasperazioni neo-romantiche, in percussivi e insistiti crescendo carichi di energia, raggiungendo poderosi “fortissimo”. In questa occasione hanno prevalso invece la concentrata ricerca di un equilibrio formale, la sapiente modulazione di un tocco raffinatissimo e di complessità armoniche, generando un decantato abbandono, un andamento narrativo avvolgente. Anche se non sono mancati momenti d’inasprimento dinamico, di contrastati intrecci, nel complesso l’andamento della performance è risultato forse un po’ troppo uniforme. 

Fra i quattro bis eseguiti spicca una versione di “The Inchworm”, centellinata dapprima con cristallina delicatezza, quasi settecentesca, poi ribadita con piglio più sostenuto, evitando però di replicare il mood del jazz modale (il brano era fra l’altro uno dei cavalli di battaglia del quartetto di John Coltrane intorno al 1960) e trasformando invece il motivo, con una sublime operazione metalinguistica, in un inedito esemplare di musica classica.

In definitiva il concerto al Teatro Manzoni, pur non proponendo interpretazioni di composizioni tratte dal repertorio classico, ha rappresentato un notevole esempio di attuale sincretismo culturale, coniugando un’improvvisazione d’indubbia matrice jazzistica con l’elegante pronuncia pianistica, oltre al severo comportamento scenico, tipici della più canonica musica classica.

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