Tutti i colori di Multikulti

The Gift of Togetherness è il secondo lavoro del Multikulti Ensemble di Cristiano Calcagnile

Cristiano Calcagnile Multikulti Ensemble
Disco
jazz
Cristiano Calcagnile Multikulti Ensemble
The Gift of Togetherness
Caligola Records
2019

Secondo lavoro, dopo Cherry On del 2017, per il Multikulti Ensemble di Cristiano Calcagnile, uno dei batteristi più interessanti e personali che abbiamo in Italia (e non solo) oggi: un nonetto che è una sorta di all star band, con Massimo Falascone (da ricordare il suo ultimo lavoro dedicato a George Meliès), Nino Locatelli, Paolo Botti, Gabriele Mitelli, Pasquale Mirra, Gabriele Evangelista, Dudu Kouaté (nell'attuale formazione di Art Ensemble of Chicago) e Alberto Braida, al Fender Rhodes nella Birds Suite che occupa la parte centrale del disco.

Multikulti Ensemble: la responsabilità di essere liberi

Il disco si apre con le movenze felicemente ambigue di "The Gift", l'alzarsi di un sipario o le manovre di assestamento di una imbarcazione che tenta il mare aperto, con tramestio di corde, silenzi, respiri che promettono fughe e terra, lampi, pioggia e colpi di tamburo nel silenzio; i musicisti si muovono agili ma con passo cauto e ispirato in una selva free, ed è molto interessante il contributo di Paolo Botti che con viola, Stroh violin, banjo, salterio e erhu (un violino cinese a due corde) aggiunge un quid di enigma e di folk immaginario al quadro già molto variopinto.

La foresta poi si fa meno folta e lascia spazio al primo tema del trombettista dell'Oklahoma, "Togetherness", dall'omonimo album con Gato Barbieri del 1966, fedele alla traccia di partenza sebbene manchi il tenore dell'argentino (Locatelli suona il clarinetto basso e Falascone è al baritono), vive di uno swing gentile e nervoso, portato con energia e leggerezza da Evangelista al contrabbasso e dal leader alla batteria (anche se questa parola, in un collettivo immerso in musiche di questo tipo, dove l'interplay è fondamentale forse stona un poco; ma sono comunque di Calcagnile gli arrangiamenti, oltre che l'onere e l'onore di aver assemblato la band; e si avverte che la visione e la missione sono partecipate, condivise).

Il disco è un'apnea in technicolor nel mondo lussureggiante della poetica di Don Cherry, con diversi numeri scritti a più mani (ben cinque su otto), come l'enigmatica "Cohesiveness", che avanza a tentoni nel buio con unisoni di viola e tromba (Gabriele Mitelli) seminando punti di domanda lungo il percorso. Che vengono raccolti e sparsi altrove dalla "Birds Suite", quasi nove minuti dove il Rhodes aggiunge spezie jazz rock (viene in mente anche lo Zappa di "Eat That Question", da The Grand Wazoo), mentre le percussioni di Kouaté ci portano in un altrove lontano eppure familiare (la calebasse, la zucca svuotata e suonata nell'acqua, tipica dell'Africa occidentale), per poi planare su fertili terre coltivate a "Brown Rice" (pezzo ed album del 1975).

C'è spazio ancora per un'altra lunga escursione nei repertori di Ornette ("Happy House"), Dewey Redman ("Deweys' Theme") e di Cherry ("Awake Nu" e "Simphony for Improvisers", ad aprire e chiudere la Communion Suite), dove emerge, ma non avevamo bisogno di conferme, il talento nitido di Pasquale Mirra al vibrafono.

Empatia (in alcuni casi verrebbe quasi da dire telepatia) è la parola d'ordine, i nove musicisti si muovono come un unico, pulsante organismo vivo e iridescente. Basato sul materiale registrato ai tempi delle sessioni del primo disco, ma arricchito con sovraincisioni in studio, The Gift of Togetherness ci mostra un collettivo che ha spiccato il volo, partendo dai suggerimenti per decollare dettati dall'autore di Mu (un disco che ha cambiato la vita di chi scrive), pronto ora a esplorare nuovi paesaggi, come quelli che intravediamo nella conclusiva "At the End a Bird Singing on the Moon", informalissima ed avvolta in un fragile stupore zen, tra suoni del cielo e della terra.

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