Yasmine Hamdan, una voce tra Beirut e Parigi
Il ritorno di Yasmine Hamdan con I Remember I Forget
26 novembre 2025 • 6 minuti di lettura
Yasmine Hamdan
I Remember I Forget
In un mondo che incessantemente spinge gli artisti a essere "produttivi", Yasmine Hamdan si è presa il suo tempo. Dopo Al Jamilat (2017), Yasmine ritorna con I Remember I Forget: scritta tra Parigi – da 20 anni sua città di residenza -, Beirut e la Sicilia, quest'opera è una meditazione sulla memoria, l'esilio, la perdita e la resistenza. Un disco allo stesso tempo dolce ed effervescente, arcaico e contemporaneo, politico e personale.
Di carisma, Yasmine Hamdan ne ha da vendere, fin dagli esordi sulla scena indie di Beirut con il suo gruppo Soapkills, un duo in compagnia di Zeid Hamdan (nessuna parentela) con tre album all’attivo.
Solista dal 2012, la cantante, sotto contratto con l’etichetta belga Crammed Discs, ha ampliato la sua notorietà attraverso il progetto Y.A.S., il duo che ha formato con Mirwais per l'album Arabology, e poi con il film di Jim Jarmush Only Lovers Left Alive, premiato a Cannes nel 2013, in cui recita e canta, rivelando il suo carisma al mondo intero soprattutto nella scena che vi ripropongo, in cui affascina la coppia di vampiri più stilosa della storia del cinema, quella formata da Tilda Swinton e Tom Hiddleston.
Yasmine. Lei è libanese e certamente diventerà molto famosa.Eve, interpretata da Tilda Swinton
Yasmine Hamdan compone come si tesse: fili di antica eredità araba, canzoni cifrate di resistenza (ci torneremo più avanti), ricordi di famiglia, uno sguardo sulle crisi che devastano il Libano e il mondo, assaporando al contempo il paradosso di trovarsi tra due mondi. I Remember I Forget non si limita a raccontare: esplora questi spazi vuoti tra ciò che si ricorda e ciò che si dimentica.
Questo disco interroga la lingua, il tempo e la voce, proponendo come prospettiva di apertura quella di un'arte che non si lascia inghiottire dall'urgenza ma che trova nel tempo (e nel ritiro transitorio) la sua forza. Ogni brano sembra parlare di assenze: quella del Paese, quella dei propri cari e quella del passato.
L'avevamo sentita per l'ultima volta nel 2019, con Jamilat Reprise, alcuni remix di brani tratti dal suo terzo album solista, Al Jamilat, registrato nello studio di Steve Shelley, il batterista dei Sonic Youth, con Acid Arab e Matias Aguayo nel cast.
Dal disco precedente il Libano ha subito cambiamenti significativi e soprattutto c'è stata l'incidente del porto di Beirut nel 2020, dove circa 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio hanno causato un'esplosione percepita fino a Cipro.
Questo disastro è avvenuto nel pieno della pandemia di COVID e ha contribuito ad accelerare un crollo economico già devastante che è continuato negli anni successivi. Nonostante ciò, o più probabilmente a causa di ciò, Hamdan, libanese di nascita ma viaggiatrice del mondo, ha deciso di aggrapparsi ancora una volta, letteralmente e metaforicamente, al suo Paese d'origine con I Remember I Forget.
È proprio del drammatico evento appena ricordato che tratta “Hon”, il singolo scritto con il poeta palestinese Anas Alaili e il primo brano di questo album che Hamdan ha concepito come un riflesso della situazione internazionale e del trauma vissuto dal suo Paese natale. Evoca una «tiny land / with a gaping wound» (piccola terra / con una ferita spalancata), immagine semplice ma molto efficace, che collega la fragilità del Paese al mormorio del ricordo e che si può facilmente estendere alla Palestina, e la frustrazione nel dover seguire gli avvenimenti lontani sullo schermo di un telefono. Questa ricerca del tempo ritrovato, di chiarezza, è ciò che conferisce all'album la sua profondità: Hamdan non insegue il rumore ma ascolta ciò che resta.
I Remember, I Forget è il passato, la memoria, la responsabilità nei confronti di essa. E poi c'è anche il bisogno di dimenticare. Dimenticare per andare avanti e ricordare per preservare la propria identità, i propri punti di riferimento.Yasmine Hamdan
I propri punti di riferimento: Yasmine li ritrova, li reinterpreta, li magnifica. Un esempio è “Shmaali”, sostenuto da arrangiamenti elettronici moderni, ma costruito attorno a parole “cifrate” cariche di storia e resistenza, synth-pop con suoni di mezoued elettronico.
