Sault, la bellezza senza volto

Black Is è il nuovo album del misterioso collettivo londinese, tutto dedicato ai suoni black e alla protesta

Sault Black Is
Disco
pop
Sault
Untitled (Black is)
Forever Living Originals
2020

Dopo i due album pubblicati a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro lo scorso anno e intitolati misteriosamente 5 e 7, ecco che il gruppo (o dovrei dire collettivo?) dei Sault, con base a Londra e composto da artisti di cui non conosciamo né i nomi né i volti, ha messo a disposizione gratuitamente o in cambio di un’offerta libera questo Untitled (Black is), 20 canzoni che hanno lo scopo, in questo particolare momento storico, di ribadire ancora una volta che “Black is beautiful”.

– Leggi anche: La protesta nera in 10 canzoni (più 2)

I due album del 2019 mi piacquero molto, costruiti com’erano intorno alle sonorità anni Ottanta in voga al Danceteria di New York, al reggae e al soul di casa Motown, canzoni che avevano lo scopo di far muovere il corpo; è trascorso un anno, lo scenario circostante è cambiato e l’atmosfera del nuovo disco, uscito nel giorno del Juneteenth, la festa che ricorda l’abolizione della schiavitù, è più riflessiva. La musica continua a essere una miscela di generi – come si legge su "Bandcamp Daily", «Baduizm passando attraverso Return of the Giant Slits» –, ma i testi sono impregnati di attualità.

«Dovreste vergognarvi, le vostre mani grondano sangue, toglietevi il distintivo, lo sappiamo tutti che è stato omicidio» – "Wildfires"

Piace l’alternanza di canzoni con testi feroci – come il bellissimo gospel speziato di dub di “Sorry Ain’t Enough” o l’incarnazione di Fela Kuti nella ruggente “Bow”, dove il compagno di etichetta discografica Michael Kiwanuka si prende la scena – con altre che hanno come obiettivo il conforto o la gioia.

Funk, soul, intermezzi parlati, canti di protesta, tutto con lo scopo di mostrare lo spettro completo della Negritudine: Untitled è senz’altro un disco militante, che arriva in un momento in cui gli afroamericani hanno raggiunto il limite della sopportazione e lo stanno dimostrando, ma che scava anche negli aspetti della loro quotidianità, quella che non trova spazio nei telegiornali o nei social media

«Nero è sicurezza, Nero è benevolenza, Nero è amore, Nero è Dio, Nero ti dice che alla fine tutto andrà bene, Nero è la nonna, Nero è la zia».

E questo “Black is” diventa un mantra che attraversa tutto il disco, come una spintarella amorevole verso la realtà, senza dimenticare in “X” le parole di Martin Luther King “non siate sorpresi se le galline vi si ritorcono contro”.

Il disco si chiude con tre episodi di introspezione - “Miracles”, “Hold Me” e “Pray up, Stay up” -, il primo dei quali, caratterizzato da un loop ipnotico di batteria e da un elegante sample soul, proclama che “puoi essere giù ma non sei fuori”.

«Presentiamo il nostro disco “Untitled” per rimarcare un momento in cui noi, in quanto neri e di origine nera, stiamo combattendo per le nostre vite. Riposate in pace, George Floyd e tutti quelli che hanno sofferto la brutalità della polizia e del razzismo sistematico. Il cambiamento sta arrivando e noi siamo concentrati».

Con questo disco mastodontico e bellissimo, fatto di canzoni minimaliste, raffinate e orecchiabili con discrezione, i Sault hanno realizzato il loro What's Going On. 

P.S. Ancora in tema di Juneteenth, in occasione della ricorrenza i Public Enemy hanno pubblicato il singolo “State of the Union”, violentissima invettiva anti-Trump che ci restituisce Chuck D e Flavor Flav, per l’occasione accompagnati da DJ Premier, in forma smagliante come da tempo non succedeva. Ecco il video, giudicate voi.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

pop

Godspeed You! Black Emperor: un requiem per Gaza

Il nuovo lavoro della band canadese è ispirato al dramma del popolo palestinese

Alberto Campo
pop

L’anarchia sorridente di The Smile

Secondo album dell’anno per il trio di Thom Yorke e Jonny Greenwood, Cutouts è un inno alla libertà espressiva

Alberto Campo
pop

Alan Sparhawk dopo i Low

White Roses, My God è un disco sofferto e sconcertante, il primo dopo la morte di Mimi Parker

Alberto Campo