Rafael Toral: la trasfigurazione del jazz

In Traveling Light il musicista portoghese reinventa sei standard del genere

AC

06 novembre 2025 • 2 minuti di lettura

Rafael Toral
Rafael Toral

Rafael Toral

Traveling Light

Drag City 2025

In apparenza Traveling Light di Rafael Toral potrebbe sembrare una raccolta di cover, essendo la scaletta costituita da sei standard jazz, e a un ascolto distratto l’ennesimo esercizio di ambient music, quando in realtà significa molto di più.

Descrive un’idea di suono universale, nientemeno, e rappresenta il coronamento dell’attività ultratrentennale di Rafael Toral, 58enne portoghese di Lisbona: artista elusivo che nemmeno ha una pagina su Wikipedia. Avviata a metà anni Novanta incanalando le sonorità della chitarra elettrica nei circuiti elettronici in Sound Mind Sound Body e Wave Field, la sua avventura – da lui accomunata nel proprio sito web a quelle di Jim O’Rourke, Christian Fennesz e Oren Ambarchi, fra i tanti – è proseguita sperimentando con apparecchiature autocostruite nel progetto pluriennale Space Program, per ricombinare poi quegli elementi nel recente Spectral Revolution, album realizzato prendendo spunto da “I Got Rhythm” di Gershwin e “Take the ‘A’ Train” di Strayhorn.

Dichiarò allora: “Sapevo di non poter scrivere brani jazz, perché non possiedo le necessarie competenze compositive, così ho scelto di creare un'astrazione dell’armonia impiegando progressioni di accordi e strutture usate ripetutamente da molti jazzisti diversi”. Il nuovo lavoro, sviluppato in parallelo, perfeziona quel metodo focalizzando l’attenzione su reperti dall’era pre-bebop (datati tra il 1930 e il 1941). I più celebri sono “My Funny Valentine” e “Body and Soul”, ambedue trasfigurati sino a renderli pressoché irriconoscibili: il primo dissimulato nel dilatato fraseggio chitarristico che si dipana su un sommesso bordone di tastiere e il secondo immerso in un’evanescente atmosfera impregnata dallo spleen di mugolii sintetici (un theremin, forse…), nella quale a un certo punto s’insinua mellifluo un sax tenore.

Strada facendo, altri strumenti integrano le trame imbastite da Toral trattando gli accordi – ha spiegato – “come eventi a sé stanti”: un flicorno malinconico nella rivisitazione nottambula di “You Don’t Know What Love Is”, l’amorevole flauto incaricato di bilanciare la graffiante distorsione di chitarra nel conclusivo “God Bless the Child” e il clarinetto che affiora dalla messinscena fantasmatica allestita – con cinguettii meccanici e melodie al rallentatore – nell’iniziale “Easy Living”.

L’episodio posto in chiusura fornisce – a chi volesse cercarlo – un eventuale filo conduttore, essendone coautrice Billie Holiday, che nell’arco della carriera interpretò in momenti differenti i cinque restanti, qui rielaborati però senza voce alcuna: dettaglio accessorio di un’opera dal profilo deliberatamente sfuggente.

Presentata dal vivo il mese scorso in anteprima mondiale alla Biennale Musica di Venezia, con il sostegno dei medesimi strumentisti schierati su disco (il sassofonista Rodrigo Amado, il clarinettista José Bruno Parrinha, la flautista Clara Saleiro e il trombettista Yaw Tembe), e in agenda il prossimo 28 novembre al Centro Pecci di Prato, Traveling Light determina con esattezza il valore di Rafael Toral.