L’astratto balletto di Murcof

Il produttore messicano Murcof condensa in un album le musiche composte per la compagnia di danza Alias

Murcof The Alias Sessions
Disco
oltre
Murcof
The Alias Sessions
Leaf Label
2021

Durante lo scorso decennio il compositore e produttore messicano Fernando Corona – dal 2001 in arte Murcof – si era risparmiato sul fronte discografico, eccezion fatta per un paio di lavori a quattro mani, con il trombettista jazz Erik Truffaz (Being Human Being, 2014) e la pianista classica Vanessa Wagner (Statea, 2016), dopo aver punteggiato gli anni Dieci con cinque uscite che lo hanno reso figura di assoluto rilievo nello scacchiere del suono elettronico.

Torna a farsi vivo ora affidandosi nuovamente all’etichetta indipendente britannica Leaf, editrice appunto di quei titoli, senza tuttavia smentire la natura della sua azione creativa in epoca recente, caratterizzata da incarichi su commissione, come già nell’ultimo atto di quella sequenza, The Versailles Sessions (2008). Le sedute di registrazione erano finalizzate questa volta alla fornitura delle musiche di scena destinate a due allestimenti del coreografo brasiliano Guilherme Botelho con la compagnia di danza ginevrina Alias, Contre-Mondes (2017) e Normal. (2018), associate adesso in un unico album di stazza notevole: quasi 90 minuti di durata su doppio cd o triplo vinile.

– Leggi anche: Oneohtrix Point Never FM

In casi del genere, ad esempio le colonne sonore cinematografiche al netto dei film, il dubbio riguarda il grado di autosufficienza del contenuto musicale. In quel senso, ascoltato da cima a fondo, The Alias Sessions mostra eloquenti segnali di vita propria. Manovrando un armamentario a base di marchingegni modulari, campionamenti (la sua stessa voce trasfigurata nell’iniziale “Inner Hunt” o i rumori di burrasca nel corso di “Inevitable Truth”) e strumenti mimetizzati (l’incipit di “Surface Wear” è forse frutto di un violino?), Murcof evoca paesaggi sospesi fra l’elevazione cosmica di “Between Thoughts” e la profondità oceanica di “Underwater Lament”.

A tratti prossima ai codici della classica contemporanea (in “Unread Letter”, dovendo citare un episodio in particolare), altrove l’opera allude ai precedenti dell’autore nell’orbita della club culture (gli esordi in patria con il Nortec Collective, a fine Novecento) scandendo ritmi di derivazione techno (l’andamento marziale di “Unboxing Utopia” o la pulsazione subliminale di “Ideology Storm”). Quando poi quegli elementi s’intrecciano, l’effetto è di grande suggestione: nell’osmosi fra tensione d’archi e cavernoso bordone artificiale in “Dividing Space” o nel modo in cui un’armonia lirica s’insinua nell’incalzante arpeggio di sintetizzatore in “Fire Thief”.

Varcata la soglia dei cinquant'anni e stanziato nel suo buen retiro in Catalogna, dove risiede dal 2006, Murcof ci rammenta così l’entità del suo valore: da corrispettivo latino dello yankee Daniel Lopatin/Oneohtrix Point Never.

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