Dry Cleaning: post punk lavato a secco

New Long Leg è l’ammaliante album d’esordio del quartetto londinese Dry Cleaning

Dry Cleaning
Disco
pop
Dry Cleaning
New Long Leg
4AD
2021

Volendo cavarsela con una battuta, potremmo dire che l’album d’esordio dei Dry Cleaning va ascoltato a Massimo Volume. Già: viene in mente quell’analogia considerandone l’utilizzo del post punk – più “post” che “punk”, in verità, e “lavato a secco” è dunque una definizione efficace – come telaio musicale al quale ancorare la declamazione in prosa (nella circostanza meno “poetica” e più surreale).

Con ogni probabilità, tuttavia, i Dry Cleaning della valorosa formazione bolognese costoro nulla sanno. Riguardo alle influenze, i quattro le collocano in una linea immaginaria che va “dai Black Sabbath ad Augustus Pablo”. Il nostro orecchio da veterani percepisce viceversa echi provenienti da circa quattro decenni or sono, localizzati oltremanica. Prendiamo “Her Hippo”, uno degli apici in New Long Leg: Joy Division in purezza, nei taglienti arabeschi della chitarra elettrica.

Parla di “canzoni sconnesse, più che altro arrabbiate”, a un certo punto. E lo fa per bocca di Florence Shaw: voce recitante e responsabile dei testi. Arrivata in ultimo, digiuna di musica, dopo che gli altri tre avevano provato a dare forma a una propria idea di suono, è lei a conferirgli identità con tono di volta in volta annoiato, assorto o svagato. L’effetto è straniante, quando dice ad esempio “Fare tutto, sentire nulla”, ritraendo poi “una donna con occhiali da pilota che spara con un bazooka”. Accade nel brano d’apertura, “Scratchcard Lanyard”.

Qui il trio di strumentisti l’asseconda mimando geometrie da Gang Of Four, mentre nel successivo “Unsmart Lady” una similitudine possibile – fra intarsio chitarristico e sbilenca andatura dub – sono i P.I.L. di Metal Box. In questo caso, la morale è: “Se una ragazza ti piace, sii gentile, non ci vuole una scienza”.

Chiude il trittico iniziale “Strong Feelings”, che l’autrice sostiene di avere scritto per raccontare “le conseguenze distruttive della Brexit sulle relazioni sentimentali”: il basso ossessivo e la voce seducente fanno tornare in memoria gli irresistibili Prinzhorn Dance School (a proposito, che fine avranno fatto?).

Procedendo oltre, incappiamo in scenari uggiosi (“Una passeggiata estenuante nell’orrenda campagna, una nuotata faticosa in un tratto di mare insignificante, bevute spossanti con amici intimi” è la fotografia d’ennui incorniciata in “Leafy”) e sketch di mero nonsense (“Un poster, un costume da Elmo [quello dei Muppets, ndr] e un tipo giovane in settimana bianca, muscoloso introverso nudo”, da “John Wick”, omonimo a un film con cui non c’entra niente), finché in “More Big Birds” – miracolo! – Florence accenna a canticchiare.

Un’eccezione, ovviamente: lo standard è un flusso colloquiale a tratti affine alla cadenza di Kim Gordon nei Sonic Youth, in particolare durante “Every Day Carry”, che conclude la sequenza in gloria oltrepassando la soglia dei sette minuti. Cosicché, terminato l’album (prodotto dall’esimio John Parish e garantito dal marchio 4AD), uno si ritrova stregato.

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