Teho Teardo fra David Lynch e la musica barocca

Il nuovo album del compositore friulano parte da Twin Peaks diretto verso “altri infiniti”

AC

31 ottobre 2025 • 3 minuti di lettura

Teho Teardo
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Teho Teardo Plays Twin Peaks and Other Infinitives

Specula 2025

Dopo aver fatto gavetta nei circoli alternativi a fine Novecento, insediandosi a Roma dal 2002 il friulano Teho Teardo ha intrapreso un cammino artistico che lo ha portato a diventare una delle intelligenze musicali più vive su scala nazionale: status meritevole di esportazione, come provano le consolidate partnership con il berlinese Blixa Bargeld e il commediografo irlandese Enda Walsh.

Ne conferma il valore l’album Plays Twin Peaks and Other Infinitives, presentato in anteprima il 14 ottobre al festival Torino Spiritualità nella forma del “concerto al buio”, praticata da qualche anno.

Spunto di quell’esperienza erano state le registrazioni d’ambiente effettuate in un’area boschiva fra Italia e Slovenia, successivamente rielaborate in studio: “Siccome avevo queste musiche create con suoni captati al buio in un bosco, la situazione ideale per proporle dal vivo era l’oscurità”, ha spiegato. Nel tempo, a ciò si è sovrapposta un’“ossessione” per le composizioni di Angelo Badalamenti destinate alla serie televisiva firmata da David Lynch: filo conduttore nella metà iniziale del disco, dove svetta la presenza di Stefano Bollani (“Il suo pianoforte è stato una lente d’ingrandimento, uno strumento di conoscenza più approfondita, un sostegno nella ricerca”, ha riconosciuto Teardo).

L’incipit è una versione di “Falling”, “ripulita dalla morbosità originaria” (interpretata da Julee Cruise) affidandola al canto immacolato di un bambino, sorretto dall’inconfondibile fraseggio di chitarra, nella circostanza baritona. Il corrispettivo strumentale, ossia “Twin Peaks Theme”, viene riproposto poi in maniera rispettosa ma non calligrafica, preceduto in sequenza da “Laura Palmer’s Theme”, reso più spettrale ancora dell’originale con sobria orchestrazione mélo e spleen distillato al piano da Bollani, mentre sullo sfondo aleggiano cinguettii di velluto blu.

Il trittico è intercalato da un paio di brani autografi, “Eravamo senza saperlo” e “Fuochi alleati”, da cui trapela in controluce l’influenza del periodo barocco dichiarata dall’autore, che ha ricavato cellule sonore da partiture di Bach, Purcell e Barbara Strozzi, rimodulandone lo sviluppo in senso contemporaneo con esiti non distanti dal magistero minimalista di Michael Nyman.

Analogo ascendente indirizza l’andamento di “L’unico confine è la pelle”, introdotto da un’insistente vibrazione elettronica e pervaso dall’eco di Morricone: è il preambolo all’epilogo in chiave “teatrale”, poiché “The Ghost of Piacenza” – caratterizzato da uno struggente crescendo d’archi – proviene dalla pièce di Enda Walsh Medicine e “And the Birds Will Have Their Say” deriva da Paradiso XXXIII, messinscena dantesca allestita da Teardo ed Elio Germano.

In quest’ultimo episodio si ascolta il regista Abel Ferrara sillabare con cadenza ipnotica “illusion”, ovvero – premette il testo – la zona d’ombra “fra te e ciò che percepisci di essere”. Raccontando “L’insonnia delle rondini”, s’interroga invece su “cos’è la vita” con austera voce da contralto la cantautrice avant-garde britannica Keeley Forsyth, a sua volta implicata in un album che conduce verso “un posto meraviglioso e insieme strano”, direbbe Kyle MacLachlan nei panni dell’agente Dale Cooper, rievocato nelle note di copertina dal filosofo Paolo Pecere.