A volte questa tensione è più fluttuante, meno perfettamente accordata. Alcuni brani, come per esempio "Mor", composto col musicista siriano Omar Harb, sembrano cercare il loro equilibrio tra elettronica sognante e nostalgia quasi dolorosa.
Il disco è stato prodotto da Marc Collin dei Nouvelle Vague, uno capace ad approntare strumentali sempre molto raffinati ma come velati da un'ombra scura, quella della prospettiva di Yasmine su un mondo alla deriva nel caos.
Stavo vivendo tra due luoghi - Parigi e Beirut, ma non sono mai riuscita a staccare veramente; tutto ciò che amo è rimasto laggiù, tutto ciò che vedo qui è intriso di ciò che condividiamo, di ciò che abbiamo perso.Yasmine Hamdan, intervista con The National
La title track lamenta la crescente normalizzazione e onnipresenza dell'aberrazione: «Uccidere, è normale, mentire, è normale... saccheggiare, è normale, manipolare, è normale, Intimidire, è normale... disperazione, è normale», intona Hamdan.
Oltre a essere un cri de cœur motivato dalla sua reazione alle attuali vicende mondiali, in particolare quelle alle porte del Libano, si ha la sensazione che nel ventesimo anniversario della sua partenza da dove è nata Yasmine Hamdan stia facendo il punto su dove si trova e dov’era quando è arrivata in Francia.
Senza conoscere il video o comprendere l'arabo, si sarebbe portati a giudicare questa canzone come nient'altro che un brano per infiammare un club: inizia con un balbettio insistente, prima che tastiere, chitarre, battiti di mani, archi e la voce di Hamdan la spostino in territori più opprimenti. Tuttavia, con testi che riconoscono la normalizzazione di disperazione, omicidio, manipolazione e intimidazione, e un video musicale che raffigura un gioco in stile Super Mario Bros., inclusa una versione bizzarra di Hamdan che naviga in uno scenario di edifici distrutti, carri armati, soldati che sfoggiano armi, feste in spiaggia, bambini in scooter, filo spinato e tramonti, cessa di esserci qualsiasi segreto su ciò che Yasmine sta affrontando.
A rafforzare questa impressione, ci sono accenni, specialmente nella traccia poppy e dal sapore rave "DAYA3" (l'album è stato mixato da Nicholas Jaar, una nostra vecchia e cara conoscenza) al suo passato coi già citati Soapkills.
Mentre la title track presenta un ritmo acid house, "Seven Vows" ha un inizio da ballata fumosa ma che presto incorpora ondate sonore minacciose e percussioni echeggianti che ricordano colpi di pistola. "Shadia", il brano più lineare, ha un'atmosfera da colonna sonora di film anni Settanta: Yasmine canticchia di arrendersi al sonno quando la crudeltà del mondo esterno diventa eccessiva da sopportare. Questa traccia funge anche da momento pop più diretto di tutto l'album, fluttuando su una linea di synth gonfia, con un groove vicino al reggae e flutter vocali memori di Angel Olsen.
Nonostante i temi cupi, l'album non è privo di luminosa bellezza. L'emozione sincera, le melodie che solleticano, il soffio della speranza anche nei momenti d'ombra: Yasmine Hamdan, lungi dal porsi come profetessa, non nasconde le sue fragilità, le sue esitazioni, le sue nostalgie. Il canto "umano", nella sua imperfezione, diventa ciò che la connette, e noi insieme a lei, a ciò che ancora conta. E in questa umanità c'è anche la gioia di ritrovare la propria voce, le proprie radici, le proprie storie, di tesserle con le materie sonore attuali, di conciliare l'interno e l'esterno, la memoria individuale e quella collettiva.
Nella già citata "Shmaali" Hamdan è affiancata da sua sorella per un brano che offre una versione attuale di una canzone tradizionale tarweeda palestinese, dove le donne, come già accennato prima, criptano i testi per impedire alle guardie di occupazione di decodificare i messaggi inviati ai propri cari imprigionati. Ma Hamdan ha scelto un percorso diverso, prendendosi il tempo per metabolizzare realmente il mondo in cui viviamo, piuttosto che reagire semplicemente agli incessanti orrori. Il risultato si riflette nella gamma di voci, suoni e tradizioni che attraversano questo album, rispecchiando tutto ciò che è necessario per resistere in questi tempi.
L'album si conclude fluttuando tra cielo e terra, tra i canti eterei e le percussioni telluriche di “Reminiscence”, come un invito a ricordarci della semplicità e bellezza della vita quando si smette di combattere contro di essa. Questo è un album magnetico, dall’inizio alla fine. Bentornata, Yasmine.