I 10 migliori dischi del 2025 di Nazim Comunale
Le traiettorie più strane, la strada meno battuta, dall'India alla Slovenia
18 dicembre 2025 • 4 minuti di lettura
Dieci per il 25, in nessun ordine particolare.
Anzi: nel disordine.
1. Virginia Nicoli, Taramandal (Felmay)
Virginia Nicoli suona il bansuri, il flauto indiano, ed è profondamente immersa nell’universo classico del subcontinente, segnatamente nel Drhrupad, tecnica di canto che, una volta imparata, ha poi trasposto anche sul suo strumento.
Qui è in quartetto con tre musicisti della terra del Gange a Tabla e Pakhawaj e questo disco, in parte basato su Raga della musica del Nord, è uno scrigno di meraviglie curative, da ascoltare e riascoltare per attraversare indenni, forse, l’inverno del nostro scontento.
2. Biagio Marino Feat. Danilo Gallo & Gioele Pagliaccia, Pun (Folderol)
Ha già avuto modo di mostrare talento e piglio personale il chitarrista Biagio Marino, che abbiamo già ascoltato con lo stesso assetto di oggi (ma con altri musicisti) e in duo con Zeno De Rossi.
Stavolta viaggia con il basso di Danilo Gallo e la batteria di Gioele Pagliaccia: funk bianco e nevrotico, panorami para elettronici, armonie nitide e sbilenche da qualche parte tra Nels Cline, il post-rock meno didascalico, i Polvo, i Sonic Youth più cristallini e un jazz-rock immerso nel liquido amniotico.
3. J.H. Guraj, The Flip Side (Maple Death)
Dominique Vaccaro è musicista lontano dai radar e questo album, pubblicato dalla piccola, eclettica e combattiva etichetta di Jonathan Clancy, è una perla. Fragili trame out-folk, field recordings, ombre e elegia, songwriting, arrangiamenti calibrati al millimetro, storie raccontate senza dire nemmeno una parola, tutto in punta di dita, con un’intenzione che riporta all’indimenticabile disco di Mark Hollis.
Poesia, ai margini.
4. Sanam, Sametou Sawtan (Constellation)
Sestetto libanese accasatosi sull’etichetta di Montréal, autore di dirompente album grondante ipnosi, strade kraute che guardano a Oriente, cieli post abitati da nuvole libanesi e lampi free. Un travolgente incesto tra tradizioni arabe, antiche fragranze folk, ruggini noise e urgenza avant rock, con lo zampino di Jerusalem In My Heart.
Notevoli anche dal vivo. Allah è grande.
5. Antonio Borghini & Banquet Of Consequences, Resta chi va (We Insist!)
Il primo disco su We Insist! del contrabbassista si intitolava proprio Banquet Of Consequences ed era stato un centro pienissimo. Ora quel nome diventa la ragione sociale della band, un quintetto, che accompagna il leader: un’internazionale free capace di imbastire un film muto in due tempi, con tanto di intervallo, zeppo di idee.
Da ascoltare a tutto volume, spalancando le finestre e gettando roba per fare aria e spazio in sala, in camera, nell’anima o in cucina, dove meglio vi ispira.
6. Spinifex, Maxximus (Trytone Records)
Formazione ampliata a nove per il sestetto guidato da Tobias Klein (sax alto e clarinetto basso) con base ad Amsterdam, a celebrare vent’anni di musica creativa e improvvisazione. Piglio vivace, attitudine punk, afflato corale, animo e benzina in ogni traccia, temi trascinanti, grande interplay, ottima scrittura, eccellente varietà di mood e timbri tra frangenti più astratti e ispidi e altri che invitano a danze più o meno scomposte.
Uno di quegli album per i quali continuiamo ad innamorarci perdutamente (nei dintorni) del jazz.
7. She’s Analog, No Longer, Not Yet (Carton Records/Torto Editions)
L’ipermodernità in perenne fibrillazione degli She’s Analog è un sogno glitch dove convergono droghe, visioni e istanze diverse: il torpore catatonico dello slow core e del post rock, le forme a un passo dal collasso di Storm & Stress, palazzi elettronici vista Tortoise e/o Radian, il free come postura e pronuncia, il glitch, l’ambient e tanto, tanto altro.
Una delle più stimolanti formazioni italiane, a cavallo tra pulsioni digitali, frammentazioni avant e un hyper rock aperto davvero a ogni stimolo.
8. Ivo Perelman &Matthew Shipp String Trio, Armageddon Flower (Tao Forms)
Perelman e Shipp sono complici da tempo: dal 1996 ad oggi hanno registrato quarantasei (!) album e i quattro musicisti si sono incontrati in varie forme negli ultimi trenta e passa anni.
Il contrabbasso di William Parker e la viola di Mat Maneri sono una garanzia, l’album è un perfetto distillato di musica creativa, libera, lirica e tesa, istantaneamente classica e sempre nuova: senza compromessi.
9. Satoko Fujii Quartet, Burning Wick (Libra Records)
Era in pausa dal 2007 il quartetto della vulcanica pianista giapponese con il marito Natsuki Tamura alla tromba, il basso di Hayakawa Takeharu e la batteria di Tatsuya Yoshida, già con i claustrofunamboli Ruins: grande interplay, pezzi dinamici, lirici e feroci al tempo stesso, grande varietà di atmosfere.
Il fuoco di Satoko continua a bruciare. In aprile saranno in Italia. Fossi in voi...
10. Širom, In the Wind of Night, Hard-Fallen Incantations Whisper (Glitterbeat/tak:til)
Continua l’esplorazione del trio sloveno nei meandri di un avant-folk arcaico e futuribile, coacervo di mille istanze diverse e punto d’incontro di strade apparentemente lontane, forse parallele.
Non ci sono novità particolari rispetto al solito canovaccio, se non una messa a fuoco sempre più nitida: strumenti autocostruiti, venti primitivi, costruzioni articolate che pescano da un’attitudine prog quanto da uno spirito intimamente freak e da una postura che è psicologica, umana prima che musicale.