L'organetto totale di Pierpaolo Vacca
Esordio su disco per l'organettista Pierpaolo Vacca, dalle tradizioni sarde al mondo
![Pierpaolo Vacca](/sites/default/files/album/main_image/In-Solo-rEvolution-Pierpaolo-Vacca.jpg)
Lo avevamo visto sul palco di Tango Macondo, con la regia di Giorgio Gallione. Spettacolo saturo e stipato, eccessivo e ridondante: come aveva da essere, perché concentrare in poco più di un’ora Sardegna mitica, Colombia del realismo magico che fu e Brasile che ancora innerva i sogni richiede eccesso e ridondanza, perfino nelle scelte scenografiche: colorate e cangianti, in perenne mobilità.
Su quel palco, e poi sulle tracce del disco omonimo di Paolo Fresu c’era un organettista che irrompeva sulla scena con una forza perentoria, apodittica. Aveva suono e classe, presenza e forza espressiva.
L’organetto è uno strumento importante nella storia delle musiche di tradizione italiane. Condivide con launeddas, chitarre e altri strumenti la responsabilità tutt’altro che leggera di dar ali alle danze tradizionali. Bisogna aver appreso molti trucchi e modi di porgere la musica, possibilmente da un maestro, o una scuola di maestri, che abbiano usato poche parole, e molta pratica nel far vedere come devono guizzare dita e mani, polso e braccia, a sostenere il piccolo mantice che può sprigionare una forza affollettata.
Pierpaolo Vacca era l'organettista sul palco e in studio con Paolo Fresu. Adesso, nella serie Etno Tŭk che costituisce l'ennesima, interessante “variazione sul tema” dell'etichetta con la direzione artistica di Fresu stesso, arriva un disco magnifico e imprevedibile proprio a firma di Pierpaolo Vacca, il suo primo da solista, Travessu.
Diciamo subito ai cacciatori di reliquie folcloristiche che se cercano mero repertorio etnomusicologico sono (parzialmente) fuori strada. Qui è all'opera la “tradizione” che accorpa entrambi i noti e dissonanti significati della radice verbale della parola, trado: “affido”, e dunque garantisco una continuità di sapere pratico nella catena generazionale, e al contempo “tradisco”, dunque “ mi prendo tutta la libertà del caso, non per questo dovendomi sentire un Giuda degli ottavi e dei sedicesimi danzanti.
Una sorpresa, si diceva, e si coglie sin dall'inizio, con "Danzas / Sardstep", con l'innesto di voci radiofoniche d’epoca a spezzoni, e la battuta elettronica che entra senza sforzo, lo scratch, i synth di Dj Cris. "Tziu Soddu" apre uno spaccato da vertigine sul canto a tenore, per finire in maestosa e mesta coda per organetto e chitarra elettrica, quella di Fabio Calzia.
"Ballu Travessu" aggiunge il wha wha al respiro del mantice, ed è uno spasso, "Cappotto" vede l'apporto di Dino Rubino al pianoforte, e sembra di sentire una Penguin Cafe Orchestra trasferita in Sardegna e incuriosita dal jazz.
"Campid Afro" “apre” al tama, il tamburo parlante dell'area attorno al golfo di Guinea, tra le mani sicure di Pape Ndiaye a dialogare con l'organetto, "Sa Hesta ‘e Santu Predu" filtra invece lo strumento di Vacca tra mille trucchi efficaci.
Siamo a metà disco: "Vinza Manna" è un duetto organetto – pianoforte di malinconica urgenza, "Ispossoriu" sembra quasi calcare le orme di un lament gaelico, per poi instradarsi verso una danza composta efficace e diretta, a preludio di un finale tutto a danza, e tutto ricavato da repertori orali, e tutto puro organetto: Dillu, Ballu Tzoppu, Passu Torrau, Ballu Tundu, Danza.
Quasi a voler dire: ho iniziato con le sorprese, adesso arrivano le mie rassicurazioni di giovane maestro cresciuto a Ovodda, in provincia di Nuoro, nipote di un suonatore di launeddas, un organetto già tra le mani a sei anni, a seguire le dita di “Tziu” Peppino Deiana, da Sarule.
Per il resto, davvero, tra combat folk, Sardegna e Senegal, mille feste di piazza e, oggi, Travessu, è conseguenza.