Moin, senza discussioni

Tra post punk ed elettronica, convince la collaborazione tra i Raime e Valentina Magaletti

Moin Moot
Disco
pop
Moin
Moot!
AD 93
2021

Per il loro side-project Moin Joe Andrews e Tom Halstead, vale a dire Raime, proseguono la collaborazione con la percussionista Valentina Magaletti, barese di origine ma residente a Londra da una ventina d’anni, musicista protagonista di molti progetti, il più famoso dei quali probabilmente è Tomaga  in compagnia del prematuramente scomparso Tom Relleen, il cui ultimo, notevole album Intimate Immensity è uscito lo scorso marzo –, senza dimenticare collaborazioni illustri con Nicolas Jaar, Thurston Moore e Bat for Lashes.

Psichedelia, alt-rock e post-punk – tornato prepotentemente alla ribalta da almeno un anno a questa parte – mescolati con l’elettronica marchiata Raime e i campionamenti, contribuiscono a dare vita a Moot! (Discutibile!), un album muscolare di grande fascino.

Non so se Valentina segua il calcio ma, se ha visto la finale degli Europei in compagnia di Joe e Tom, questo potrebbe essere il primo e ultimo album dei Moin con questa formazione. Battuta a parte, in un momento in cui la scena elettronica attinge pesantemente dai suoni in voga negli anni Novanta, i Moin fanno la stessa operazione con il post-punk e il post-hardcore. L’elettronica ovviamente c’è ancora ma questa volta è la chitarra a prendersi il centro della scena, sorretta dalla batteria della nostra Valentina che a tratti vira verso il dance-punk newyorkese di inizio anni Ottanta.

«Moin è libero da qualsiasi inibizione passata o da parametri auto-costruiti al fine di esplorare un territorio non riportato sulle carte»

Moot! si snocciola lungo otto brani per una durata complessiva intorno ai 35 minuti: un groove costante, secco, teso, stratificato, per nulla ammiccante.

Un suono nostalgico, familiare, sì, ma allo stesso tempo reinventato, attualizzato, che ha come punto di partenza il drumming di Valentina, per ammissione dei due Raime, e il risultato finale è come se una band stesse suonando dal vivo.

«Era il novembre del 2019» ha raccontato Tom Halstead. «Ci siamo presi un paio di settimane di libertà dai lavori che Joe e io facciamo per vivere per poter scrivere questo disco. Abbiamo Scartato circa la metà di quanto scritto ma ci siamo ritrovati comunque con otto o nove canzoni e quindi c’era materiale per un disco. Improvvisamente abbiamo ricevuto una mail da Nic Tasker, il proprietario dell’etichetta AD 93, in cui ci chiedeva se fossimo interessati a riprendere il moniker Moin per un disco con la sua etichetta».

C’è un termine inglese che riassume perfettamente quanto raccontato da Tom ed è serendipity, ovvero l'occasione di fare felici scoperte per puro caso ma anche trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un'altra.

Ma torniamo alla musica racchiusa in Moot!: una delle vette dell’album è senz’altro “Lungs”, dove la chimica dei tre musicisti si amalgama attraverso ripetizioni che generano mutevolezza (lo so, sembra un ossimoro, ma l’ascolto chiarirà meglio quanto espresso a parole).

Un altro dei pezzi forti della raccolta, con l’iniziale “No to Gods, No to Sunsets”, è “Right Is Alright, Wrong Is to Belong”, brano che avanza lentamente ma percorso da una vena febbrile.

L’album è quasi completamente strumentale, a parte campionamenti di voci presi da video di gente che cade, si fa male e si lamenta o impreca trovati su Youtube, dando al risultato finale un tocco surreale che non guasta.

Come dice il titolo, Moot! è un disco sull’incertezza del momento presente, espressa con immediatezza diretta, a volte violenta, il cui suono ci risulta conosciuto, ci fa sentire a casa, con quella tensione che “asfalta” tutto, noi compresi.

Su Moot! non si discute, lo si scopre e apprezza con ascolti ripetuti.             

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