Khadija Jiijo Jeesto, una voce ritrovata della diaspora somala
L'incredibile storia e le registrazioni ritrovate di Khadija Axmed (Jiijo Jeesto), per Ostinato Records
18 novembre 2025 • 4 minuti di lettura
Khadija Jiijo Jeesto
808 Xamar: Exiled Digital Somali Sounds from 1990s Saudi Arabia
Ostinato Records, l’etichetta newyorkese di Vik Sohonie che ci ha fatto conoscere il misterioso artista sudanese Jantra, ci regala un’altra perla con 808 Xamar: Exiled Digital Somali Sounds from 1990s Saudi Arabia, raccolta di registrazioni del 1994 della cantante somala Khadija Axmed (Jiijo Jeesto).
«Dicono che un uomo con quattro mogli avrà sempre problemi», disse una volta ridendo Khadija. «Forse si dovrebbe dire la stessa cosa di una donna con quattro viaggi». Quando nel 1992 la Somalia ripiombò rovinosamente nella seconda fase della guerra civile – la prima, dal 1986 al 1991, si era conclusa con la caduta di Siad Barre, al potere dalla fine degli anni Sessanta, sfociando per l’appunto nella seconda fase in cui si contrapposero i cosiddetti “signori della guerra”, soprattutto il presidente ad interim Ali Mahdi e il generale Aidid – la cantante Khadija Jijo Jeesto dovette affrontare un bivio pericoloso come altri innumerevoli connazionali.
Determinata a sfuggire alla violenza, si affidò a dei trafficanti per essere traghettata attraverso il Golfo di Aden in Yemen prima e in Arabia Saudita successivamente. Espulsa due volte, di cui una in Etiopia, Khadija non si arrese. Nel 1993, finanziata dalla leggendaria Waaberi Band di Mogadiscio, salì a bordo di una nave mercantile come passeggera clandestina, dando inizio al terzo di quattro tentativi di ricostruirsi una vita all’estero.
In realtà, ai somali della sua generazione l’Arabia Saudita offriva davvero poco: generalmente lavori come domestici e addetti alle pulizie. Bene, Khadija li rifiutò. Una voce amata ancorché senza il giusto riconoscimento durante l’era dorata di Mogadiscio, frontwoman sul palco di un gruppo come la Dur-Dur Band, Khadija portò il suo talento nella “terra delle due sacre moschee”, dove la musica era apertamente vietata, con conseguenze davvero brutali per le donne musiciste.
A Jeddah, sul Mar Rosso, in una stanza insonorizzata, lei e i suoi compagni musicisti, veterani della Sharero Band e della già citata Waaberi Band – presenti in un’altra fantastica raccolta della Ostinato Records pubblicata nel 2019, Sweet as Broken Dates – Lost Somali Tapes from the Horn of Africa -, registrarono in gran segretezza brani su misura per un matrimonio commissionati da una famiglia somala trasferitasi in Francia.
Il risultato, che adesso possiamo finalmente ascoltare, è a tutti gli effetti una reliquia digitale: canzoni ipnotiche condotte dalla Roland TR-808 e con le radici ben piantate nella cultura Banaadiri (il suono cosmopolita di Mogadiscio, modellato da secoli di commerci tra l’Oceano Indiano e la la penisola arabica, la Persia, l’India e la Cina), ricche di ritmi Bantu.
Fare musica in Arabia Saudita è stata senz’altro la cosa più pericolosa della mia carriera.Khadija Axmed
Impossibilitato a trasportare chitarre e ottoni attraverso zone di guerra e gli itinerari dei contrabbandieri, il gruppo si orientò verso i synth, le drum machine e i primi software musicali. Le registrazioni oggetto di questa raccolta rivelano che cosa succedeva quando la ricca scena musicale somala era costretta a rimanere clandestina e a sparpagliarsi in seguito a una vasta diaspora. Alla fine, dopo ripetute deportazioni, Khadija riuscì ad assicurarsi i documenti necessari per rimanere legalmente in Arabia Saudita, però, a causa del declino delle sue condizioni di salute, scelse di fare ritorno in Somalia. «Se non altro posso morire nel mio Paese», disse da una cittadina nei dintorni di Mogadiscio.
Quella di Khadija è una storia di sopravvivenza, ribellione e devozione inarrestabile verso la musica somala. Anche se la Storia non metterà il suo nome tra quelli delle icone della Somalia, la sua voce dolce e senza paura porta con sé la memoria di una cultura quasi cancellata, una cultura che rifiutò il silenzio.
I sei brani – per un totale di 37 minuti – sono assolutamente entusiasmanti: la raccolta è disponibile solo in versione digitale e solo su Bandcamp in cambio di 8 dollari. Soldi ben spesi, ve l’assicuro.
Non ho trovato né video né fotografie di Khadija Axmed e a dirla tutta quella che avete letto non è neanche una recensione quanto piuttosto una segnalazione, basata in larga parte sulle note informative scritte dalla casa discografica.
P.S. Ho trovato squisito aprire questa raccolta che, non dimentichiamolo, era destinata a un matrimonio con una canzone intitolata “Una ragazza e una vedova”: chissà se si è rivelata benaugurante…
Chi volesse approfondire la conoscenza della musica somala, oltre che verso la raccolta che ho già ricordato, si può indirizzare verso la raccolta Mogadisco – Dancing Mogadishu // Somalia 1972-1991, pubblicata da Analog Africa sul finire del 2019.