I migliori dischi del 2025 di Bizarre
Post-elettronica ed eroi anni Novanta (e niente Italodischi, per una volta)
25 dicembre 2025 • 5 minuti di lettura
Anche quest’anno ho deciso di fare una playlist senza nomi italiani; d’altronde, se volete sapere quali sono gli artisti di casa nostra che ho più apprezzato nel corso dell’anno, basta dare una scorsa alle varie puntate di #ITALODISCHI e ne avrete una panoramica più che significativa.
I titoli sono messi, più o meno, in ordine di preferenza. Il lettore più smaliziato ravvederà in questa lista diversi nomi che sono comparsi nella recente edizione del C2C Festival.
Per la maggioranza (giuro!) li avevo individuati già prima, ma certamente la verifica dal vivo ha permesso di confermare la bontà della scelta – e, indirettamente, la qualità eccelsa del cartellone allestito dal festival.
Al solito il mio mix è eclettico e copre numerosi stili diversi, anche se prevale una certa predilezione per l’elettronica post clubbista.
1. Blood Orange, Essex Honey (Domino/RCA)
Per Devonté Hynes è un ritorno a casa. Dalle luci di New York alle brume inglesi il passo non è breve, ma poco importa: Essex Honey è puro splendore. Dismessa la maschera di Prince britannico, Blood Orange allestisce un sound lussurioso e al contempo nostalgico, dominato da archi e pianoforte, sul quale si innesta tuttavia una vena funky senza la quale l’album non avrebbe la stessa sostanza.
Ne viene fuori un groove malinconico e commosso, che nella sua uniformità ricorda mille cose, ma alla fine afferma, fortissima, una sua propria identità.
2. Barker, Stochastic Drift (Smalltown Supersound)
Il disco elettronico più bello dell’anno è il secondo di Sam Barker, dj inglese di stanza a Berlino. La cosa straordinaria è che, a dispetto del processo molto randomico di composizione, non c’è niente di veramente nuovo in Stochastic Drift.
I pezzi però sono talmente ben fatti, con una capacità particolare di mutare le atmosfere e di creare crescendo sonori inesorabili, che per ogni appassionato di post IDM e di ambient techno questo album è imperdibile.
3. keiyaA, Hooke’s Law (XL)
La black elettronica per voce femminile (per usare una definizione abbastanza vaga e opinabile da metterci dentro un po’ di tutto) è uno dei generi che più mi affascina in questi ultimi anni.
Nel 2025 hanno concorso, tra le altre, Little Simz (il disco è piaciuto quasi a tutti, ma a me ha deluso), Kelela (ma è un live senza inediti, quindi soprassediamo) e FKA Twigs (album carino).
Nella categoria vince pertanto a mio parere Hooke’s Law, la seconda prova sulla lunga distanza di keiyaA, cantante-produttrice di Chicago ora stabilita a New York. Si tratta di un album che vive sul contrasto tra la voce calda e angelica della protagonista, vera soul diva degli anni vent, e le basi di elettronica incredibilmente diversificata (distorta, iper-accelerata, trattata con filtri ed effetti, piegata al dominio del rumore) che le sta attorno.
Un’esplosione di creatività ultra moderna.
4. Jeff Tweedy, Twilight Override (dBpm)
Non sono un grande fan di americana, anche se amo molto i Wilco e stimo Tweedy tra i migliori autori del nuovo millennio. Ero comunque scettico all’ascolto di questo imponente triplo cd del buon Jeff, immaginandolo inevitabilmente un po’ tedioso e ripetitivo.
Invece, la cosa incredibile è che a ogni canzone cambiano sound e atmosfere, cosicché l’ascolto si rinnova continuamente e il talento melodico dell’autore trova modalità sempre diverse per esprimersi: impressionante.
5. Geese, Getting Killed (Partisan/PIAS)
Questo è in pratica l’unico disco di indie rock della playlist, e non a caso è molto anomalo nel suo genere: chitarre non sempre predominanti, molte percussioni, canzoni destrutturate, arrangiamenti disparati.
C’è però in questo disco uno spirito di libertà selvaggia che lo rende irresistibile anche per chi frequenta d’abitudine altri generi.
6. Oneohtrix Point Never, Tranquilizer (Warp)
Non troverete questo disco in molte playlist, essendo uscito a fine novembre, quando per molte testate i giochi delle selezioni erano ormai fatti. Peccato: nella prolifica discografia di Daniel Lopatin aka OPN, Tranquilizer è un disco che merita una delle posizioni migliori.
Perennemente in sospeso tra rievocazioni di elettronica del passato (in questo caso si tratta di suoni d’archivio degli anni Novanta) e pulsioni di digitalizzazione futurista, Oneohtrix riesce in questo album a creare l’equilibrio perfetto tra le due tendenze, risultando al contempo nostalgico e avveniristico, con un sound in perenne equilibrio tra atmosfere confortanti e schizzi visionari.
7. Smerz, Big City Life (escho)
Negli Stati Uniti ci sono dozzine di esponenti di avant pop minimale in cui una voce femminile sviluppa una melodia su basi acustiche e/o elettroniche, ma nel genere/non genere la mia scelta va alle norvegesi Smerz, approdate al terzo album.
Sono canzoni semplicissime ma ficcanti, senza pretese all’apparenza, eppure capaci di lasciare il segno: imperfette, ruvide e sexy. E nella loro deliberata elementarità, molto rappresentative del nostro tempo.
8. billy woods, Golliwog (Backwoodz Studioz)
Sono pochi i dischi di hip hop che, oltre al groove e al flow, sanno anche creare un’atmosfera. Golliwog è uno di questi, e il fatto che il suo genere sia stato definito “horrorcore” spiega già tutto.
L’album è un viaggio psicotico in atmosfere angosciose e disturbate, con la voce beffarda e distaccata di billy woods a farci da guida, anche se il suo atteggiamento sembra più franco e diretto che in passato (dal vivo ormai si mostra a viso scoperto senza imbarazzi).
Tra suoni campionati provenienti dal jazz, dalla musica sperimentale, dalla ambient, con frequenti inserti di dialoghi di origine cinematografica, questo disco non presenta facili soluzioni né ammiccamenti, ma ad ascolti ripetuti sa ripagare lo sforzo di entrare nei suoi meandri inquietanti.
9. Tortoise, Touch (International Anthem)
Insieme agli Stereolab (bravissimi, ma il loro disco per conto mio è veramente troppo conforme al loro stile classico per meritare la menzione in playlist) costituiscono il grande ritorno degli eroi alternativi degli anni Novanta.
La band di Chicago non pubblicava album dal 2016 e onestamente non avrei scommesso molto sulla tenuta di Touch. Invece si tratta di una prova convincente che allinea tutte le tendenze mostrate dai Tortoise nel corso degli anni: post rock meditativo, frenesie jazz (a tratti ancora un po’ autoindulgenti), echi ritmici di kraut rock, elettronica vagamente canterburiana.
10. Wagon Christ, Planet Roll (De:tuned)
Concedetemi infine una scelta di pancia, anche se resto convinto del valore assoluto di Planet Roll: Luke Vibert (aka Wagon Christ e numerosi altri alias) è uno dei miei eroi degli anni Novanta e non ho resistito a segnalare un suo album pubblicato nel 2025 (l’ultimo disco uscito con questo moniker data del 2020).
Ovviamente il trip hop sperimentale dell’autore riecheggia in questi solchi in modo evidente, ma non si tratta di un disco nostalgico, i bpm sono in genere più alti, le soluzioni sonore più diversificate e il suono più compiuto: restano immutati la frenesia sampladelica senza steccati e il sense of humour.