Claire Rousay: la musica della quotidianità

Il nuovo lavoro dell’artista americana Claire Rousay, Everything Perfect Is Already Here, è un invito all’“ascolto profondo”

Rousay
Disco
pop
Claire Rousay
Everything Perfect Is Already Here
Shelter Press
2022

Occupandosi di lei recentemente, il “New York Times” definiva le sue creazioni “emo ambient”. Non si tratta dunque di ambient music alla maniera di Brian Eno, poiché manca uno specifico habitat di riferimento, aeroporto o film che sia: a occupare il centro della scena è viceversa il suono della quotidianità. “In pratica registro tutta la mia vita”, confessava Claire Rousay, intervistata nella circostanza citata. E poi utilizza quel materiale associandolo a strumenti tradizionali e apparecchiature elettroniche.

Esito esemplare di tale procedimento è il nuovo lavoro, la cui intestazione annuncia: “Tutto il perfetto già è qui”. Imparentato con il precedente A Softer Focus, che lo scorso anno aveva richiamato l’attenzione su questa autrice – canadese di nascita e texana di adozione – assai prolifica (basta consultarne la pagina su Bandcamp per accertarsene), Everything Perfect Is Already Here raffina la formula e allarga gli orizzonti.

In verità, siamo di fronte a un’opera relativamente stringata: una mezz’ora di sviluppo, equamente divisa fra due movimenti. A darle titolo è il secondo, nel quale affiorano via via scricchiolii ineffabili, violini mesti (imbracciati da Alex Cunningham e Mari Maurice), sintetizzatori dispettosi, chiacchiericci indistinti e un pizzico d’arpa (suonata da Marilu Donovan) che svanisce infine nel nulla.

L’episodio iniziale, dove a elementi analoghi (una voce esitante, arpeggi esotici, una porta che si chiude, archi dolenti, una risacca analogica…) si aggiunge un pianoforte ricorrente (affidato a Theodore Cale Schafer), denuncia invece che “preoccuparsi sembra stupido”. Di cosa, lo spiegava la protagonista, interrogata tempo fa da “The Quietus”: «Sono fermamente convinta che siamo alla fine dei tempi, le cose sono arrivate a un punto di non ritorno. Non è solo il pianeta, ma l’attitudine delle persone». L’aggettivo appropriato, nelle varie sfumature del significato, è perciò: crepuscolare. E il sentimento che trapela sa di compassione.

Sul piano squisitamente musicale, la valorizzazione di dettagli acustici ordinari rievoca le nozioni di “ascolto profondo” e “consapevolezza sonora” teorizzate da Pauline Oliveros, mentre un dato tecnico in apparenza marginale contribuisce a inquadrare l’area di appartenenza: la masterizzazione del disco è stata commissionata al veterano tedesco Stephan Mathieu, in passato al servizio di “Blue” Gene Tiranny e Robert Ashley, esponenti di punta dell’etichetta newyorkese Lovely Music, e ultimamente impiegato dal nostro beniamino Leyland Kirby, alias The Caretaker.

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